L'angolo adatto per nani, ballerine, cantanti, troie, alcolizzati e illusi. Ovviamente qui nulla è serio...se sei dei nostri...benvenuto, entra pure

mercoledì, febbraio 27, 2013

Solitudine

Non scrivevo da tanto perchè non avevo nulla da dire.
Anche ora non ho molto da dire, ma non ho nessuno con cui parlare. Difficile descrivere
le sensazioni e ancor più difficile far comprendere lo stato.
Ho trentadue anni, non sono pochi e non sono tanti. La cosa che fa più rabbia è quel senso
di impotenza quando cerchi di fare. Mi spiego. Ci provo.
Non sono triste, sono ancora conscio che nei miei trentadue anni ho fatto cose giuste e
combattuto le mie battaglie. Sono uno che si appassiona, che sa piangere e sa sudare,
che sa combattere e sa perdere. L'ho fatto come potevo e lo farò come potrò.
Non voglio pensare a come o dove ma lo farò. Lo faccio per le mie idee, con il mio progetto
e con le mie azioni. Lo faccio essendo considerato da molti un perditempo e un coglione.
Lo faccio vedendo negli occhi di molti la preoccupazione per il mio futuro, per ciò che sarò.
Mi vedo anche io tra 5 anni senza nulla, è il mio incubo ricorrente tutte le sere prima di
andare a letto, prima di chiudere gli occhi, anche quando bevo.
E' la prima motivazione per cui mi alzo al mattino e spero di non darla vinta a me. Alle mie
ansie e alle mie paure. Lo faccio credendo in ciò che faccio e prendendomi delle scelte che
forse tra non molto rimpiangerò.
Lo faccio senza lamentarmi e chiedere aiuto. Lo faccio.
Ma è sempre difficile farlo quando intorno a te vedi tronfare il nulla. Quando capisci che gli
sforzi sono inutili, che il banale vince sul pensiero.
Non mi riferisco solo alle elezioni, ma hanno influito. Credere in un cambiamento poi
fallito porta per forza allo stordimento.
Questo è, così mi sento. Stordito per come sono, per ciò che faccio, per ciò che ho fatto.
Ho trentadue anni e alla mia età mio padre era da poco padre. Io è meglio che lascio perdere
il capitolo, ma diciamo che ho fallito. Il rischio di fallire è proprio dietro ogni angolo.
Non voglio avere le paure di mio padre e mio nonno, non voglio aver timori. Mi hanno
dato molto, voglio dare tutto. Per cosa non lo so. Non credo più, ne sono quasi certo che il
mio futuro sarà di esser padre. Lo credevo, non lo penso più.
Quali certezze posso dare, che certezze possiamo dare.
La sensazione oggi è di essere solo, non è un status ne un motto. Una sensazione.
Pur avendo gente attorno, pur condividendo molto.
Solo in mezzo agli altri. Andrò a letto con le mie paure, penserò alla mia instabilità,
al mio non lavoro, ai miei sogni. Mi dirò che devo crescere. Mi risponderò che ho più coglioni
io di molti altri. Mi riderò in faccia e mi alzerò ancora più voglioso.
Lasciatemi sfogare questo mio stato con me stesso. Solo.
Perchè solo si può essere anche in mezzo a mille altri come te.
L'importante è non perder mai la speranza che un giorno anche solo un progetto dei
mille pensati trovi concretezza. Mi basterebbe.

Scusate tutte queste parole, alcuni le troveranno melense altri diranno che lo faccio per
farmi bello. I pochi che mi conoscono, molti dei quali non leggono questo blog , sanno
che son sincero.
Ho trentadue anni e spesso ho paura. Prima di andare a letto, quando guardo il mio conto
in banca, quando mi faccio la barba.
Domani mi sveglierò e mi maledirò i miei pensieri.

