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sabato 27 luglio 2019

Never give up

Sono qui, ci sono ancora eh. Stavo solo continuando a vivere. Mi ero fermata altrove, più presente nei social, tra le altre cose pensando a come portare avanti questo blog. Meno immediato dei social ma più personale.
Non era nato per parlare di malattia. Era nato per parlare della mia esperienza di mamma in primis, per raccontarmi, perchè mi piaceva e mi piace scrivere delle piccole cose quotidiane che mi succedevano e mi succedono, e condividerle. Quando i blogs erano ancora diari virtuali, non spazi per diventare qualcuno o guadagnarci qualcosa di diverso dalla soddisfazione personale. Altri tempi, i tempi di Splinder. Ma non è su questo che voglio soffermarmi oggi. Tornare dopo mesi a buttare giù ricordi e retorica non è quello che avevo in mente.

Cè che oggi sono ancora mamma, ma mamma diversamente da come lo ero agli albori del blog, e il mio posto ora nel fare da narratrice di ciò che è la mia mammitudine ha cambiato fila: me ne sto, come è normale, diverse file indietro. Per fare un esempio concreto che dia l'idea di cosa io stia parlando, ora sono le quattro (quasi) del pomeriggio, io sono qui a scrivere e ho un bel po' di tempo a disposizione per farlo, mentre mio figlio è al centro estivo parrocchiale. A fare l'animatore. Ad aprire le sale con le chiavi dell'oratorio, e probabilmente a prendere per il coppino due bambini delle elementari che se le danno di santa ragione per dividerli, non ad aspettare il pane e Nutella in fila mentre gli si asciuga il portapenne di Das fatto un quarto d'ora fa. Per dire. Anzi, per la precisione oggi sta preparando la sala grande con gli altri animatori per la festa di fine centro estivo di stasera. Festa alla quale, per inciso, madri e padri degli animatori che eventualmente volessero partecipare, sono caldamente invitati a presentarsi in incognito e tenendo il profilo basso. Ufficialmente un adolescente non ha genitori, si è autoriprodotto: lo vieni a sapere, e lo devi accettare, quando ti viene caldamente imposto di non attenderlo alle porte della scuola quando c'è lo sciopero delle corriere, ma devi aspettarlo nel parcheggio trenta metri distante, assieme alle altre madri o padri, rigorosamente senza scendere dalle auto: vuoi mica che si sappia in giro che la mamma lo va a prendere a scuola? E poi, piove? Meglio zuppi di pioggia per aver percorso quei trenta metri in autonomia, che con la testa asciutta sotto un ombrello portato appositamente dalla premura di chi ti ha cambiato il pannolino solo l'altro ieri.

Ah, che bella l'adolescenza. Che bello avere un figlio di quindici anni e mezzo alto una testa e mezza più di te, col 46 di piede e l'odore di muflone da cinque minuti dopo essere uscito dalla doccia al momento in cui vi rientra, che parla per lo più a monosillabi ("mmm... gnu... mboh... bah...") e col quale litigare ogni santo giorno per ogni sacratissimo motivo, ma scorgere tra un mugugno e l'altro i segni di quel grande lavoro della sua crescita che ti dicono anche che insomma, tanto malaccio tu mamma non hai mica lavorato.  E in fin dei conti ok, è stato promosso in seconda liceo con mezzo calcio nelle chiappe con tutti 6 e 7 (se esiste un santo protettore dei professori dei licei, benedica la magnanimità della sua insegnante di arte che gli ha tirato su mezzo voto per evitare il rimando a settembre), ma comunque non è stato segato, e già il fatto che FINALMENTE dopo otto anni di scuola e tre di asilo ha trovato dei compagni con cui imbastire dei rapporti sociali più accettabili (anzi, dei rapporti sociali - punto - , che prima... no, stendiamo un telone pietoso) per me è una conquista pari ad una vincita al superenalotto. Circa. Quasi.

Ma veniamo a me. Aggiorniamo anche la situescion protagonista del momento. Che appunto, il blog non era nato per questo, ma oggi questa la mia vita è, c'è poco da fare. E lo sarà per sempre. E a chi venisse in mente di dirmi che forse mi sbaglio, in un apprezzabilissimo tentativo di tirarmi su il morale, rispondo una sola cosa.
Sappiate che sono perfettamente conscia di quello che mi sta accadendo. So anche perfettamente dove sto andando. Che sia un boccone amaro da digerire è scontato. Che umanamente sia un percorso durissimo è un problema mio. Ma sappiate che non ho bisogno di balle, perchè i miei oncologi per primi hanno il divieto di raccontarmele. Non potrebbero nemmeno: con loro ho sempre parlato chiaro e con confidenza, guardandoli dritti negli occhi. Non ho quindici anni e non ne ho ottantcinque. Se non siete oncologi, non azzardatevi a fare previsioni o buttarmi addosso informazioni reperite qui e là sul web ad cazzum. Sono metastatica da triplo negativo. La differenza rispetto agli altri tipi di tumori al seno è abissale. Non è un gioco che lascia spazio a molteplici tipi di finali, nè ad un numero illimitato di opzioni terapeutiche, o comunque al ventaglio di opzioni che ha il più difficile dei tumori ormonali e/o Her+. Qualsiasi oncologo lo sa. E lo so anch'io.

Sto facendo ancora chemioterapia. Abraxane e Carboplatino, due settimane si e una no, martedì scorso mi sono pappata la dodicesima dose di quattordici. Ho anche iniziato i bifosfonati e l'assunzione di un integratore di calcio e vitamina D.
Non la reggo male, di sicuro di tutti i protocolli fatti dal 2010 ad oggi è quello che tollero meglio: tre giorni di forte malessere, poi mi riprendo. Capelli, ciglia e sopracciglia, ovviamente, sono andati, il midollo è in sciopero fisso con neutropenia a go go (sono diventata una assidua consumatrice di Nivestim, i fattori di crescita per i white brothers), e in cambio ho guadagnato cinque o sei chili di ritenzione idrica da cortisone, facciotto di luna, occhiaie caratteristiche, occhi gonfi, bocca che sa di sale per 24 ore dopo ogni chemio, nausea, varie ed eventuali. Tutto gestibile e tutto superabile. Non so se per le dosi di cortisone che mi sostengono o per le sedute/bomba di radioterapia che ho dovuto fare sulle metastasi più brutte (acetabolo sinistro e una vertebra) o il mix di entrambe le cose, ma da tempo ormai ho anche smesso di assumere la terapia del dolore. Non ne sento più la necessità.
Da mesi ormai, al mio risveglio, sono così.
Segni, quelli del viso almeno, che dopo infinite prove sono riuscita a nascondere in maniera per me abbastanza accettabile. Perchè si, perchè nonostante la mentalità comune vuole che visto che stai sopravvivendo dovresti già essere grata di questo e fregartene degli aspetti secondari della minestra (ma vi accontentereste, voi, a 46 anni, di assomigliare ad una botte informe sapendo di poter fare di meglio con poco? Io no), io agli aspetti secondari di questo minestrone mi ci dedico come antiansia. La mattina, quando mi alzo, mi si piazza davanti allo specchio una immagine che detesto, questa è la verità. E la si smetta, per favore, di dire che sono bella ugualmente, è un insulto alla mia intelligenza, perchè non vedo dietro di me la fila per assomigliarmi. Fa un male boia. Farebbe un male boia a chiunque.
Insomma, in dieci, quindici minuti, anche di più se ho tempo (perchè voglia ne ho sempre) provo con le mie risorse fatte di colori a farci pace almeno finchè non è ora di tornare a dormire. E mi ci diverto pure. In poche parole, mi siedo al tavolino del make-up e torno a sorridere.


 Che si possano disegnare le sopracciglia è noto, ci sono centinaia di tutorial. Ma da sola sono perfino riuscita, con orgoglio, a camuffare l'assenza delle ciglia. Lo sapevate che sono una patita del make-up? Se "no", adesso lo sapete. 


La vita, in questi ultimi quasi cinque mesi, ha assunto un ritmo serrato. Di solito facevo chemio il mercoledì, ma siccome due settimane fa ho dovuto saltare una infusione perchè i bianchi erano esageratamente bassi nonostante l'iniezione e la settimana di pausa (1400, non gravissima, ma una neutropenia non accettabile per tollerare un ciclo di chemioterapia), la successiva è stata spostata di sei giorni anzichè sette, quindi le ultime quattro cadono di martedì.
E dunque: lunedì prelievo e psicologa, martedì (se il prelievo è a posto) chemio (a letto anche quest'anno, per via dei forti antistaminici con cui mi premedicano),

 mercoledi/giovedì/venerdì chemiobotta (leggi: poltrona, letto, semidigiuno, stipsi, giramenti di testa, sfinimento, mal di schiena, e guai a chi fiata o sbrano) e Nivestim, sabato e domenica recupero tra casa/cucina e poco altro.
Ogni due chemio c'è la settimana di pausa, la settimana in cui il recupero è un po' più lento (giustappunto, per questo è necessaria), ma riesco a fare una vita abbastanza normale. Che non vuol dire la vita di prima, ma almeno durante gli ultimi giorni prima di ricominciare l'ambaradan riesco a muovermi un po' di più, incontrare qualcuno, fare e ricevere visite (sempre se non sono neutropenica), uscire, andare in qualche negozio, partecipare al coro, occuparmi del mio povero giardino trascurato.

Ma c'è da dire anche che ultimamente si fa sempre più sentire la fatica, la stanchezza la fa da padrona. Devo dosare le forze. Si è innescato l'effetto accumulo, come è normale in qualsiasi protocollo chemioterapico, e non è automatico farsene una ragione e dare al fisico il tempo in più di cui necessita man mano per riprendersi. Certe giornate sono davvero eterne, pesanti, soprattutto per la testa che vaga per i fatti suoi, e (forse per la chimica che mi buttano in flebo, non lo so) nel giorno peggiore post-infusione (il terzo) fatico anche a rimanere razionale e a ricordarmi perchè lo sto facendo, gli attacchi di ansia vanno a palla, e l'unica cosa che mi dà sollievo oltre al riposo e ai miei salvagenti chimici è il silenzio, l'assenza di odori, di stimoli. Con l'unica presenza dei miei gatti, e da lontano quella delle ragazze del mio gruppo (di cui racconterò in un altro momento, magari), a cui posso dire qualsiasi cosa che ad altri può sembrare irrazionale, ma loro comprendono molto bene.

