L'angolo adatto per nani, ballerine, cantanti, troie, alcolizzati e illusi. Ovviamente qui nulla è serio...se sei dei nostri...benvenuto, entra pure

lunedì, novembre 19, 2012

Quando gli angeli cagano bombe e scorreggiano lacrimogeni

Non sono sicuro che se avessi un figlio, oggi, mi ringrazierebbe per averlo messo al Mondo. 
Subito non se ne accorgerebbe, ma poi verrebbe a chiedermi il conto.
Scelta personale o naturale bisogno di far progredire la specie?
Ma sopratutto mi chiedo, davanti allo specchio, se questa specie debba evolversi o se non sia
meglio lasciarla estinguere, contribuendo e uccidendo chi la blocca.
Penso che il Pianeta verrà salvato soltanto da chi inventerà le armi intelligenti, in grado di
selezionare chi rovina la specie. Senza razze, colori e religioni. Solo guardando la mente.
Il Pianeta non verrà salvato da un ambientalista e nemmeno da un santone di colore.
Il sole, la pioggia. Il giallo regala gioia e abbronza i corpi, permettendo un valido motivo per spogliarci dalle nostra paure. Ma secca la terra e brucia i fiori, mette sete e acuisce i dubbi. L'acqua nutre i frutti e le verdure, disseta e rinfresca quando il caldo ci riduce a terra, ma rattrista i nostri cuori perchè l'ombrello non piace a nessuno.
Per cui non servono diserbanti e ombrelloni, mantelle e occhiali da sole.
Sarà la morte delle menti inutili a portarci alla salvezza. La Morte.
Tutto sarebbe facile se non ci fosse il bisogno di iniziare. Tutto sta a iniziar le cose, anche a caso e anche senza senso, poi tutto viene e acquista la sua linea naturale. Anche se a un passo dal traguardo ti sei perso e non trovi più la strada, anche se arrivi ultimo e conta solo vincere.
Come una giostra e la ragazza che ci crebbe sopra, senza mai uscirne. Nella trappola del suo luogo preferito, giocava con la morte credendosi immortale. Ma anche prendendo sempre la coda di volpe che fa vincere il giro successivo, anche non scendendo mai, prima o poi la Morte si innamorarebbe anche di lei. Portandola via. Perdendo la gara con la Morte, senza averla mai giocata.
Vorrei perdere ogni giorno nella gara delle decisioni, per i miei ideali inesistenti, a testa alta. Diceva il ragazzino che non prendeva mai la coda di volpe. Ma forse le giostre non esistono e ci sono solo nelle favole. Ma le favole esistono solo se sai vederle la prima volta che te le raccontano, poi si trasformano in cose già sentite, che hanno immaginato menti non più vergini. Che hanno perso la poesia, come i vecchi che hanno visto tutto e non si meravigliano di niente, fermi sulle loro sedie al tavolino del bar, con le stesse carte in mano da vent'anni.
Gli stessi vecchi che oggi riempiono le banchine dei mezzi pubblici, usate come luogo di ritrovo per scambiare ricordi e pensieri. La "favola pensione" non gli permette neppure due bicchieri di vino al solito bar, con il solito tavolino.
Un certo disagio a volte porta a credere in Dio, chiunque esso sia. Il mio porta al vino. Prosit.

martedì, novembre 06, 2012

Il primo incubo della notte non si scorda mai

Mi chiamo S e ho trentuno anni di cui parte passati in compagnia e un'altra parte solo.
Per un pezzo di questi anni sono stato seduto, per un altro in coda in posta, al supermercato, allo stadio, in autostrada o al semaforo, dal medico. Una parte l'ho passata ad attendere un autobus e molto di più l'ho passato a camminare o a correre, che restare fermo mi fa paura.
Ho trascorso un pezzo dei trentuno anni a letto, a mangiare, a cagare e farmi una doccia. Molto tempo l'ho dedicato a me, altro ad ascoltare le cazzate degli altri e a far sentire le mie, a lavorare o a provare a farlo, a studiare e a leggere. Nel tempo libero ho scritto e contribuito all'arricchimento di birrerie e ristoranti. Si vede si dirà. E' vero si risponderà.
Mi chiamo S e ho trentuno anni, i primi 6 passati a giocare, altri 5 a imparare a scrivere e leggere e a mettere insieme le basi per costruire le altesse. Poi altri 10 a costruire le altezze per capire che alla fine la base basta e avanza e del resto non te ne fai nulla. Da lì in poi ho provato a nascondere tutte le basi con strati di inutilità sino ad esser giunto a una conclusione chiara. Ovvero che la nebbia è il tempo migliore per chi non ha nulla da far vedere, sentire e annusare.
Mi chiamo S e ho trentuno anni, ma non volevo parlare di questo. Io so nuotare, così così, non lo faccio mai perchè mi annoia. Ma so farlo.
Eppure ho sognato di esser morto così, nuotando verso il fondo. Non annegando ma nuotando verso il fondo in una atmosfera normale, in un qualcosa di quotidiano e quindi personalmente comprensibile.
Al mio fianco un pinguino diceva cose strane in una lingua non mia.
Ho sognato perchè poi mi sono svegliato, triste, asciutto e senza profondità.
Le mutande non erano bagnate, i capelli asciutti e un senso di nostalgico dissapore. Non era il salato dell'acqua di mare e neppure un odore salmastro di mare. Era il sapore del niente.
Non so descriverlo altrimenti sarei uno scrittore e non un non so cosa. Dopo un lungo percorso, una nuotata di non so quanti minuti, mi son bloccato di colpo. Nei sogni non si percepisce il tempo, secondi sono anni, anni sono un coma. Stavo dormendo purtroppo o per fortuna.
Mi son bloccato e sotto di me c'era una processione, dietro a una bara vuota.
Non ho indagato se fosse la mia. Mi sono bloccato e non ho controllato chi ci fosse. Non mi interessa sapere i presenti. Il blocco è durato fino al risveglio, una lenta agonia o un rapido shock. Non lo so.
Mi piacerebbe solo sapere che mare era quello, sempre che fosse un mare. Cosa ci faceva un pinguino nel mio sogno, sempre che fosse un sogno. Mi piacerebbe anche avere un gost writer cui spiegare quello che vorrei scrivere per farlo capire e anche i capelli lunghi. Più lunghi, e anche i capelli.
In fondo ho visto che il giorno del giudizio personale non è male, nuotando verso il basso senza annegare.
Mi chiamo S e ho trentuno anni. Quando ero più giovane pensavo fossero sprecati gli anni che avevo, immaginandomi così come sono. Che stronzo ero...ma ora mi evito le finte illusioni e mi riempio con le delusioni, senza pensare al resto. Tanto siamo in un periodo dove siamo tutti scrittori, poeti, cantanti, analisti  e c'è sempre tempo per nuotare verso il basso.