mercoledì, gennaio 16, 2013

Io non sono Dicembre

Dicembre era un miraggio, passato presente e futuro. Venne dentro senza nemmeno
chiedere il permesso, forte del lavoro fatto. Accartocciato e gettato.
Dell'esperienza passata teneva il ricordo e la consapevolezza, ma ricercava con ansia
fuori da se stesso ciò che poteva essere il suo bene. Un bene effimero, un bene che 
non era star sereno con se stesso. 
Dicembre aveva ansia di avere pace e la cercava con la guerra.
La sete di tranquillità sfogata in boccali di birra, come se nulla fosse e come se
tutto fosse normale. Sete di vita e fame di morte.
Non dormire, non mangiare, bere. Non amare, non provare, odiare.
Tutte le vie del futile e del facile erano il modo migliore per toccare l'utile. La 
sensazione di forza riempiva le pieghe del viso di Dicembre, in ogni suo posa e 
in ogni suo foto. Distruggere era la sola azione a quel costruire in cui nei mesi 
precedenti si era forgiato e migliorato.
Dicembre distrusse novembre e ottobre, scavalcò l'estate e tornò a marzo.
Pensieri di forza, ricerche forzate. L'ansia di cercare qualcosa fuori.
Desiderare la fine per non avere nuovi inizi. Dicembre si guardò allo specchio,
era giunto alla fine dei suoi giorni e alla fine del suo esistere. Poteva solo peggiorare
o trovare l'interruttore per riaccendere la luce.
Fu lì che ci fu luce come di colpo o per fortuna, anche se di certo era solo
volontà. Quella voglia di tornare ad essere come era, non Dicembre.
Ripercorrendo piccoli passi, ignorando chi non ti è vicino. Ignorando cosa e chi può 
essere ansia, per trovare dentro sè cosa manca. 
Provare odio, amore, paura, dolore, gioia. Tornare a sorridere per un gioco, meravigliarsi
per la mano di un bambino, calmarsi per un corso d'acqua e incazzarsi se le cose non 
vanno. Emozionandosi ancora. Piangere e ridere.
Prendendo il proprio IO debole e facendolo crescere come un bambino, senza 
andargli contro ma educandolo, consigliandolo come un amico. 
Dove sia andato Dicembre non si sa. Si sa solo che dopo un pianto innaturale di lui
non si hanno più tracce. Almeno per ora.

lunedì, dicembre 31, 2012

Il colpo di teatro


L'inizio peggiore è parlar di storie vere. Allora dirò che la storia l'ho inventata
da un racconto sentito per caso in un bar. Non uno di quelli belli, con le luci 
colorate che tanto piacciono a quelli perbene. Non un bar da happy hour, no.
Uno di quei bar di quartiere, con la polvere e la gente sdentata, i ricordi e le 
canzoni di Gaber e Jannacci in sottofondo. 
Per dare un peso alle mie parole e al mio star male scriverò indossando la mia 
giacca migliore, una camicia bianca appena stirata e cambierò anche le mutande.
Lo specchio mi renderà la migliore immagine che ho, quella che ho sempre 
cercato di donare agli sguardi dolci e pieni d'amore della mia mamma. 
Lo farò per la sollenità e il l'importanza che hanno gli ultimi.
Sotto il ponte aspetteremo la dolce vergine passare, nuda e sbigottita tra le 
fredde onde e le nostre risate consapevoli. Fermi a guardare le onde che 
compiono il loro dovere senza pensare alla storia e ai sentimenti della trasportata. 
Eliminare le nostre passioni e formare i nostri retaggi.
Sdraiati sotto il ponte abbracceremo cuscini e penseremo distratti al vecchio
pagliaccio. Non al clown imbellettato della televisione e poi a lui non piacevano 
le parole straniere. Non invecchierò per esibire i ricordi del mio passato come 
medaglie, diceva sempre, sono un pagliaccio e come tale dovrò scomparire. 
Un colpo di teatro, un appuntamento fissato cui non parteciperò e poi via, 
così come son venuto. In fondo me ne andrò senza trucco, la maschera che 
avete sempre conosciuto sarà impressa nelle mie parole, le mie risate e i 
miei ricordi. Non so dove le ho comprare, in quale mercato le ho scovate ma 
son certo che eran mie come il diritto di lasciare tutto nel momento in cui non 
lo sento più mio. 
Tornerete a casa soddisfatti per l'ultima risata che vi ho fatto fare, l'ultimo sospiro 
prima di tornare alla sensazione che già conoscete. Diversa dal mio vuoto, 
differente dalle mie ansie. Perchè sono un pagliaccio, non un clown. 
Uno che spende i pochi soldi per colmare i vuoti culturali del suo essere e 
sbuccia cipolle solo perchè almeno può piangere senza dare nell'occhio.
Quell'occhio che lo vuol vedere sempre sorridente, perchè è il pagliaccio.
Un colpo di teatro può toglier di mezzo il teatrante, ma il pagliaccio è un 
artista e allora il colpo è d'arte.
Sarò in quel posto a quell'ora e sarà meglio del solito, perchè saran ricordi.
Fu così che disse il pagliaccio senza trucco e sorriso, senza maschera e vestito.
Lasciò gli altri così, sulla riva del fiume sotto il ponte in cui li rese la condizione 
passata. Togliendo la camicia pulita, senza nulla addosso, un ultimo sorso al 
bicchierino di bianco e poi via. Ci rivedremo forse, prima o poi.