Mi va giusto bene che mio figlio è grande, e ho la fortuna che è anche abbastanza attento alle mie necessità e si è reso autonomo in tante cose, compreso di tanto in tanto preparare un pasto semplice e veloce, cosa che in altri tempi mi avrebbe innescato una catena di sensi di colpa addosso, mentre adesso mi rende orgogliosa di vederlo come un futuro uomo che (spero) non dovrà dipendere da una donna per lavarsi le mutande o farsi due bistecche. Mi chiede spesso se ho bisogno di qualcosa. Ha imparato dal padre. Si, forse non abbiamo lavorato così malaccio.

Davanti a me si prospetta, tecnicamente, questo. Se il midollo collabora, con il 13 agosto dovrei fare l'ultima infusione. Il protocollo ne prevedeva solo dodici, ma udite udite, a metà percorso ho fatto Tac e Risonanza di stadiazione, e NOTIZIONA, sembra che già dalla prima chemio le metastasi si siano bloccate in numero e dimensioni: segno che la combinazione di intrugli è quella giusta. Non solo: la risonanza rileva che le ossa, dove le metastasi avevano eroso, si stanno ricalcificando: il mio corpo sta reagendo e sta mettendo le pezze. Gli organi molli sono ancora tutti PULITI, cosa che mi ha strappato un pianto stile asilo Mariuccia in mezzo all'ambulatorio oncologico. 
Strano come cambia il senso di "buona notizia" a seconda del contesto, no? E' relativo. E' davvero tutto relativo.
In ogni modo, questo risultato ha portato il mio oncologo a voler prolungare la chemio di due infusioni aggiuntive, tutto considerato, per sicurezza. La cosa non mi entusiasma, ma bisogna fare di necessità virtù, e allora avanti, un ultimo colpo di reni.
A seguire mi ha promesso un mese di pausa, durante il quale ripeterò la stadiazione (TAC e scintigrafia ossea stavolta). A stadiazione fatta, dati alla mano, se tutto sarà come si aspettano, inizierò un periodo di chemioterapia diversa, stavolta per bocca, detta "metronomica". Con quale mix di farmaci non è ancora stato deciso: i miei oncologi ci stanno studiando sopra, ma sarà comunque più tollerabile, mi ricresceranno le pelurie desiderate e indesiderate, mi sgonfierò. Riprenderò a vivere quasi normalmente le mie giornate. Questo è l'auspicabile. Se non la reggerò bene si aggiusterà il tiro.
L'unica certezza è che mi accompagnerà, assieme ad un follow-up mensile, per il resto della mia vita, finchè non ci saranno cambiamenti strutturali della malattia. E ci saranno, su questo non ha dubbi nessuno. Mesi, si spererebbe addirittura qualche anno, ma ci saranno. E allora si cambierà di nuovo chemio. E brontolerò di nuovo, e piangerò di nuovo, e mi incazzerò di nuovo, e ricomincerò di nuovo. E spererò che nel frattempo qualche mente eccelsa abbia trovato un altro coniglio magico da tirare fuori dal cappello, che io nella ricerca ci credo, credo nelle teste dei giovani. Facendo sempre e comunque, insistentemente, inesorabilmente, buon viso a cattivo gioco. Sperando contro ogni speranza.

Aggrappandomi alla vita con le unghie e con i denti. Finchè ce n'è.







venerdì 28 aprile 2017

Scegliere

Ci sono persone che fin da bambini avevano le idee chiare su cosa sarebbero volute diventare da grandi, e hanno raggiunto i loro obiettivi. Altre non ce l'hanno fatta e hanno intrapreso strade diverse, o hanno cambiato idea mille volte come fanno di solito i bambini. Ma insomma, alla domanda "da grande cosa vuoi diventare?" una risposta più o meno fantasiosa la davano.
Ecco, il Power no. Mai fatto. Anzi si, c'è stato un periodo da piccolo (parlo dell'età da asilo) in cui diceva "voglio diventare come il mio papà", e si provava spesso il suo cappello e qualche pezzo di uniforme. E' durato poco: per la precisione ha smesso di dirlo quando si è accorto che il suo papà spesso va a lavorare di notte, e (cosa abominevole) vede sangue, gli capita di tirar su cadaveri dal Tiliment o da qualche campo, si infila in case puzzolenti. "Nonono mamma, troppa fatica e troppa puzza". Grazie al cà.
Qualche giorno è durato il "farei volentieri la guida turistica", che detto così in maniera molto leggera, si, pensando a quanto gli piacciono storia e lingue, i viaggi, i libri e parlareparlareparlare, tutto sommato non ce lo vedo così male. Ma è passata presto, per la precisione nel momento in cui la prof di lettere gli ha detto chiaro e tondo che per un mestiere del genere o si dà una regolata nei rapporti umani (e qui caliamo un velo pietoso) o no, non c'è trippa per gatti. E mister "mi spezzo ma non mi piego" ha ripiegato su sè stesso il concetto e l'ha messo in tasca. Almeno per il momento.

Per il resto, sull'argomento, in tredici anni e pochi mesi di vita, buio totale. "Sorvolamento" altissimo. Scansamento triplo carpiato del discorso. "Chi me lo fa fare di pensare al mio futuro, ho altro da fare adesso". Futuro, concetto questo molto astratto, per come me la raccontano i grandi.  Futuro è il voto che mi aspetto nella verifica di storia dell'arte di martedì scorso, che deve essere almeno un otto per compensare alle insufficienze nei disegni, o mi tolgono lo smarfono per una settimana. Futuro è cosa si mangia a cena. Futuro è non vedo l'ora che finisca la scuola, che viva le vacanze estive. Fine. Lasciami giocare una partita a Clash".
E ci sta eh. "Vivi qui e ora", filosofia tanto sbandierata come panacea di tutti i mali, il segreto per vivere felici. I gatti lo fanno sempre e sono felici (i miei, almeno, danno questa impressione), forse il Power ha preso da loro. E va anche bene, mica bisogna vivere l'infanzia anche con l'ansia del domani, altrimenti cosa si è bambini a fare? Basta a noi adulti, l'ansia e la preoccupazione di come invecchiare.

Perchè lo tiro fuori adesso?
Semplicemente perchè è ora. Non è una mia fantasia, no. O meglio, ho avuto il dubbio che lo fosse per un po', perchè noi mamme un po' avanti ci guardiamo sempre, no? E ci preoccupiamo, e ci fantastichiamo, eccetera eccetera. Poi qualcuno arriva da dietro e ti ricorda che "cacchio, è solo un bambino, lascialo in pace, ci si penserà al momento". 

Ma il momento arriva. Il momento di farsi un'idea di che scuola scegliere dopo la terza media. Che siamo ancora in seconda, anche se tra poco più di un mese sarà bella che finita (ma anche meno, togli le feste, i ponti, gli scrutini, i fine settimana... ). Abbiamo iniziato a parlarne nel periodo delle scorse festività natalizie, io e il Gatto Alfa. Qualche amico con i figli in terza media si preparava, finito il giro delle "scuole aperte", a fare la preiscrizione per la scuola superiore, ed è venuto naturale parlarne in casa tra me e lui (rigorosamente tra me e lui, dato che tutti, dai professori ai genitori senior, ci hanno fatto una testa pesa che "aaaaaaa non mettetegli l'ansia addosso che fate peggio". No no, per carità, i tic nervosi gli vengono già per altri motivi, non carichiamo la dose. Però magari smettetela di chiedergli "cosa vuoi fare da grandeeeeee?", allora. Decidetevi).
Ci siamo comprati un libriccino ad hoc (che mica andar di notte, eh).

Lo abbiamo letto e riletto. Un'idea ce la siamo fatta, e ce la siamo tenuta stretta per un po', lasciando "a portata di zampa" il libretto incriminato (che per inciso, è dedicato dichiaratamente ai genitori ma anche ai ragazzini, quindi leggi, Power, non te lo diciamo ma te lo lasciamo intendere, leggi).
La zampa in questione, una sera, ha azzampato. Eravamo soli io e lui.
Per dirla alla Lucia dei Promessi Sposi... "Madre, che d' è?".
D'è che voglio pungerti, figliuolo, su qualcosa che ti riguarda direttamente.
Abbiamo letto insieme, abbiamo parlato per due ore, ho cercato di fare la madre moderna che ascolta, la madre molto zen, la madre che non interviene se non è necessario, la madre che riformula, la madre che cerca di rispondere senza metterci del suo se non è richiesto.
Buio. Buio totale. "Ma secondo te cosa posso diventare?". Eh, tesoro, tante cose. Quello che vuoi, penso. Nella tua incertezza cosmica, nella tua totale assenza di progetti e nei tuoi trilioni di rotelline che girano in quel cervellino macrocosmico, solo tu puoi tirarne fuori qualcosa. Posso dirti la mia idea (che diciamocelo, basta con sta balla che per una mamma va bene tutto purchè sia felice e basta, non è vero gnnnnente, certo che va bene tutto e la felicità e via dicendo, ma le fantasie ce le facciamo eccome, se non altro perchè conosciamo i nostri polli e un minimo delle loro doti le vorremmo vedere esplodere in qualcosa di concreto), ma sarà la mia, e non è detto che debba essere per forza anche la tua. Questo deve essere chiaro.
"Una volta ho letto su un giornale che... ed ecco, mi è venuto in mente che potrei...".
"E' un obiettivo importante, Power. Potresti farcela, penso. La scuola che ti aiuterebbe ad arrivarci è la XXX. Ma devi metterti di impegno e studiare molto, perchè l'attività pratica di quella scuola è pari a quasi zero. Bisogna studiare. Cose che so che ti piacciono molto e che finora ti hanno fatto prendere voti molto buoni, ma c'è da studiare, e tanto. Ma a pensarci bene, secondo me ti piacerebbe. Quando si studia qualcosa che piace, si fa volentieri, no?"
Il discorso è stato abbandonato lì, con la speranza (nostra) che comunque la cosa inziasse a frullare nel cervellino del tredicenne. Che ne so, che si facesse almeno qualche domanda.
Manco per sogno. Ho sospettato sul serio di aver viaggiato io con la mia, di fantasia, un po' troppo in avanti. E va bene, mi sono detta, aspettiamo che lo stimolo arrivi dalla scuola: loro lo sapranno quando è il momento giusto, no? 