martedì, ottobre 23, 2012

Non chiedere a un degente di scalare una montagna

Stanco per quei pomeriggi al vento, senza una dimora per la nostra testa. Qualche giorno aspetto ancora mio nonno all'angolo di via Tolstoj, attendendo che mi chieda se voglio che mi porti lo zaino, dopo la scuola. Risentito rispondere che ce la posso fare da solo, che sono grande ormai. Ma in cuor mio felice di questa attenzione, che me lo chieda. Che sia lui a chiedermelo.
Perchè non mi mancano le attenzioni, quelle non le ho mai cercate e quando mi servono me le vado a prendere. Erano quelle attenzioni e quelle parole, quei discorsi.
Quel dire grazie senza aprire bocca, quel cercare il suo assenso nel mio non fare niente.
Stanco per quel troppo parlare, con la pancia all'aria e il divertimento tra le mani. Passare inosservati nel parco della propria zona, con la birra fredda in mano e pensieri caldi in testa, sentirsi vecchi a diciottanni, a diciannove, a venti. Passare il tempo a stringere i pugni e pensare lontano, faremo i cantanti, gli attori, gli operai. Ma resteremo amici e forse non lo siamo più. Non lo siamo più tutti i giorni, non lo siamo più nel fare i compiti insieme e nel parlare di ragazze. Non lo siamo nel sognare in futuro di cambiarci il presente. Ma quando ci si rivede, alla minima cazzata c'è lo sguardo, quello sguardo che ti svolta il momento. L'attimo. Torna quella panchina, tornano le mezzore passate in auto a discutere sul testo della canzone degli Afterhours e quelle spese in cui da mangiare non c'era un cazzo, ma l'alcol era sempre troppo, eppure non bastava mai.
Stanco di andare sempre a capo quando quello che vorrei scrivere dovrebbe stare sulla stessa riga, per non confondere chi legge e lasciar la mente verso lontane distrazioni. Correre su un campo, sporcarmi le scarpe, insegnare il poco che ho imparato. Non dirmi altro, spezzami le aspettative ma lascia l'idea che possa crescere tra l'erba marcia. Non ho mai pensato di avere una testa sana, nemmeno quando mi avevan detto che non sono scemo. Era mio padre o forse un suo amico, eran belle parole ma le presi come una buona notte. C'era gente che piangeva per molto meno, io in mezzo alla gente piango solo per i goal di Milito e i pugni al cielo, pensando a come è stata dura crescere a Milano per un interista.
Stanco per le coperte corte e i riscaldamente accesi, le vite accese da uno sguardo nuovo e la televisione che accompagna la giornata di qualcuno senza aggiungere niente se non la consapevolezza che è bel soprammobile. La produzione odierna regala il futile, la maggior parte dei lavori non produce nulla di concreto, ci avevate mai pensato? web, spettacolo, facebook, promozione. Niente ha più a che fare con la fabbrica, il turno, il materiale, il campo. A volte ho la sensazione di non fare un cazzo e altre volte è proprio così. Leggere Pennacchi mi ci ha fatto pensare. Leggere la mia carta di identità mi ha dato conferma.
Stanco del sole del mare del cielo delle panchine delle birre a metà e di quelle intere. Come quando per non sapere nè leggere nè scrivere decidevo da solo cosa sarebbe stato di tutti noi. Disegnavo i futuri e scrivevo i passati. Inventavo anche super eroi con i rasta e i capelli cromati. Dicevano fossi creativo e son passato a farmi fare i tatuaggi per non reggere troppa pressione. Ma alla fine c'è sempre un inizio e un inizio termina in una fine. Come un cerchio o un circuito. Una vita e non una spirale.
Farsi male e rotolare sull'erba e guarire per rotolarci ancora.
Adesso mi fermo un pò qui, son stanco per vincere o perdere una partita. Son stanco anche di stare in panchina e non lo so. Aspettare il tram mi da sempre un pò fastidio, magari arrivo all'angolo e aspetto mio nonno che venga a prendermi dopo la scuola, ma forse arriverà prima il tram.
Ci potrei scommettere.