giovedì, dicembre 06, 2012

Post onanistico, antisnob e populistico

Farà piacere anche un mazzo di rose o una pacca sulle spalle al vincitore della gara o
alla fine dello spettacolo. Vanno osannati i primi ma anche all'ultimo non lo si lascia
andare via a mani vuote.
Una fetta di salame, un pezzo di pane. Non avendo mogli ubriache è anche più facile
avere sempre la botte piena per un bicchiere di vino. Anche se sei astemio.
Io non bevo mai per piacere o diletto, lo faccio solo per sete e per dormire la sera.
Però non voglio bere solo, ma soltanto in mezzo a una folla che mi applaude.
Perchè son primo o più facilmente perchè sono arrivato ultimo, ma mi sono impegnato
ed ero anche quello vestito meglio. Bravo bimbo, "sorridi a mamma".
Alla fine è tutta questione di merito, anche il demerito è qualcosa che ti devi guadagnare,
come il rispetto, i soldi per il divano, la gita in barca dentro casa quando la lavatrice
butta acqua da tutti i buchi. Quando fuori piove non avere l'ombrello non è
un atteggiamento ma è attitudine.
Non basta l'abito a fare il monaco e non serve un giubbotto di pelle per essere un rocker
e spaventare le vecchie per strada. Serve la testa, serve il cuore.
Serve sentire come sta un'altra persona anche soltanto guardando gli occhi tristi mentre
ride fino a piangere. Perchè piangere a volte è come prendere a schiaffi i propri fantasmi,
ma piangere non è facile, lo fanno solo gli uomini veri.
Io voglio fare qualcosa di utile, anche nel sognare o nell'arrivare ultimo. Magari anche
nel non arrivare, perchè mi son fermato a un bar a giocare a scopa coi vecchi o ai bordi del
Naviglio ad aspettare che passi il mio cadavere, contando le stelle e ricominciando quando
perdo il conto.
Io voglio essere venerato tra tutti gli scrittori di blog inutili e gli inutili, fottuti
schiacciatori di tasti da twetter, tra cacciatori di pensieri e taggatori anonimi di foto senza
senso. Voglio che mi venga riconosciuta la mia stazza, voglio che quando passo mi si saluti
come quando nei paesini passava il maestro della scuola elementare.
Voglio che si adori chi ha il coraggio di scrivere, di cantare, di pensare, di mandare un
messaggio di troppo e dire come stanno le cose.
Un giorno, tanto tempo fa, pensavo ce l'avrei fatta. Ora dico solo che vorrei essere adorato.
Voglio e non vorrei.
Non mi bastano mazzi di rose, conigli pelosi di peluche e cenni con le mani. Gente che scrive solo documenti destinati a non essere letti e ad ingiallirsi non può e non deve più scherzarci sopra. Non glielo permetterò più fosse anche l'ultima cosa che farò prima di fare colazione. Io voglio l'adorazione del non essere famoso, del non essere bello, dell'essere sempre e comunque qualcosa di fuori posto.
Ma di presente ragionato e valutato.
Non sono impazzito, non è lo sclero di un matto, a meno che per matto non si intenda
qualcuno che fa cose che altri non farebbero, non rischierebbero. Mi son sempre piaciute le cose
vere anche se sbagliate, un pianto vero a un finto sorriso. Un vero amico a profili inventati.
Non importa quello che tu dici di me o come consideri ciò che scrivo. Importa che io lo faccia e
che voglio essere adorato perchè lo faccio.