Guarda il caso, pochi giorni dopo il discorso di cui sopra l'insegnante di lettere, per una verifica di italiano, ha tirato la prima lenza. Tema a scelta: "Scrivi una lettera ad un immaginario amico di penna straniero annunciandogli la tua imminente visita nel suo Paese", oppure "Scrivi una lettera ai tuoi genitori parlandogli delle tue idee sul tuo futuro". Neanche dirlo, il Power ha scelto il primo tema. E va bene. (No, non va bene, apriamo una lunga e inutile parentesi, perchè quando mi ha detto cosa ha scritto e quanto ha scritto - mister Lingualunga Pennamozza - gli ho risposto da madre molto schietta senza troppa delicatezza che era un tema da 5, mi ha accusato di avergli rovinato la giornata - tsè, ti passa, figghiu, prima o poi ti deve entrare in testa che la manichetta corta non copre una ceppa, e che la prof non fa beneficenza -, e indovinate? La vera giornata rovinata l'ha avuta due settimane dopo quando la prof in questione gli ha vergato un bel 5 sul libretto dopo avergli consegnato la verifica corretta. Corretta? Manco per chissà cosa, ortografia ineccepibile, ma stesura da stitico cronico. "Ma', che hai la sfera magica? Che PRO che sei!!!". No more words about).

Dicevo.
La prossima settimana, sorpresa sorpresa, una prof accompagnerà la sua classe in visita ad un plesso scolastico (più scuole superiori in un unico istituto, che spaziano dai licei a diversi istituti tecnici e professionali) in uno dei due grossi Comuni limitrofi. La settimana successiva si recheranno nell'altro Comune ad una visita analoga.
Oggi la stessa insegnante di lettere ha assegnato come compiti per casa la stesura proprio del tema che il Power non ha scelto alla verifica di cui sopra, formulata in altro modo, ma quella è la sostanza che deve tirar fuori.

Ci deve pensare. Non c'è storia, come si dice dalle mie parti, "o de riffa o de raffa, quea ze". Anche se non vuole. Magari farsi un'idea per poi cambiarla, ma farsela. Guardare sè stesso in prospettiva. Oggi, prima di iniziare a svolgere il compito, ha protestato. Per lui è un pensiero ostico. Ha le sue ragioni per evitare di addentrarsi in questa cosa, forse anche solo il rifiuto di lasciare la culla dei pensieri da bambino che sono comodi comodi. Questo lo sa lui. Ma non si può più prendere tutto il  tempo che si vuole. Bisogna crescere un filino, pensare un po' più in grande.
Giorni fa sono stata a colloquio con il professore di matematica e scienze, e tra le altre cose gli è scivolata la domanda "ha un'idea per le scuole superiori? Anche mezza?". "Prof, lui vorrebbe visitare tutte, ma proprio tutte le scuole superiori nel raggio di cinquanta chilometri e poi vagliare, sto tentando di fargli entrare in testa il concetto che su un angolo giro è il caso di ritagliarsi una fetta perlomeno di che so, trenta gradi, magari andando per esclusione". Io gli ho nominato l'unica mezza idea che gli è venuta durante il colloquio serale seguito alla scoperta del libretto-guida e subito messa da parte, e la risposta è stata "assolutamente no signora, perchè la testa per quella scuola ce l'ha tutta, ha la forma mentis adatta, ma se non cresce un minimo non ce la farà mai. Anzi, se non si responsabilizza un po' qualsiasi scuola non va bene ( ....... ok.....), è profondamente immaturo sa...". Confortante, grazie per la rivelazione.
"E allora tenetemelo indietro un anno, scusi, perchè detta così non mi aiuta di certo. Se serve tempo, diamoglielo". 
"Ah no, con questi voti il Power bocciato? Signora, non scherzi. Dovremmo bocciare tre quarti di classe".
Ok, mettiamo questa conversazione nel cassetto dei dialoghi inutili e ricominciamo da un altro lato quando sarà il caso.

Mi rendo conto che è facile, in questo tipo di situazioni, lasciarsi sfuggire commenti sui ragazzi di oggi e su quanto siano privi di determinazione, di idee, di progetti, di voglia di fare. Su quanto siano diversi da come eravamo noi al loro posto. E vi dirò la verità, questo tipo di discorsi e di luoghi comuni mi stanno irritando molto.
Non li si aiuta, facendo sempre paragoni. Non li si aiuta se ci si ferma a fare paragoni anzichè usare lo stesso tempo per capirli. Non so, sarà perchè adesso che mi trovo a questo punto della mammitudine devo schierarmi dalla parte del sostegno, e non del giudice. Da questa parte la voglia di giudicare ti passa. Da questa parte sento la necessità di comprendere come pormi, di come farmi da parte senza farmi da parte del tutto, la necessità di sapere come accompagnare senza impormi. Non è una cosa semplice nemmeno da spiegare. Cerco di guardare il passo che faccio man mano che si presenta.
Certo, viene naturale ricordare come abbiamo scelto noi "quella volta". Io? Io non ho avuto molta scelta. I criteri di scelta per la scuola superiore, in quegli anni e nel contesto sociale in cui sono cresciuta, e con la situazione famigliare che avevo al tempo (la peggiore della mia vita) sono stati decisamente altri. Alla fine non ho mai svolto la professione per cui ho studiato, e non ho nemmeno studiato per la professione che avrei voluto intraprendere. E' andata così. Io le idee chiare le avevo eccome, ma mi sono state tarpate le ali dalle circostanze, e mi sono reinventata con alti e bassi quello che è venuto dopo, un po' con la volontà, moltissimo col caso. Erano altri anni e c'erano altre esigenze. Avevo un'altra educazione.
Ma mio figlio non è me e non è della mia vita che si parla. Ha una situazione famigliare stabile e serena, basi molto più solide delle mie alla sua età, un carattere completamente diverso dal mio, attitudini diverse, due genitori con mentalità completamente diverse da quelle dei suoi quattro nonni rispetto allo studio, presupposti che se ci penso adesso, magari averli avuti io per poter fare della mia vita quello che volevo! E devo recitarlo come un mantra: mio-figlio-non-è-me. Ed è un sacrosanto diritto il non esserlo, l'avere il vuoto in testa, il cincischiare ancora, magari scegliere una scuola che poi si rivela sbagliata e ripetere un anno o cambiarla perchè ha capito di aver preso una cantonata atomica, che non è scritto poi da nessuna parte che sia sbagliato e non sarà mica la fine del mondo, perchè - e cerco di ripetermelo più spesso che posso - una persona che stimo molto mi ripete spesso "ricordati che le somme si tirano alla fine". 
Dovrò avere molta pazienza, forse più con me che non con mio figlio, perchè alla fine le aspettative sono le mie, non le sue, sono io che vorrei vederlo instradato e determinato (a tredici anni... forse siamo un po' tutti a pretendere un po' tanto da dei tredicenni...). Lui non le ha ancora.
Anzi, si, una ne ha. E molto, molto chiara.

"Mà, non so cosa fare da grande, ma voglio a tutti i costi fare un lavoro che mi faccia pensare con la mia testa, non con quella degli altri". 

Dai Mamigà, sforzati. Fatti da parte il giusto e lascia che la vita, la sua vita, faccia il suo corso. Non è più un bambino, mettitela via. Molla. Lascialo in pace. Magari si fa i suoi bei giri delle scuole con i prof e i compagni di classe e si entusiasma per qualcosa che manco ti immagini, torna a casa con la faccia stravolta, gli occhi illuminati a faro e WOW MAMMA! POTREI....  Oppure no, ma armati di pazienza e aspetta, e vedi, e stai positiva verso di lui, che il futuro può essere fantastico, e lui deve poterci guardare dentro con quegli occhi a faro, a questa età, per poter partire. Non fare come è stato fatto con te trent'anni fa, "no, no, no, potrebbe succederti questo e quest'altro, il disastro sopra il disastro", così tu non hai scelto, e stai ancora a rimuginare sui sogni che ti sono stati tolti, in perfetta buona fede, ma tolti. Il Power te lo ha dimostrato infinite volte, non puoi darlo per scontato. Magari fa come il suo papà, che quando eri incinta tentavi di farlo entusiasmare di questo cosino che cresceva e scalciava intra panza e lui ti diceva che finchè non lo vedeva uscire di lì non riusciva a entrare nella parte del paparino adorante, tu ci soffrivi perchè non la percepivi una cosa che prometteva bene e ti sentivi polla e sola dentro, e alla fine il primo pannolino glie l'ha cambiato lui, e sono diventati Yoghi e Bubu forever. Che i maschi le cose devono averle davanti agli occhi per vederle, non sempre sanno cercarle, anzi quasi mai, e se non le vedono non esistono, come il barattolo dei fusilli che non esiste perchè sta dietro a quello degli spaghetti, e mica sarà tutto sto dramma se la professoressa di lettere gli sposta gli spaghetti per mostrargli i fusilli mentre tu non potevi fare altro che spiegarglielo a parole. Alla fine sono le somme che contano, no? 

Stay tuned. 







sabato 4 marzo 2017

Adole-slag generazione Power

Dopo essere passata dal "LOOOOOOSER" con le dita a "L" sulla fronte per sfottere qualcuno che ha appena detto una scemenza catatonica, al "TI HO SPENTO" (o anche "che spenta") quando si riesce a controbattere qualcuno dimostrandogli di prendersi l'ultima parola senza possibilità di replica, dal "MI SONO SPAUNATO A SCUOLA" a significare "mi sono fiondato a scuola col teletrasporto" (...) al "I GATTI SI RISPAUNANO CONTINUAMENTE" (i gatti hanno nove vite), ieri ne ho imparata un'altra, anzi, un'altro paio.
Ai miei tempi (eh... mi pare di avere ottant'anni quando mi esprimo così... sopprimetemi, sto parlando come mia madre!) si diceva "CHE FIGO" e "CHE SFIGATO" per etichettare qualcuno, oggi sostituiti (mi sono rotolata nell'apprenderlo) da "CHE PRO" e "CHE NABBO".  
Non so se si è capito, ma sto stilando un vocabolario nuovo, che si implementa non solo ogni volta che mio figlio torna a casa con la novità del giorno, ma anche con il contributo di altre adole-madri, come una specie di Wikipedia. Che oh, bisogna rimanere aggiornate se si vuole capire qualcosa quando i polli parlano, e il più delle volte a chiedere traduzioni ai diretti interessati si fa davvero una magra figura, rischiando di essere liquidati nella migliore delle ipotesi con uno sguardo di sufficienza con tanto di roteamento all'indietro degli occhi e mani alzate ("ommioddio, allora avevo ragione, sono PLANATO nel pianeta sbagliato"). E a dispetto delle facce schifate che faceva mia madre, figlia di fine anni quaranta e adolescente nei sessanta, quando sentiva il linguaggio di noi ragazzini degli anni '80 (vi ricordate "che tooooogo" e "i miei sono dei matusa"?), a dispetto dicevo delle sue facce schifate, a me l'adole-slag "generazione Power" piace un sacco. Anzi, un "CUBO".
Vado a CLEANARE il pavimento. Buona giornata, e GACE per l'attenzione.

ROTFLOL...

lunedì 6 febbraio 2017

Due peli sulle gambe e due brufoli in fronte

E arriva il giorno in cui ti vien voglia di salire sul tetto della scuola con un megafono in mano e urlare "ok, adesso prendete tutte le vostre belle teorie sull'educazione dei figli, tutte le congetture sul lavoro fatto male dai genitori degli altri, i vostri bei link di pedagogia tirati giù da Google, tutta la vostra saccenza... ripiegateli per bene, fateci un pacchettino bello ordinato, legatelo con uno spago rigorosamente in raffia naturale, ed usatelo per accendere le braci per il prossimo barbecue".

Quello che segue è un dialogo a tre. Una sono io. La seconda (in blu) è la mia coscienza. La terza, o il terzo, (in verde) è il giudizio che mi sento addosso. Che se pensavate che esistessero solo le "doppie personalità"... ta-daaaaan! vi sbagliavate, esistono anche le triple. Un lavoro arduo, quello di capire bene da che parte stare. O anche solo di leggere, penso.

Venerdì scorso dovevo portare mia madre a visita chirurgica, per avere l'esito dell'istologico del secondo intervento della seconda turnata (si, non avete fatto male i conti, è stata operata una seconda volta per il terzo tumore... cioè il secondo, che poi ha rivelato il terzo, quindi sotto un'altra volta dieci giorni fa... un bel macello di informazioni e di emozioni, ma se mi gira lo racconto un'altra volta). Avevamo appuntamento poco dopo mezzogiorno. Ero piuttosto tranquilla, perchè il Power avrebbe dovuto finire la scuola verso le tre del pomeriggio, quindi a posto. Alle dieci mi chiama la scuola: "signora, il Power sta poco bene, può venirlo a prendere?". Cappero. E ora che faccio? In pochi minuti chiamo la suocera, mi dà la sua disponibilità, mi cambio al volo (stavo facendo i soliti mestieri di casa leggi "tuta e ciabatte e ciappo in testa"), vado a prendere il Power. Lascio le persiane alzate e la stufa accesa, spengo solo i fornelli su cui avevo quasi finito di cuocere una minestra e chiudo le finestre. Avrei sistemato il resto dopo.
Lo porto dai nonni (15km più su), faccio benzina (riserva!), torno indietro, mi do una pettinata, un filo di mascara, chiudo casa, rimonto in auto, parto. Arriviamo all'appuntamento giuste giuste a filo-filo. Nel frattempo torna a casa il Gatto Alfa dal lavoro e va a riprendersi il pollo. Che aveva solo un po' di mal di pancia.

-Nel pomeriggio si presenta il problema di alcuni appunti di storia da chiedere ai compagni. Alla fine ha fatto solo due ore di scuola su 7, c'è da recuperare. Li chiede sulla chat di classe su whatsapp. Passa un'ora, di sedici partecipanti alla chat non risponde un'anima.
-Maleducati sono. Punto. E' già successo, e ho dato la colpa al fatto che il Power non aveva lo smartphone. Li ha chiesti alla fine dell'ora di atletica pomeridiana in palestra, ci sono due compagne di classe che frequentano, e nessuna delle due ha voluto (VOLUTO) darglieli, nè dargli il numero di telefono. Ho anche portato la questione in classe durante la riunione che si è tenuta pochi giorni dopo, le madri (che si sono identificate anche se non ho assolutamente fatto nomi) si sono scusate. Beh, quel pomeriggio siamo andati io e lui da un compagno la cui mamma è amica mia, glieli ha dati parziali. Il giorno seguente l'insegnante ha rimproverato il Power perchè mancavano compiti, quando lui si è giustificato lei non gli ha creduto, sono andata a colloquio un paio di giorni dopo per parargli il sedere, l'insegnante il giorno seguente ha fatto il predicozzo ai ragazzini perchè i compiti vanno dati. Insomma, ho fatto il mio dovere, no?
-Doveva passarti per la testa che se i figli degli altri snobbano il tuo un motivo ci deve essere. Svegliati.

-Passano un altro paio d'ore. Il Power torna a chiedere gli appunti. Nessuno gli risponde. Controlla la visualizzazione del messaggio, nel giro di pochi minuti lo hanno visualizzato tutti, ma non risponde un'anima.
-Mi monta il nervoso. Ma le altre mamme non controllano il cellulare dei figli come faccio io???
-Tu controlli il suo telefono? Violi la sua privacy. Devono arrangiarsi. Non intrometterti.

-Il mattino dopo viene a casa mia la mamma di un compagno per motivi di lavoro, doveva parlare col Gatto Alfa. Finito il colloquio ovviamente salta fuori il discorso "adolescenti", e lei inizia a lamentarsi delle stesse cose di cui ci lamentiamo un po' tutti: che sono incontrollabili, che sono difficili, che sono inattendibili. Talmente inattendibili che un giorno imprecisato suo figlio le è tornato da scuola dicendo che il mio gli avrebbe detto "c...ino tu e tua madre", e "mio figlio ingigantisce sempre le cose, sono sicura che il vostro queste cose non le dice".
-No, non le dice. Ma verifico. Vuoi mai che mi/ci si debba scusare per qualcosa. Lo sento tutti i giorni fuori dalla scuola, le mamme che si lamentano "ecco, vedi? Hanno litigato, mia figlia per colpa sua ha preso una nota, e sua madre nemmeno scusa è venuta a dirmi!". Mi vergognerei da morire se si parlasse di me.
-Ah no? Non le dice? Ma tu tuo figlio lo segui o fai finta? Coi professori non ci parli mai, ci scommetterei!

-All'uscita della scuola lo blocco prima di entrare nel parcheggio: "Power, hai dato del c...ino al Pi e a sua madre?". "No ma io...". "SI-O-NO???" perentoria. Mi sembrava di essere il giudice di una corte marziale. "A lui. A sua madre no. Giuro!".
Fermo la madre del Pi. Gli impongo di chiedere scusa. Lui si giustifica. Lei, di fretta, mi dice di lasciar perdere, che sono ragazzate, di non starci male.
-Eh no, caRso, sono ragazzate ma io non ho insegnato a mio figlio che le beghe si risolvono insultando le persone. E non voglio che così si pensi. Nè che si faccia.
-Intanto però l'ha fatto. Bella educazione che dai a tuo figlio. Non sei nemmeno in grado di tenerlo d'occhio. I genitori non sono mai dove dovrebbero essere. Chissà cosa sente in casa, sta creatura.

-Andiamo a casa, pranziamo. Il Power mi dice che a scuola nessuno aveva gli appunti di storia che aveva chiesto. Guarda la chat di classe, ancora nessuno li ha passati. Alchè io stizzita gli dico "senti, adesso scrivi un bel messaggio di ringraziamento per la cortesia che ti hanno riservato. Cappero".
Gli risponde il Pi.
"A scuola ci tratti male tutti quanti, ci riempi di parolacce, e adesso vuoi gli appunti? Arrangiati".
Sul momento mi monta il fumo per la maleducazione del Pi, intimo il Power di lasciare la chat (quando scrive nessuno lo calcola, per i compiti nessuno lo aiuta, si lamenta che si comunicano solo scemenze che a lui non interessano e gli blinka il telefono tutto il pomeriggio per niente, che ci sta a fare in chat? Fuori!").
-Ecco. Non dovevo intromettermi. Se già prima aveva difficoltà a relazionarsi, adesso gli ho troncato le gambe. Dovevo farmi i cavoli miei. Gli ho rovinato i rapporti. Al diavolo me e la mia lingua, e i freni che non ho più. Però qualcosa non mi torna. Mi si sta accendendo una lampadina. Petta petta...
-Certi gentitori fanno più danni dei ragazzini stessi. Non si hanno davvero più parole.

-"Power... io ti ho sempre difeso, ma non è che per caso... no, così sai, non è che "per caso" qualche parolaccia ti è uscita fuori? Perchè io e tuo padre in casa non le usiamo, ma hai insultato qualcuno???"
Al Power sembra salire una scalmana. Quelle che salgono a me da quando sono in menopausa, solo che io non divento viola in volto, inizio solo a sudare come un pezzo di formaggio al sole di luglio un secondo per l'altro, e mi dà fastidio all'improvviso anche l'ombra del moscerino che mi passa davanti, e cerco inutilmente di mandarla via con le mani. Ecco, lui ha iniziato a scalmanare come me, ma è diventato anche del colore della brace in un nanosecondo. Nemmeno balbetto durante una scalmana, credo di aver balbettato poche volte in vita mia. Lui ha iniziato anche a balbettare. E lui balbetta, e a me inizia a salire il fumo alle orecchie. Bell'esempio di causa-effetto.
"E, rarissimamente. No, ogni tanto. Beh si, qualche "str...zo" è volato. E mamma, ho litigato anche col mio compagno di banco. Per scherzare mi ha messo un dito sulla testa e ha iniziato a girarlo, ha detto che così mi passano le arrabbiature, io mi sono arrabbiato di più e ho urlato".
-Dove. Dove ho sbagliato. Per essermi sfuggita una cosa enorme, così "non-si-fa" come questa, dove cappero ho messo gli occhi? Sul cestone della sua biancheria sporca, anzichè dove dovevo metterli? Cioè, mio figlio insulta i compagni? Ma quando mai??? Ma dove, DOVE l'ha imparato???
-Tutta - colpa - dei - genitori. Se i figli si comportano male è tutta-colpa-dei-genitori. 