mercoledì, novembre 28, 2012

Nel dubbio è giusto che io sappia che la deriva depressiva del mondo postmoderno non mi piace

Non mi piace sentirmi di troppo del tipo "sai c'è anche un mio amico, sai che dici usciamo, sai che pensi ti va di aggiungerti", non capisco i romanzi d'amore e i fotoromanzi. Aspetto sempre che si spoglino e scopino e alla fine non succede. Si baciano in riva al mare, anche se è inverno e siamo a Milano o Cologno Monzese.
Non mi piace sentirmi un peso per casa mia, che non è abituata a me e alle mie bestemmie libera mente. Son due giorni che l'occhio sinistro a tratti non funziona. Mi taglio i baffi ma non funziona a farlo passare. Ieri Alessandro mi diceva che il fatto che non riusciamo a digerire è dato dal nervosismo interiore. Io gli ho risposto che vomito anche per una mela mangiata a metà pomeriggio e anche se sono a digiuno dal mattino. Mangio male e poco. Bevo male e poco. Alla fine la soluzione gliel'ho data. La gioia non va più di moda.
Ma lui dice "di quale essenza siamo schiavi?", ma non è l'essenza è che si è senza.
Cosa non lo so. Però non mi piace.
Cammino anche per andare in bagno, facendo due volte la strada che divide il divano dal cesso senza senso avanti e indietro. Sarebbe bello vivere in una casa non mia per consumare il pavimento altrui. E comunque il riscaldamento ancora non lo accendo.
Sai non mi piace pensare che negli Stati Uniti sono migliaia quelli sotto i trentacinque anni che vivono per strada. Non mi piace anche perchè Milano non è Roma e non ci sono tanti ponti, sopratutto in centro, non amo la periferia.
La periferia non mi piace, i margini mentali mi piacciono.
Nel dubbio non mi piace sentirmi inutile, è giusto tu lo sappia prima di sentirmi dire "che ora è?" solo per darmi qualcosa da fare. Non mi piacciono gli orologi e gli ombrelli.
Non mi piace la moda. Non conosco Gioia. La gioia non va più di moda, ma allora di quale dipendenza siamo schiavi? forse dipende da qualcosa.
Ieri ho preso molta acqua camminando per tornare a casa. Ma non riesco a prendere la febbre o il mal di gola. Nemmeno andando a letto con i capelli bagnati. Non riesco a potermi prendere cura di me.
Non mi piace camminare senza musica perchè non mi piace pensare in serate come ieri sera.
Non mi piace essere bello intelligente e sexy. Ma tanto non è un mio problema.
Ho mangiato una mela da poco per pranzo e non la digerisco. Mi prendo un altro caffè. Doppio. Forse è la soluzione prima di prendere la via per andare da qualche parte. Dove? Non mi piace andare tanto per andare. Non mi piace nemmeno fare le cose tanto per farle. Ma cazzo non mi piace nemmeno la parola pianificazione, mi dà l'idea di capitalismo.
Non mi piace chi vuole entrare in casa mia per benedirla e chi invece entra per entrare. Niente
come la noia può ammazzare una mente fervente, immagina la mia.
Non mi piace il democristiano anche se nuovo e lanciato, ma nemmeno chi dalla "generazione
dei padri" che ci ha rovinato pensa di cambiarmi la vita. Che poi già cambia da sè e non mi piace.
Vado al mare, vado al mare, vado in bici e per pensare.
Non mi piace che avrei bisogno di mio nonno per avere in casa qualcuno con cui parlare su tutto. Donne e calcio, macchine e politica e senza mai arrivare a una conclusione, perchè chiudere un discorso come si chiude una scatola di cartone per poi archiviarlo non serve a nessuno.
Serve a dare certezze a chi ne ha bisogno e me non piacciono troppe certezze. Mi danno sicurezze. Allora vado al mare.
Non mi piace che questo post perchè l'ho scritto per me e non per qualcuno, anzichè parlarmi.
Tu, qualcuno, ogni tanto pensa che magari potresti portarmi a pisciare. Potrei averne bisogno.