Già. Facile dirlo.
Che mio figlio non sia mai stato un compagnone è assodato. All'asilo e alle elementari le maestre ne hanno sempre fatto un dramma. Come se non ci dovessero essere persone come lui, come se l'essere solitari fosse la piaga più piaga di una carestia di sette anni senza sette anni di abbondanza prima. E noi giù di psicologa, e compra libri che parlano di come si crescono i figli, e iscriviti a forum di mamme, e cerca di saltarne fuori in tutte le maniere. L'ho portato per tre anni al "Tempo per la Famiglia", ha fatto sei mesi in più di scuola materna perchè ha perso l'anno essendo a gennaio e volevo che iniziasse il prima possibile a stare in mezzo ai suoi coetanei, non gli abbiamo fatto perdere un compleanno finchè arrivavano gli inviti, durante le vacanze c'è sempre stato il parco, quando quello del paese era deserto ci si spostava al parco del paese vicino, se pioveva si andava ai giochi per bambini del centro commerciale a 20km da qui, sotto ad una campana di vetro non lo abbiamo mai tenuto. Lo abbiamo iscritto ad una attività sportiva extra scolastica dalla prima elementare più per farlo stare con altri bambini che non per lo sport in sè. E lui niente: ha sempre allontanato tutti. Fino a credere di aver capito, in prima media, che non c'è proprio nulla da cui saltar fuori: io non ho una cerchia di amiche numerosa quanto la curva di uno stadio, mio marito nemmeno. Abbiamo pochi amici come coppia, pochi amici ma fidati singolarmente (io le mie amiche e mio marito i suoi amici), e stiamo bene. Non ci manca niente: se mi sento sola so con chi andare a prendere un caffè, a chi chiedere un consiglio, da chi farmi ascoltare, con chi togliermi due risate, con chi fare qualcosa di bello, da chi farmi ritirare il Power da scuola quando proprio non ne ho la possibilità e non può rientrare da solo. Eravamo così anche a scuola, ma nessuno ci ha mai chiamato "disadattati". Eravamo riservati, fine.  Io avevo Laura e Cinzia, mio marito non so chi avesse ma aveva due amici anche lui, il Power ha il Gi. Gi che ha sempre meno. Perchè, e lo sto intuendo in questo periodo, evidentemente si sta stufando del Power anche lui, dopo tredici anni. Che loro si conoscono da quando io e sua madre frequentavamo il corso preparto, per inciso.
I professori, fin dall'anno scorso, hanno sempre preso il Power per quello che abbiamo sempre pensato che sia, non per "un problema". Una volta soltanto, in occasione di una sua uscita poco felice (anzi, proprio fuori dai canoni della normale convivenza civile, successe durante la terza settimana della prima media... la prima ed ultima piazzata Poweresca alle medie) mi azzardai a chiedere all'insegnante prevalente se fosse il caso di contattare di nuovo la psicologa che lo ha seguito durante il periodo della mia malattia (cappero, le maestre delle elementari mi chiedevano se ce lo portassi ancora ogni volta che metteva piede a scuola infilando il sinistro prima del destro...). La prof, lo ricordo ancora, nella sua altezza (più alta di me... o forse la percepisco io così, vista la personalità) abbassò gli occhiali, mi guardò dritta e mi rispose "psicologa? E perchè? Non ne vedo il motivo. Queste, signora, sono cose che si sistemano a scuola, non fuori. Gliele togliamo noi certe abitudini, è il nostro lavoro". E così è parzialmente stato. Aveva undici anni. E a noi ancora non pare vero che l'ultima pagella riportasse un "nove" in condotta, nonostante tutto.

Lo dico fuori dai denti. Se fossi una compagna di scuola del Power, lo terrei lontana anche io come fanno gli altri. Ho sempre difeso mio figlio su questo aspetto della sua vita perchè pensavo, convinta, che lo tenessero a distanza perchè è particolare, perchè non si adegua, non si conforma alla massa.
Ma maltrattare le persone non è essere riservati e solitari. Insultarle non è solo non contenere le emozioni. Non è essere particolari. Dire parolacce in mezzo alla gente non è non adeguarsi alla massa, tantomeno dire le cose come le si pensa. E' maleducazione.

Sabato pomeriggio, dopo che sono caduta dal pero della madre che scopre che suo figlio adolescente non è più il bambino che conosceva, mentre lui stava in camera sua (a fare i compiti, pensavo. E invece no: alle sette di sera gli ho intimato di stoppare coi compiti e di andare a lavarsi, e lui candido "quali compiti? Non mi hai mica detto di fare i compiti, tu!". Volevo appenderlo al lampadario. Come è bravo a girare la frittata lui, io non arrivo) io ho fatto di tutto: ho cucinato, stirato, fatto un'ora di cyclette, tutto con foga. Tutto sperando di scaricare tensione nervosa senza urlare, che tanto urlare ormai non serve più a nulla se non a farmi stare peggio. Me.  E ho pianto.
Ho pianto perchè al di là delle parolacce che ha detto e del fatto che maltratta i compagni (che comunque sono cose che hanno un peso enorme, e cercherò di affrontarle, anche se non so ancora come, e per ora - per ora, poi si vedrà - intanto è scattata la punizione), mi sto chiedendo chi sia oggi mio figlio.
Io e mio marito (più io che lui, per forza di cose) non siamo mai mancati a riunioni e colloqui con gli insegnanti. Anzi, ne abbiamo fatti più di quelli previsti dal protocollo, proprio per cercare di farci sfuggire il meno possibile. Ma evidentemente non è bastato.
Non solo. Io e mio marito bisticciamo quando capita, come bisticcia qualsiasi coppia (dove "bisticciare" non è "litigare", che sia chiaro). Sfido chiunque a dire che col proprio partner non bisticcia mai, e se lo dichiara o mente, o non bisticcia perchè non comunica. Ne sono più che certa. Siamo sposati da quasi 17 anni. E in 17 anni di bisticci e rappacificazioni, ma anche di qualche (pochissime, ma ci sono state) litigata tosta, non ci siamo mai, MAI insultati. Mai. Non è mai volato uno "stupido" neanche sussurrato. Perchè si, perchè posso anche pensare che non hai capito niente, ma appellarti con un insulto è un disprezzo, e il disprezzo non riallaccia i rapporti, non risolve la questione, anzi, offende e apre il divario ancora di più. E "per favore-grazie-prego" anche per passarsi il sale a tavola, e "scusa-posso-ti serve?", e "buongiorno, ciao, a dopo". Mia suocera ci prende perfino in giro: "Non servono tanti convenevoli tra marito e moglie". Ma noi no, ligi, ferrei.

E allora, santi tutti del cielo, se tutti mi dicono che è con l'esempio che si educa un figlio, perchè cappero mio figlio sta facendo l'esatto contrario di quello che vede in casa? Non lo capisco, mi sto s-cervellando ma proprio non ci arrivo.
Dicono che con i propri figli bisogna parlare. E sono tredici anni che con mio figlio parlo. Lui parla con me più che con suo padre, perchè con lui passo più tempo, e forse la mamma ha più la vocazione del contenitore che non il papà, chissà. Sempre a spiegare, sempre ad approfondire le cose, sempre a rispondere ai suoi interrogativi, sempre ad analizzare gli eventi, si parla durante i pasti, durante i tragitti in auto, la sera, quando capita e quando serve. Dare spiegazioni quando gli si impone qualcosa, spiegazioni quando lo si sgrida, quando lo si punisce. E ascoltare, ascoltare, ascoltare sempre, anche quando quello che dice annoia da morire o riguarda solo le sue fantasie, ma ascoltare. Ore. E sentirmi orgogliosa perchè mio figlio ancora mi fa le sue confidenze, raccoglierle, trattnerle. Onestamente io non ricordo che i miei genitori, pur nella problematica della mia famiglia, mi abbiano mai parlato tanto. Ma adesso dicono che bisogna parlare ai figli, e non mi/ci siamo mai tirati indietro dal farlo. Bello, bellissimo, fantastico, difficile a volte, ma gratificante.
Fino a ieri.
Perchè adesso che ha tredici anni non va più bene: i suoi "si mamma" adesso servono a chiudermi la bocca perchè c'è altro da fare che non stare ad ascoltare, o "si mamma" perchè non ho voglia di intavolare un discorso, o "si mamma" ma quello che state dicendo non mi interessa perchè non è una cosa pheega, o "si mamma" ma tanto voi non capite niente e come va il mondo lo so io, o "si mamma, la solita pippa". "Si mamma", ma tanto quando sono fuori tiro agisco secondo il mio esclusivo giudizio. "No mamma, non ho niente da dire, posso prendere il pc?".
Come si fa a dialogare in questo modo? Non è il caso di dialogare più? Abbiamo dialogato troppo? Se parlare come prima non si riesce più, per capire perchè si comporta così cosa caspita devo fare???

L'ho letto scritto a caratteri cubitali su un link di Facebook, giusto ieri. Il link rimandava ad un articolo di non so che testata giornalistica online, scritto da non so quale luminare di pedagogia adolescenziale piuttosto che da una mamma-blogger che si inventa dispensatrice di consigli educativi dell'ultimo minuto:
MAMMA, SE TUO FIGLIO E' MALEDUCATO E' COLPA TUA.
Bam! Come una pugnalata sullo stomaco, dopo che hai appena scoperto che tu a tuo figlio insegni rosso e appena scompare dalla tua vista fa verde. Così. Perchè fa figo. Perchè ha deciso che lui è grande e capace di giudizio. Perchè a un certo punto ti si sveglia adolescente e ti rabalta tutte le teorie educative che ti sei pappato fino al giorno prima, e che hai cercato di seguire pedissequamente, sentendoti pure in colpa e inadeguata quando ti rendevi conto di aver saltato dei passaggi perchè, da persona umana perfettamente imperfetta, del mantello di Megawoman-maman in vendita alla sanitaria fuori dall'ospedale nel periodo in cui hai partorito, non sei riuscita ad accaparrarti che un modello in saldo, della taglia sbagliata e anche difettato (l'orlo era cucito male, e solo da lì avresti dovuto annusare la fregatura...). Ma non c'era altro. Un minuto prima c'era la ressa, e a te è rimasto quello. Era anche giorno festivo, e non potevi assolutamente andare a casa senza. Prendere o lasciare.

E non si tratta solo di maleducazione. A me tutto sto allontanare gli altri quando non conformi alle sue aspettative o quando non si comportano secondo i suoi dettami, fa paura. Tanta. Come mi spaventa quel suo modo di risolvere il problema con la filosofia del "non posso averlo ma tanto mi faceva pure schifo": "sto bene anche da solo".
No, quel "sto bene anche da solo" a tredici anni è un ripiego bello e buono per non dover fare lo sforzo di cambiare qualche cosa.
No, non stai bene da solo, se ci soffri così tanto perchè il Gi durante le vacanze ti aveva detto che sarebbe venuto a passare una giornata con te, e poi non l'ha fatto.
No, non stai bene da solo, se non vedi l'ora di avere lo smarphone per metterti in chat, e ci stai male perchè più di qualcuno non ti calcola.
E non stai bene da solo anche perchè quando stai assente da scuola hai bisogno che qualcuno i compiti te li passi. E gli altri non sono macchinette, che basta inserire la monetina e ti sputano il prodotto che desideri: sono persone, e se vuoi ricevere cortesia devi prima dare perlomeno cortesia. E figlio mio, imparalo alla svelta. Perchè domani avrai bisogno di un lavoro. Domani ti innamorerai. Domani vorrai costruirti un futuro. E a me questo fare spallucce, guardando al tuo domani, fa una paura che nemmeno immagini. Ne conoscevo una di persona che litigava anche con l'aria che respirava, e disprezzava anche le ombre di chiunque passava. E sta passando una vecchiaia ben triste.

Dicono che bisogna fregarsene dei giudizi altrui.
Provateci. Quando ascoltate i telegiornali, quando leggete i commenti a certi post su Facebook, quando sentite le chiacchiere delle altre donne fuori dalla scuola o in coda al supermercato, ovunque ci sia la possibilità di sparlare dei problemi altrui. Provate a non sentirvi addosso il giudizio quando il giorno prima ne avete dato uno anche voi, e vi mordereste la lingua un miliardo di volte per aver parlato a vanvera usando luoghi comuni per sentirvi migliori di qualcun altro.
Pure io ho sputato sentenze. Lo facciamo tutti. Ho sparato a voce troppo alta (e un sussurro è già troppo alto) "dove cappero sono quei genitori" nel vedere certe situazioni, prima di scoprire che pure io sono perfettamente cieca più e più volte, e non me ne capacito. 
Quando dite ai figli "la mamma ha gli occhi anche dietro la testa e ai lati", assicuratevi che ci credano, e non fate come me che quando mio figlio ha smesso di crederci non me ne sono manco accorta e ho continuato a crederci solo io. E ho scoperto anche che l'equazione "A+B=C" quando i figli oltrepassano una certa soglia di età anagrafica non vale più. Non ce n'è per nessuno. Vale la sfida. Vale la presunzione (loro), l'arroganza (loro), vale l'esatto contrario di tutto. Quando escono di casa, tu non ci sei. E ancora ti viene sussurrato in un orecchio che devi vigilare, e se tuo figlio si comporta male è sempre e comunque colpa tua. Ti guardi dentro come un pulitore di silos. Ti passi centimetro per centimetro.
Io, mi passo dentro centimetro per centimetro. E il più delle volte mi torna indietro solo il mio eco dentro al silos.

Ultimamente non ho voglia di parlare con nessuno. O quasi. Ci sono cose che non voglio sentirmi dire. Tipo "fai così e colà" da chi non ha figli suoi o li ha ancora piccoli (ti aspetto al varco, tesoro), o "eh aspetta, questo è niente, il peggio viene dopo" (grazie al cavolo, sarebbe di aiuto? Ah, volevi che sapessi che tu stai peggio, è di te che vuoi parlare?).
Quelle che mi fanno sentire meglio  sono solo le mamme che hanno i figli grandi. Oh, che sollievo quando ti dicono "tredici anni? Oh... ", e roteando gli occhi all'indietro "sono solo tre più dieci, nient'altro, mettitela via sai... è il periodo peggiore, ma passa. Si sono solo svegliati una mattina, si sono visti due peli sulle gambe e due brufoli in fronte e si credono uomini perchè sono costretti ad usare un deodorante. Ma gli passa. Tu c'entri relativamente". 
Ecco, ditemelo dieci, cento, mille volte, perchè adesso ne ho tanto bisogno. Mi fa sentire tanto normale. Adesso ho l'autostima sotto le scarpe. Adesso ho solo voglia di sbattere una testa contro un muro, che sia la mia o quella di mio figlio, e sapere che in entrami i casi l'operazione non risolverebbe una beneamata fava è alquanto frustrante.

E speriamo che queste ultime abbiano ragione. Perchè alla mia adolescenza sono sopravvissuta. A quella di mio figlio... non lo so.











giovedì 8 settembre 2016

E finisce anche questa estate

E' quasi mezzanotte. Sono un po' insonne. Forse perchè stasera è una sera particolare, l'ultima delle vacanze (per il Power).
Stasera il Power è andato a letto un po' prima. Solitamente durante l'estate ha un po' più di libertà sugli orari in generale, compreso quello di andare a letto, che comunque non oltrepassa mai le dieci e mezzo. Stasera prima delle nove e mezzo ha voluto salire. Me l'aspettavo.
Era nervoso. Ha piagnucolato. Io lo guardo e lo vedo grande, ha sti atteggiamenti tipici da adole-coso per tutto il giorno, ma la sera come per incanto per qualche minuto torna bambino. Non so perchè, e non mi interessa saperlo, ma finchè dura mi gusto questi strascichi di infanzia proprio perchè sono brevissimi, e temo, gli ultimi.
Dicevo, ha piagnucolato: apparentemente per una scusa stupida (gli ho negato un contentino a tavola. No, non sono una carceriera, semplicemente sarebbe stato l'ennesimo della giornata, e ad un certo punto uno stop deve pur esserci), poi piano piano è uscito il resto. Con una stitichezza nelle espressioni incredibile, tipico della sua età evidentemente, ma sono ancora in grado di decifrare il suo non-verbale per fortuna, e si, nel piagnucolamento e nelle poche sillabe mugugnate c'erano tutte le paure per l'anno scolastico che ricomincia domani, in primis quelle che riguardano la sfera dei suoi rapporti sociali. I suoi. Quelli in cui ormai deve cavarsela totalmente da sè, con tutti gli oneri e gli onori (ma più oneri) del caso. Tutto nella norma, mi ha detto qualcunA, di un adolescente sano. E va bene così.
Domani il Power inizia la seconda media. Tra quattro mesi avrà già tredici anni, e lui alle medie è contento almeno del fatto che ogni anno non si trova ad essere necessariamente il più grande di tutti fisicamente ed anagraficamente, e ad essere scambiato per uno di una classe avanti (cosa che a lui ha sempre creato un discreto imbarazzo), dato che alle medie in ogni classe ci sono sempre dei ripetenti. Come dire, troviamoci un lato positivo. E se fino a ieri non ci pensava, stasera gli è piombato addosso tutto l'anno scolastico a venire come un macigno. Ha dimenticato tutte le cose belle fatte questa estate come per magia.
E dire che, per la prima volta da quando è nato, insieme io e lui (perchè il papà ha praticamente sempre lavorato, purtroppo, ma è un'altra storia) di cose insieme ne abbiamo fatte davvero tante. I dolori articolari sono stati gestibili, dall'intervento dello scorso aprile mi sono ripresa completamente, non ci è mancata la fantasia, il tempo e le energie nemmeno.
Siamo stati diverse volte al mare: ci siamo dotati di carrello/sdraio, doppio ombrellone (vogliamo stare comodi, noi), sdraietta, una scatola-frigo nuova di pacca, e quant'altro serve. Modello "Sherpa", praticamente.
Secchiello e paletta sono stati usati una sola volta: quando si è accorto che i (pochi) suoi coetanei in spiaggia preferivano fare altro, lo ha preso un senso di imbarazzo e ha archiviato la pratica. Meglio, una borsa in meno. Che sotto l'ombrell gli ombrelloni ci sono altre cose piacevoli e rilassanti per passare la giornata.

Abbiamo seguito le olimpiadi, l'unico evento sportivo che appassiona tutti in famiglia.
Abbiamo fatto la spesa sempre insieme.
Siamo stati diverse volte al centro commerciale più vicino, soprattutto ultimamente per fare gli acquisti per la scuola e per l'abbigliamento. Nb.: ha raggiunto il 42 di scarpe, il mister. Che poi lo shopping è solo la scusa per goderci un momento tutto nostro: il caffè al bar.
Cioè, spetta... il caffè è mio, lui ha preso il vizio della tazza di orzo caldo con la pastina. E' la nostra coccola, lui si sente grande in questa cosa. E a me fa piacere.
Abbiamo avuto ospiti ogni tanto. E per lo più ospiti con cui anche poter giocare in piscina, soprattutto il Gi, che è venuto quasi ogni settimana a trascorrere giornate intere con noi (e a me non sembrava vero... sua madre mi ha tanto ringraziato per averle tenuto il ragazzino, ma sono io che ringrazio lei per avermi prestato il suo!).
Qualche volta abbiamo cenato fuori: in giardino, in piazza per la festa in paese, da amici, con la famiglia, alla festa conclusiva del centro estivo.
Abbiamo pedalato. Anzi, abbiamo pedalato tanto. Ho pedalato tantissimo da sola (Runtastic juvat), ma il Power quando ha potuto non si è tirato indietro nell'accompagnarmi per sentieri e piste ciclabili.


E ha condiviso con me anche qualche...
...ferita di guerra.
Abbiamo fatto una valanga di compiti. Si, abbiamo. Ho fatto un ripasso di storia e geografia anch'io. Mi tornerà utile, prima o poi, sapere cos'era il concordato di Worms e perchè la risorsa economica principale della Liguria NON è la pesca. Spero... Quanto al tedesco, buio era per me a giugno, e buio rimane oggi, otto settembre. Non c'è speranza.
Anche nei pomeriggi di pioggia ce la siamo cavati.
Con papà il Power ha grigliato sul caminetto, fatto lavori di manutenzione in giardino, riposto la legna (arrivata sciolta a fine giugno) nella legnaia per il prossimo inverno con pazienza e olio di gomito. 
Ci siamo sdraiati per un bel po' a cercare di afferrare le stelle cadenti di notte, ma la pazienza non è il nostro forte e sta cosa è durata quanto un gatto in autostrada. Non è nemmeno comodo il pavimento del terrazzo veramente, che sdraiati in giardino non si vede una ceppa per via dei lampioni accesi per strada. Ma il terrazzo ci ha visto chiacchierare più di qualche volta. Soprattutto al tramonto, sperando di farci venir voglia di lavare i piatti prima che il sonno ne avesse la meglio.