venerdì, novembre 23, 2012

Per Nessuno è quasinverno

quasinverno é quello spazio vuoto dove tutto é niente, ma è anche freddo e umido. Non si sta 
bene a quasinverno, a meno che non si voglia stare soli, senza parlare, facendo le nuvolette 
ogni volta che si respira un pò più forte. Ogni volta che si sospira. quasinverno è nausea per 
una musica triste, senso di inappartenenza a tutto. A quasinverno si è Nessuno e nessuno è 
mai a quasinverno. Si fa presto a cantare canzoni immaginarie e a sentirsi pieni di vita.
Ma il pensiero toglie energia, toglie sicurezza, porta acqua sporca e temporali.
La radio vecchia parla di elezioni e dice che tornerà un'altra estate. Paoli lo diceva con 
speranza, ma non ha mai avuto gioia. Quasi come amasse il mare d'inverno. quasinverno.
Invasioni immaginarie che invadono la mente, da un emisfero all'altro, dal reale all'involontario.
Razionalità contro istinto, finisce in pari e vince Nessuno. Affoga tutto nell'apatia e ruba i 
colori, per venderli sottobanco al mercato nero di quasinverno, quando arriveranno i surfisti 
a solcare il mare dei pensieri di Nessuno. 
Pagine bianche dove le onde alte arrivano fino al margine del foglio. Tsunami di inazioni. 
Ma il colpo di stato mentale è dietro l'angolo, il giorno di redenzione del quasinverno e l'arrivo 
della primavvera. L'elezione dello stato mentale, senza organi ministeriali, ormonali e anali. 
Vincerà qualcuno che avrà sconfitto Nessuno. Fare primarie tra "come ti senti" "come stai" 
"contro chi vuoi andare" per poi scegliere scheda bianca. Un microchip emozionale incastrato 
al dito medio della mano destra. Nascosto alle telecamere.
Quando é quasinverno i dubbi diventano certezze e i difetti altrui son le cose che più invidi.
Le persone stupide, l'ignoranza altrui, la calvizie, il fisico perfetto. Tutto sembra diverso a quasinverno. Anche il freddo non è freddo e chi non lo riconosce si chiude in casa, con tazze 
di cioccolata, camini e colpi di vita fumante o polverizzata.  Io Nessuno l'ho visto nelle mie 
foto e non volevo riconoscerlo. Infatti lo confendevo con altri volti. 
Ma nelle vite le stagioni cambiano e a vent'anni quando sorridevi c'era altro in quello sguardo.
Chiamala rabbia chiamalo sogno, magari solo furire, ma non ti avevano ancora tolto nulla 
e in quel viso non si vedeva ancora quello che saresti diventato, quel mostro a mille teste 
nella terra di quasinverno che tutti chiamano Nessuno. Che ora pensa di sognare e sogna 
di godere. Pagando in visi belli a cattivo gioco, in serrature inespresse e conti da saldare. 
Senza volerlo sei cambiato e senza far bene o male hai sbagliato. 
Si sbaglia sempre a quasinverno. Qui è già complicato capire cosa si vuole fare, figuriamoci 
quanto sia facile fare ciò che si dovrebbe fare. 
Forse fosse uno scrittore, un cantante o un imbianchino Nessuno saprebbe bene come definirsi, magari colorando quasinverno. E' così che i Giusti escono da quasinverno e passano 
a primavvera ed è sempre così che Nessuno vaga per il bianco freddo e umido torpore di quasinverno.

lunedì, novembre 19, 2012

Quando gli angeli cagano bombe e scorreggiano lacrimogeni

Non sono sicuro che se avessi un figlio, oggi, mi ringrazierebbe per averlo messo al Mondo. 
Subito non se ne accorgerebbe, ma poi verrebbe a chiedermi il conto.
Scelta personale o naturale bisogno di far progredire la specie?
Ma sopratutto mi chiedo, davanti allo specchio, se questa specie debba evolversi o se non sia
meglio lasciarla estinguere, contribuendo e uccidendo chi la blocca.
Penso che il Pianeta verrà salvato soltanto da chi inventerà le armi intelligenti, in grado di
selezionare chi rovina la specie. Senza razze, colori e religioni. Solo guardando la mente.
Il Pianeta non verrà salvato da un ambientalista e nemmeno da un santone di colore.
Il sole, la pioggia. Il giallo regala gioia e abbronza i corpi, permettendo un valido motivo per spogliarci dalle nostra paure. Ma secca la terra e brucia i fiori, mette sete e acuisce i dubbi. L'acqua nutre i frutti e le verdure, disseta e rinfresca quando il caldo ci riduce a terra, ma rattrista i nostri cuori perchè l'ombrello non piace a nessuno.
Per cui non servono diserbanti e ombrelloni, mantelle e occhiali da sole.
Sarà la morte delle menti inutili a portarci alla salvezza. La Morte.
Tutto sarebbe facile se non ci fosse il bisogno di iniziare. Tutto sta a iniziar le cose, anche a caso e anche senza senso, poi tutto viene e acquista la sua linea naturale. Anche se a un passo dal traguardo ti sei perso e non trovi più la strada, anche se arrivi ultimo e conta solo vincere.
Come una giostra e la ragazza che ci crebbe sopra, senza mai uscirne. Nella trappola del suo luogo preferito, giocava con la morte credendosi immortale. Ma anche prendendo sempre la coda di volpe che fa vincere il giro successivo, anche non scendendo mai, prima o poi la Morte si innamorarebbe anche di lei. Portandola via. Perdendo la gara con la Morte, senza averla mai giocata.
Vorrei perdere ogni giorno nella gara delle decisioni, per i miei ideali inesistenti, a testa alta. Diceva il ragazzino che non prendeva mai la coda di volpe. Ma forse le giostre non esistono e ci sono solo nelle favole. Ma le favole esistono solo se sai vederle la prima volta che te le raccontano, poi si trasformano in cose già sentite, che hanno immaginato menti non più vergini. Che hanno perso la poesia, come i vecchi che hanno visto tutto e non si meravigliano di niente, fermi sulle loro sedie al tavolino del bar, con le stesse carte in mano da vent'anni.
Gli stessi vecchi che oggi riempiono le banchine dei mezzi pubblici, usate come luogo di ritrovo per scambiare ricordi e pensieri. La "favola pensione" non gli permette neppure due bicchieri di vino al solito bar, con il solito tavolino.
Un certo disagio a volte porta a credere in Dio, chiunque esso sia. Il mio porta al vino. Prosit.

martedì, novembre 06, 2012

Il primo incubo della notte non si scorda mai

Mi chiamo S e ho trentuno anni di cui parte passati in compagnia e un'altra parte solo.
Per un pezzo di questi anni sono stato seduto, per un altro in coda in posta, al supermercato, allo stadio, in autostrada o al semaforo, dal medico. Una parte l'ho passata ad attendere un autobus e molto di più l'ho passato a camminare o a correre, che restare fermo mi fa paura.
Ho trascorso un pezzo dei trentuno anni a letto, a mangiare, a cagare e farmi una doccia. Molto tempo l'ho dedicato a me, altro ad ascoltare le cazzate degli altri e a far sentire le mie, a lavorare o a provare a farlo, a studiare e a leggere. Nel tempo libero ho scritto e contribuito all'arricchimento di birrerie e ristoranti. Si vede si dirà. E' vero si risponderà.
Mi chiamo S e ho trentuno anni, i primi 6 passati a giocare, altri 5 a imparare a scrivere e leggere e a mettere insieme le basi per costruire le altesse. Poi altri 10 a costruire le altezze per capire che alla fine la base basta e avanza e del resto non te ne fai nulla. Da lì in poi ho provato a nascondere tutte le basi con strati di inutilità sino ad esser giunto a una conclusione chiara. Ovvero che la nebbia è il tempo migliore per chi non ha nulla da far vedere, sentire e annusare.
Mi chiamo S e ho trentuno anni, ma non volevo parlare di questo. Io so nuotare, così così, non lo faccio mai perchè mi annoia. Ma so farlo.
Eppure ho sognato di esser morto così, nuotando verso il fondo. Non annegando ma nuotando verso il fondo in una atmosfera normale, in un qualcosa di quotidiano e quindi personalmente comprensibile.
Al mio fianco un pinguino diceva cose strane in una lingua non mia.
Ho sognato perchè poi mi sono svegliato, triste, asciutto e senza profondità.
Le mutande non erano bagnate, i capelli asciutti e un senso di nostalgico dissapore. Non era il salato dell'acqua di mare e neppure un odore salmastro di mare. Era il sapore del niente.
Non so descriverlo altrimenti sarei uno scrittore e non un non so cosa. Dopo un lungo percorso, una nuotata di non so quanti minuti, mi son bloccato di colpo. Nei sogni non si percepisce il tempo, secondi sono anni, anni sono un coma. Stavo dormendo purtroppo o per fortuna.
Mi son bloccato e sotto di me c'era una processione, dietro a una bara vuota.
Non ho indagato se fosse la mia. Mi sono bloccato e non ho controllato chi ci fosse. Non mi interessa sapere i presenti. Il blocco è durato fino al risveglio, una lenta agonia o un rapido shock. Non lo so.
Mi piacerebbe solo sapere che mare era quello, sempre che fosse un mare. Cosa ci faceva un pinguino nel mio sogno, sempre che fosse un sogno. Mi piacerebbe anche avere un gost writer cui spiegare quello che vorrei scrivere per farlo capire e anche i capelli lunghi. Più lunghi, e anche i capelli.
In fondo ho visto che il giorno del giudizio personale non è male, nuotando verso il basso senza annegare.
Mi chiamo S e ho trentuno anni. Quando ero più giovane pensavo fossero sprecati gli anni che avevo, immaginandomi così come sono. Che stronzo ero...ma ora mi evito le finte illusioni e mi riempio con le delusioni, senza pensare al resto. Tanto siamo in un periodo dove siamo tutti scrittori, poeti, cantanti, analisti  e c'è sempre tempo per nuotare verso il basso.