Vista così pare un'estate idilliaca.
Scendete dalla nuvoletta o voi che leggete. La realtà è che io ci ho visto tantissimi momenti davvero da ricordare positivamente, ma è stata anche molto dura sotto un altro aspetto.
Ho visto il Power cambiare. La scuola ha attutito molto l'impatto con la particolarità dell'età del cavolo, averlo a casa h24 mi ha sbattuto in viso le (normali, appunto, ma devo ancora farci l'abitudine) difficoltà di cui ho già parlato qualche post fa. Con una violenza, una esasperazione e una velocità a cui solo nelle ultime settimane mi sto adattando. Perchè si, lo ammetto, mi sto adattando al fatto che una quotidianità come quella di "prima" non c'è, e non è che mi dispiaccia del tutto, anzi.  Solo a volte è esasperante. Anzi, non solo a volte, diciamo spesso.
E' stata un'estate di tanti silenzi. Giornate di "mamma lasciami in pace", ore chiuso in camera sua, in un legittimo isolamento, tra i suoi legittimi pensieri e legittimi segreti, e tra innumerevoli "mamma non puoi capire" che i primi mi ferivano, e i successivi mi hanno fatto e mi fanno tanta tenerezza. E che mi guardo bene dal contraddire davanti a lui. Non ha nemmeno mai chiesto di andare a dormire dai nonni, mai, e da mia madre una sola volta: la loro compagnia non gli interessa più, si annoia coi loro giochi, le loro attenzioni lo imbarazzano. E non è sbagliato. E' così e basta. E i nonni, tutti e tre, per fortuna lo sanno che non ce l'ha con loro, ma con la vita che lo ha accidentalmente messo in quella via di mezzo che non lo fa sentire nè carne nè pesce.
E' stata un'estate di fiducia e di libertà per me. Finalmente posso lasciarlo da solo per un'ora o qualcosa di più sapendo che se la sa cavare. E' una cosa nuova, più per me che per lui forse, ma potermi riprendere parte degli spazi che ho dovuto per forza di cose mettere da parte quasi tredici anni fa mi sta facendo tanto bene. Posso programmare. Posso decidere. Posso far fronte agli imprevisti con la certezza che il Power può essere finalmente anche una risorsa, non solo una fonte di obblighi. Poco forse, ma quando decido di fare la mia ora quasi quotidiana in sella e non devo scendere a compromessi tra i turni di mio marito e i tira-e-molla (vieni con me, no mamma non ho voglia, muoviti pelandrone, alza il sedere dal divano, non me la sento, mi fanno male le unghie, ok rimango a casa) mi sembra di aver ricevuto in regalo la luna. Perchè so che quando torno a casa trovo un ragazzino in gamba. Quel ragazzino in gamba che dieci giorni fa anzichè litigarsi col cugino di otto anni più giovane e trentacinque chili di meno il tablet per giocare (come è successo l'anno scorso nella stessa occasione, il pranzo con parte dei miei cugini e le famiglie), se lo è preso sulle ginocchia di sua iniziativa e gli ha insegnato con una inaudita pazienza come si gioca. E io e sua madre, che trentacinque anni fa i giochi ce li litigavamo noi, ci siamo perse per qualche istante a guardarli come se avessimo visto un chiwawa ed un orso pedalare su un tandem.

Comunque, domani (anzi oggi, mezzanotte ormai è passata) si parte, destinazione "seconda D".
 E io, anzi noi, anche quest'anno "speriamo che me la cavo".








martedì 16 agosto 2016

I Pokemon meno longevi della storia.

Ore 13,45 circa. Poco dopo aver visto il Tiggì e aver preso il caffè (per me, si capisce). Siamo ancora a tavola. Ce la prendiamo stracomoda.
-Mamma, prova a scaricare sto Pokemon GO và. Vediamo se è così figo. (Il Power non ha lo smartphone, ha solo un vecchio cellulare normale, perciò si parla del mio).
-Ma si, togliamoci sta curiosità.

Ore 13,50: ho liberato spazio in memoria a sufficienza per scaricare la App.
Ore 13,55: ho scaricato la App, la App è installata, iniziamo a smanettarci. Creiamo l'Avatar, le diamo un nome, iniziamo a giocare.
Ore 13,57: siamo in fondo al vialetto (dalla parte opposta ovviamente) in cerca di Pokemon.
Ore 14,00: ne abbiamo trovati un paio. Rientriamo, perchè ho qualcosa da infornare e i piatti da lavare.

-E adesso?
-Adesso dovresti andare in giro per Rivi in cerca di Pokemon.
-A testa bassa come un tonto?

Ore 14,05: App disinstallata con successo.

Fine.





mercoledì 10 agosto 2016

Regali

In fondo al vialetto, interno giorno, ore 19 e qualche minuto. Divano, olimpiadi fisse in tv, Power fisso sul divano, espressione scazzata fissa sul Power. Madre qui e là, tra fornelli e lavanderia. As usual a quest'ora.


-More, sono le sette.
-No...
-Non roteare gli occhi, sono le sette. Guarda l'orologio sopra la porta.
-Non mi va...
-Vai a lavarti.
-Non serve.
-Oggi ti ho spiegato l'importanza del "per favore" anche tra di noi, ma adesso ti do un ordine: VAI-A-LAVARTI. Senza "per favore".
-Uff...
- Alzi le chiappe da quel divano da solo o te le faccio alzare io?
-Perchèèèèèèfffffffffff...
-Perchè devi togliere da sotto al mio naso quell'odore da adolescente che ti porti appresso, prima di cenare. Ecco perchè.

-Ma se lo indosso tutte le mattine appositamente per te, MAMMINA?

Che madre ingrata  -_-





giovedì 21 luglio 2016

Una guerra di nervi

Non sono scomparsa, anche se ultimamente mi capita di sentirne a sprazzi il desiderio.
Sto solo cercando di sopravvivere alla guerra, alla guerra di nervi.

Solitamente ero (ero) una di quelle (poche) mamme che l'ultimo giorno di scuola tirava un sospiro di sollievo: avere mio figlio attorno per tre mesi e non dovermi alzare per forza alle sei e mezzo del mattino sono due cose che mi hanno sempre procurato piacere. Soprattutto la seconda, ma non diteglielo.
Quest'anno la cosa si sta mettendo diversamente: sto contando i giorni che mi/ci separano dal 12 settembre. 53 giorni. Non siamo nemmeno a metà vacanze scolastiche. E' grave.

Sto facendo veramente, ma veramente fatica a gestire il rapporto con mio figlio. Io ci metto la menopausa nel calderone, ma lui ci sta mettendo l'esplosione piena della sua adolescenza (ma non era preadolescenza? No, non più. Ci siamo dentro con braghe e scarpe ormai), e ce la sta mettendo a badili, a TIR, senza scrupoli nè pudore. Di getto, di prepotenza. E se io fino a qualche settimana fa lo guardavo stupita, meravigliata, quasi incantata, adesso sono ai ferri corti fin dal primo mattino. Con lui e con il mio sistema nervoso, perchè se quel briciolo di ragione che mi è rimasto dirige le mie azioni, giuro che il mio istinto non mi suggerisce per niente pensieri civili e umanamente accettabili da parte di una madre.
Faccio perfino fatica a parlarne con mia madre. Quelle poche volte in cui ci ho provato, così, per sfogo, mi sono trovata davanti ad uno sguardo dall'alto al basso (ed è difficile, lei è parecchio più bassa di me, ma porca miseria ci riesce eccome) con occhi stretti e testa diritta (e lei è gobba... per capirci) e un tono di voce basso che mi schernisce con un "ma come, non ti ricordi come eri tu alla sua età?".

No, cavolo, no. Non mi ricordo. Deve essere una di quelle cose che la memoria resetta, rimuove. A parte che io ho vissuto l'adolescenza in un momento particolare della mia vita, è iniziata poco prima che i miei genitori si separassero e finita boh. Ma poi ero femmina, e dei miei dodici anni ricordo solo che volevo a tutti i costi evitare di assomigliare a mia madre, e che piangevo spesso perchè a mia cugina (mia coetanea) era già arrivato il ciclo e a me no (che se mi fossi trattenuta dal piangere sarebbe stato meglio), ma non penso che al Power passino per la testa pensieri del genere. Ah si, mi lamentavo perchè davanti ero piatta (e anche questo avrei fatto meglio ad evitarlo, col senno di poi. Ma vabbè, lo facevano tutte...). Dovrei andare a rileggermi i diari che tenevo quella volta, per saperlo. E non ho voglia di riaprire quel vaso di Pandora. E comunque ci sarà un motivo se passati trent'anni una ha rimosso certe cose alla stessa maniera in cui rimuove i dolori del parto o il PIN del suo primo bancomat. Il guaio è che secondo mia madre, se io mi ricordassi come ero (e ripeto, probabilmente a mia madre sfugge il dettaglio della differenza di sesso tra me e mio figlio, cosa che secondo mio marito è FON-DA-MEN-TA-LE) avrei in mano un chiaro libretto di istruzioni per convivere serenamente col pollo. E non ce l'ho. In pratica vivo alla giornata.

Cos'è che mi fa tanto uscire coi sentimenti? Aaaaahhh... mamme di adolescenti, sbizzarritevi, lo sapete, c'è l'imbarazzo della scelta, ditemi che non è vero e mi metto in cura da uno psichiatra. Bravo.

Al di là dei cambiamenti fisici che ho descritto nel post precedente, ho scoperto che l'adolescente parla col naso. Cioè, non proprio col naso. Non proprio "parla", se devo dirla tutta. Mugugna. Comunica a monosillabi, e quando mette più sillabe insieme ne esce qualcosa di simile al verso di un cadavere con la sinusite. Non so come spiegarmi, nè come rendere l'idea con la tastiera. Pare quasi che l'uso delle vocali "piene" richieda uno sforzo disumano, perciò le si risparmia. E mentre parla (ok, comunica, che però in confronto si esprimono più chiaramente i miei cinque gatti) assume perennemente quell'aria scazzata di chi ne ha piene le scatole del mondo intero e a malapena sopporta che esista attorno a lui. Non ha nemmeno gli occhi del tutto aperti mentre parla: troppa fatica. A qualsiasi ora del giorno.
Le frasi più gettonate sono:
- Se proprio devo...
-Devo?
-Nn c'ho voglia (non NON ho voglia, proprio "NN")
-Adesso?
-Uff... mi tocca...
-Ma non puoi farlo tu?
-Non ce la posso fare.
-Tanto non serve.
-Mi serve.
-Aspetta un momento. Cinque minuti. Un'ora. Tre giorni. La prossima epoca. E' uguale.
-Ho fame.
E' una goduria comunicare così. C'è proprio gusto (e come no). Io che ero abituata ad avere un figlio logorroico dovrei essere contenta di averne uno, ora, che si esprime come uno stitico cronico, no? Lui logorroico lo è ancora, preciso subito, ma solo quando è nervoso. E' logorroico quando va dal dentista (la scena del dentista, lunedì, che cerca di lavorargli in bocca mentre lui fa praticamente il ventriloquo è stata mitica), quando sente il telegiornale e si parla degli ultimi fatti di cronaca, quando i suoi compagni del centro estivo lo prendono in giro. Nervosismi a parte, però, c'è il risparmio di vocaboli in bolletta. E la gratificazione, per una madre, è impagabile.
-More, prepara il tavolo.
-Adesso?
-No, per Natale, è uguale.
-Non chiamarmi More. Mi vergogno.
-Power, ripulisciti quel magazzino che hai per camera, per favore.
-Nn c'ho voglia.
-Non mi interessa, te la fai venire. Ci puoi piantare il radicchio su quel parquet, se riesci a vederlo, una volta che hai rimosso giornalini e fazzoletti di carta sporchi.
-Se proprio devo...
E avanti così. Tutti i giorni.

Ah, altra cosa poi, le prese in giro. Ecco, questo si lo ricordo: le prese in giro. Ogni sacrosantissimo adolescente, penso (e lo dico perchè lo so) sembra credere che tutto il mondo ce l'abbia con lui. Io venivo canzonata per i denti storti e per gli occhiali. Mio marito racconta di esserlo stato perchè era ingenuo e un po' in carne. E tutti e due eravamo convinti di essere dei bersagli fissi. Poi cresci, e chiacchierando con i tuoi coetanei quarant(atre)enni scopri d'incanto che la tua compagna di banco era presa di mira per il modo di ridere, quella con cui giocavi ogni pomeriggio per come si vestiva, suo fratello perchè aveva la erre moscia, e avanti con tutto il repertorio possibile equamente distribuito.
Mio figlio sembra attirare addosso a sè tutta la malevolenza della classe 2004 della intera provincia di Udine, a sentir lui. Per un sacco di motivi, che a fantasia non siamo carenti per niente. E sapete una cosa? Gli ho detto, stufa (andrò all'inferno per questo, lo so), che se non fossi sua madre lo prenderei per il culo anch'io. Perchèèèèèè? Perchè secondo me, che qualcosa del Power conosco (giusto un po'), lui le prese per i fondelli le attira come il miele le mosche. Qualsiasi permaloso le attira, e lui non è permaloso, ma è il RE dei permalosi. E le reazioni di un permaloso, a quell'età (ma anche alla mia, perchè io sono bast...da dentro) producono lo stesso effetto che produce una tanica di alcool sulle braci del barbeque. Sono un invito a nozze. Che è un modo di stare insieme SBAGLIATO, fin lì ci arrivo, ma trovatemi gli adolescenti che seguono i consigli degli adulti e fanno le cose giuste e vi appunto una medaglia di cartone dorato al petto.
Stamattina, mentre stavo facendo colazione, è sceso dalle scale bello fresco di dormita, e mi è uscito spontaneo un complimento, qualcosa del tipo "che bel giovanotto" o qualcosa del genere. A lui è suonato male, e mi ha guardato con un'espressione forzat-corrucciata che a me ha suggerito qualcosa di esattamente contrario, e sono scoppiata a ridere. Non lo avessi mai fatto. Si è scatenata l'apocalisse. Che io "non capisco che queste cose gli fanno male, che anche io lo prendo in giro, che devo lasciarlo in pace, che di prima mattina proprio un bel modo di iniziare la giornata..." 
E CHE E'E'E'E', hai la crisi premestruale??? 
"Me ne vado di sopra! Ma non faccio neanche colazione!". 
"Ti passa!".
La sua camera, il suo rifugium peccatorum inviolabile. E buona giornata. Ore otto e un quarto del mattino.

E insomma: non va bene se lo guardi giusto nel momento giusto, se lo guardi sbagliato nel momento giusto, o lo guardi giusto nel momento sbagliato, o lo guardi sbagliato nel momento sbagliato. E non toccarmi, non sfiorarmi, non toccare e non sfiorare, non spostare, non ascoltare. Non va bene mai. Ma mai-mai-mai. Perchè il mondo è pieno di problemi, e dove non ce ne sono ce li dobbiamo far venire, che se non ce li facciamo venire c'è qualcosa che non va, e allora incazziamoci che a incazzarsi non si sbaglia mai. Ti credo che poi i suoi coetanei lo allontanano.
L'altro giorno, al centro estivo, gli hanno fatto un'onta inaccettabile: uscito dal bagno, gli hanno chiesto (con aria deliberatamente provocatoria, come dei normali dodicenni che iniziano ad avera UNA sola cosa in testa e in fronte...) cosa avesse fatto alla toilette.  
"Ti pare???". 
"E mica ti hanno chiesto la password di Starcraft eh...". 
"SICURAMENTE volevano che gli rispondessi che mi sono fatto una s...". 
"E quindi? Se anche fosse? Sono stati loro a dirti che se le fanno (che poi non ci credo manco per niente, ma evidentemente dirlo fa tanto scena)". 
"E quindi li ho mandati a quel paese. Ma avrei voluto menarli". 
"More, risparmia gli istinti omicidi per altre occasioni, và". 
"E non chiamarmi More!!! Mi vergogno!!!".

E c'è quella maledetta convinzione del mio adole-coso di potermela fare sotto al naso, di mettermela in quel posto, di essere più furbo di me. Di prendermi per esasperazione. Di farmi sentire in colpa perchè lo rimprovero, che lui in fin dei conti che ne sa della vita, in fin dei conti lui a dodici anni e mezzo mica può saperlo che se al mattino la tavola per la colazione non è preparata deve alzare le braccine e prepararla lui senza che glielo si dica almeno otto volte (che se non è pronta evidentemente un motivo c'è, forse che sono fuori a stendere la biancheria lavata, tra cui le SUE mutande e i SUOI calzini, che per togliergli l'odore di scarica ormonale ho dovuto passarli sopra al gas), che  quando si scende dall'auto aiutare la mamma a scaricare la spesa dal bagagliaio non gli accorcerà la vita e che lavare le tazze della colazione durante le vacanze di scuola (tra le altre cose) non gli procurerà un handicap irreversibile. Quando cerca di farti sentire in colpa lo fa con un finto candore che se lo conoscessi poco meno di quanto lo conosco ci cadrei con tutte e due le scarpe, e gli chiederei pure scusa.
E no, se mi inalbero non è per i rifiuti, non è per il dover ripetere millemila volte le stesse cose (oddio, anche si, ma in questo periodo potrei anche anche sorvolarci un pelo, visto che ho capito che devo rassegnarmi al fatto di avere un secondo distratto cronico in casa), ma è per il tono perennemente scazzato con cui mi/ci rivolge la parola. Che per citare un luogo comune, che però ci sta, se ci avessi provato io con i miei trent'anni fa non avrei masticato per tre giorni. E invece no. Il Power ha una mamma e un papà che non lo alzano più da terra da anni ormai, che passati i 30 chili di peso (e lui ormai ne pesa quasi 60) e il metro di altezza non serve più, ma stanno lì a s-cervellarsi giorno dopo giorno sul modo più giusto da adottare per comunicare. E quando sono convinti di averlo trovato, l'aria è già cambiata e pare di dover ripartire da zero.
E avanti così. E dai uno, dai due, dai tre, e cento, e ottocentocinquanta volte al giorno, fino all'ora di andare a dormire (ora di andare a dormire? Parliamone). No, non è una fase della vita. E' una guerra di nervi.

Una cosa che mi fa imbestialire da sempre sono i consigli non richiesti da parte di altre madri. A molte madri danno fastidio. A me fanno imbestialire, soprattutto in questo periodo. E soprattutto quando provengono da madri che hanno figli piccoli, e ce ne sono, convinte di sapere che il loro trufolo funzioni in un certo modo per merito loro, e che continuerà a funzionare in quel certo modo per tutta la vita, e quindi se io adesso mi trovo in un momento di empasse evidentemente ho sbagliato qualcosa nei capitoli precedenti, perciò mi forniscono le loro perle per il rattoppo.
Arrivateci, e poi mi dite. Poi mi spiegherete come mai anche il vostro trufolo non risponde più ai comandi preimpostati, ma và un po' come gli gira, e le fa girare vorticosamente e inaspettatamente anche a voi. Che quando sento dire "dipende da come lo hai tirato su" e "con gli adolescenti bisogna parlare" mi viene da stampare in fronte alla sproloquiante di turno un HA HA HA Arial 258pt nero brillante maiuscolo grassetto sottolineato. Che vorrei averla anch'io, la ricetta. Ma non esiste. O almeno, non credo. E sui consigli di chi figli non ne ha stendo un velo pietoso e passo oltre. Grazie, ma questa è una guerra mia e solo mia. A ognuno l'onore di viversi la propria. Ma poi, si può sapere perchè la gente ci tiene tanto a cercare di farti sentire una emerita scema, quando si parla di figli?

Insomma, mi sento tirata dentro in un vortice, che sicuramente finirà a tempo debito come è finito per me, per mia madre, per mia nonna eccetera eccetera, ma intanto mi travolge. E a volte mi sembra di perderne il controllo, altre mi sforzo di guardare in avanti sperando che ne esca comunque qualcosa di buono. Come tutte, penso. Ogni tanto un respiro si riesce anche a tirare. Tipo la sera, quando prima di andare a dormire mi viene davanti con gli occhi semi-pesti, le spalle ancora più curve e le braccia protese in avanti, perchè lui senza un abbraccio della mamma e un bacio a dormire non ci va. In quel momento mi dimentico tutto, mi sciolgo, mi ricordo cos'è, chi è. O come quando mi chiama dicendo "ho bisogno di dirti una cosa", e si sfoga per un'ora e mezza. Sono le volte in cui realizzo il fatto che sono ancora la sua mamma. Non solo quella che gli prepara i pasti e gli lava le magliette, ma la sua mamma, quella che "tu mi prendi sul serio" e "ho bisogno di un consiglio". E finchè dura, in questo senso, me lo tengo stretto.
Poi il mattino successivo inizia di nuovo con l'immancabile scontro di corna. E come quando aveva due anni, i suoi "terrible two", riaffiora la stessa identica voglia di ricacciare la testa sul cuscino per i successivi tre o quattro anni, o di scappare in qualche posto lontano.

E' una guerra di nervi. Per lui e per me. Per me con lui e per lui con sè stesso. Ma io adolescente lo sono già stata. E c'è una bella differenza, in termini di controllo del sistema nervoso. Spero...