martedì, ottobre 23, 2012

Non chiedere a un degente di scalare una montagna

Stanco per quei pomeriggi al vento, senza una dimora per la nostra testa. Qualche giorno aspetto ancora mio nonno all'angolo di via Tolstoj, attendendo che mi chieda se voglio che mi porti lo zaino, dopo la scuola. Risentito rispondere che ce la posso fare da solo, che sono grande ormai. Ma in cuor mio felice di questa attenzione, che me lo chieda. Che sia lui a chiedermelo.
Perchè non mi mancano le attenzioni, quelle non le ho mai cercate e quando mi servono me le vado a prendere. Erano quelle attenzioni e quelle parole, quei discorsi.
Quel dire grazie senza aprire bocca, quel cercare il suo assenso nel mio non fare niente.
Stanco per quel troppo parlare, con la pancia all'aria e il divertimento tra le mani. Passare inosservati nel parco della propria zona, con la birra fredda in mano e pensieri caldi in testa, sentirsi vecchi a diciottanni, a diciannove, a venti. Passare il tempo a stringere i pugni e pensare lontano, faremo i cantanti, gli attori, gli operai. Ma resteremo amici e forse non lo siamo più. Non lo siamo più tutti i giorni, non lo siamo più nel fare i compiti insieme e nel parlare di ragazze. Non lo siamo nel sognare in futuro di cambiarci il presente. Ma quando ci si rivede, alla minima cazzata c'è lo sguardo, quello sguardo che ti svolta il momento. L'attimo. Torna quella panchina, tornano le mezzore passate in auto a discutere sul testo della canzone degli Afterhours e quelle spese in cui da mangiare non c'era un cazzo, ma l'alcol era sempre troppo, eppure non bastava mai.
Stanco di andare sempre a capo quando quello che vorrei scrivere dovrebbe stare sulla stessa riga, per non confondere chi legge e lasciar la mente verso lontane distrazioni. Correre su un campo, sporcarmi le scarpe, insegnare il poco che ho imparato. Non dirmi altro, spezzami le aspettative ma lascia l'idea che possa crescere tra l'erba marcia. Non ho mai pensato di avere una testa sana, nemmeno quando mi avevan detto che non sono scemo. Era mio padre o forse un suo amico, eran belle parole ma le presi come una buona notte. C'era gente che piangeva per molto meno, io in mezzo alla gente piango solo per i goal di Milito e i pugni al cielo, pensando a come è stata dura crescere a Milano per un interista.
Stanco per le coperte corte e i riscaldamente accesi, le vite accese da uno sguardo nuovo e la televisione che accompagna la giornata di qualcuno senza aggiungere niente se non la consapevolezza che è bel soprammobile. La produzione odierna regala il futile, la maggior parte dei lavori non produce nulla di concreto, ci avevate mai pensato? web, spettacolo, facebook, promozione. Niente ha più a che fare con la fabbrica, il turno, il materiale, il campo. A volte ho la sensazione di non fare un cazzo e altre volte è proprio così. Leggere Pennacchi mi ci ha fatto pensare. Leggere la mia carta di identità mi ha dato conferma.
Stanco del sole del mare del cielo delle panchine delle birre a metà e di quelle intere. Come quando per non sapere nè leggere nè scrivere decidevo da solo cosa sarebbe stato di tutti noi. Disegnavo i futuri e scrivevo i passati. Inventavo anche super eroi con i rasta e i capelli cromati. Dicevano fossi creativo e son passato a farmi fare i tatuaggi per non reggere troppa pressione. Ma alla fine c'è sempre un inizio e un inizio termina in una fine. Come un cerchio o un circuito. Una vita e non una spirale.
Farsi male e rotolare sull'erba e guarire per rotolarci ancora.
Adesso mi fermo un pò qui, son stanco per vincere o perdere una partita. Son stanco anche di stare in panchina e non lo so. Aspettare il tram mi da sempre un pò fastidio, magari arrivo all'angolo e aspetto mio nonno che venga a prendermi dopo la scuola, ma forse arriverà prima il tram.
Ci potrei scommettere.

martedì, ottobre 16, 2012

Avevo registrato tutto, ma ho cancellato anche il titolo

Ho registrato su un coso il mio ultimo post prima di mettere fine a tutto.
Ho registrato con voce suadente, da attore di teatro. Di quelli che fingono di saper recitare e invece fanno la parte dell'attore solo per scoparsi le scolare della Scuola di Teatro. Una volta ne ho incontrato uno di non so dove, forse, comunque pugliese. Volevo dirglielo che faceva l'attore attempato solo per scopare. Ma non l'ho fatto. Adesso però ho fame e ho registrato il mio ultimo e bellissimo post.
Parla del progresso e del regresso pregresso. Parla di quando mi sono offeso e di cosa mi offende.
Delle mie fobie e manie di grandezza. Cose mai dette, come tutti gli entusiasmi che ho ucciso sul nascere. Ho detto tutto a ruota libera, come se di fronte avessi la mia psicoanalista.
Cose se. Come quando fuori piove. Come.
Ho registrato, l'ho già detto e poi ho cancellato tutto. Tutto cancellato con un semplice tasto.
Magari lo posso raccontare a voce a tutti voi, prima o poi. A tutti quelli che mi diranno "sai ho letto che hai cancellato...". Anche se forse non sarà di vostro interesse.
Sapere perchè è il caso di smettere, perchè è il caso di continuare.
Qualcuno ancora oggi mi fa battute sul fatto che io scriva, senza ricordarsi qual'è l'ultima volta che si è visto dentro o ha avuto il coraggio di tirarsi fuori. Senza parrucche, senza maschere, senza tatuaggi.
Avevo registrato in rima, come solo i grandi poeti. Lo giuro mamma, come la poesia che non ho mai imparato a memoria a scuola, ma non è colpa mia se ho sempre pensato non servisse a un cazzo, imparare a memoria.
Poi mi fermavo sempre ai giardini, per cancellare le lezioni e imparare a stare all'aria aperta. Perchè il giardino era l'orizzonte dalla finestra della scuola e perchè l'alternativa di altri compagni era andare a vedere la televisione. Melgio vederli vicini e reali gli orizzonti, per poi sognare quello che c'è dietro. Senza vincoli di schermo o di sacralità. Che poi Dio non c'entra un cazzo. Lui è solo immagine.
Come Paris Hilton per la fellatio o come la neve in estate.
Ho registrato il post della mia vita, quello che sanciva la morte del blog. Ma un masso ha rotto il coso che registrava, forse il cane ha mangiato i tasti del coso, la birra mi è caduta sopra il coso.
Insomma ho cancellato il nastro del coso e adesso gioco col mio coso.
In attesa che qualcosa mi faccia venire sonno.