martedì, ottobre 16, 2012

Avevo registrato tutto, ma ho cancellato anche il titolo

Ho registrato su un coso il mio ultimo post prima di mettere fine a tutto.
Ho registrato con voce suadente, da attore di teatro. Di quelli che fingono di saper recitare e invece fanno la parte dell'attore solo per scoparsi le scolare della Scuola di Teatro. Una volta ne ho incontrato uno di non so dove, forse, comunque pugliese. Volevo dirglielo che faceva l'attore attempato solo per scopare. Ma non l'ho fatto. Adesso però ho fame e ho registrato il mio ultimo e bellissimo post.
Parla del progresso e del regresso pregresso. Parla di quando mi sono offeso e di cosa mi offende.
Delle mie fobie e manie di grandezza. Cose mai dette, come tutti gli entusiasmi che ho ucciso sul nascere. Ho detto tutto a ruota libera, come se di fronte avessi la mia psicoanalista.
Cose se. Come quando fuori piove. Come.
Ho registrato, l'ho già detto e poi ho cancellato tutto. Tutto cancellato con un semplice tasto.
Magari lo posso raccontare a voce a tutti voi, prima o poi. A tutti quelli che mi diranno "sai ho letto che hai cancellato...". Anche se forse non sarà di vostro interesse.
Sapere perchè è il caso di smettere, perchè è il caso di continuare.
Qualcuno ancora oggi mi fa battute sul fatto che io scriva, senza ricordarsi qual'è l'ultima volta che si è visto dentro o ha avuto il coraggio di tirarsi fuori. Senza parrucche, senza maschere, senza tatuaggi.
Avevo registrato in rima, come solo i grandi poeti. Lo giuro mamma, come la poesia che non ho mai imparato a memoria a scuola, ma non è colpa mia se ho sempre pensato non servisse a un cazzo, imparare a memoria.
Poi mi fermavo sempre ai giardini, per cancellare le lezioni e imparare a stare all'aria aperta. Perchè il giardino era l'orizzonte dalla finestra della scuola e perchè l'alternativa di altri compagni era andare a vedere la televisione. Melgio vederli vicini e reali gli orizzonti, per poi sognare quello che c'è dietro. Senza vincoli di schermo o di sacralità. Che poi Dio non c'entra un cazzo. Lui è solo immagine.
Come Paris Hilton per la fellatio o come la neve in estate.
Ho registrato il post della mia vita, quello che sanciva la morte del blog. Ma un masso ha rotto il coso che registrava, forse il cane ha mangiato i tasti del coso, la birra mi è caduta sopra il coso.
Insomma ho cancellato il nastro del coso e adesso gioco col mio coso.
In attesa che qualcosa mi faccia venire sonno.

martedì, ottobre 09, 2012

Tratti distintivi

Credevo di capire le cose prestando sempre attenzione, quando la maestra con gli occhiali e un'età superiore a quella di mia madre ma più giovane di mia nonna, spiegava cose che poi nella vita saranno state importanti all'incirca come un commento futile al mio vestiario o il giorno del tuo compleanno.
Credevo di poter arrivare a soddisfare il Mondo soltanto portando a casa quaderni in ordine e cartelle pesantissime, fusti di sapienza ordinata e ben impaginata. Ad esser sinceri a pensare di fare il bene degli altri si tralascia troppo il proprio, di bene.
Ho cominciato poi a guardare che i disegni che facevo a matita eran più belli di quelli fatti con i pennarelli, perchè riuscivo a sfumarli e a trovarci delle ombre e delle luci, dei significati che non sapevo. Quindi dietro quell'uso forte del colore c'era una forma di attenzione troppo evidente, quasi costante. Un nascondiglio per quello che credevo o per quello che credevo di aver capito.
Poi un giorno in classe mi distrassi e cominciai a guardare fuori dalla finestra.
Il vento che spazzolava le foglie degli alberi come fossero capelli, gli uccelli che non tenevano la stessa traiettoria, le nuvole che si muovevano. Non come nei miei disegni in cui staticamente sembravano temere il sole, ma qui, fuori da quella finestra di quella inutile classe all'interno di una scuola prefabbricata degli anni '70, si opponevano al sole e a volte lo rincorrevano. Altre volte invece si sovrapponevano l'una all'altra. Quel giorno distraendomi ho capito che guardando fuori dalla finestra avrei visto mondi anche dove non ce n'erano. Dietro un foglio bianco, un penna vuota, una siringa usata.
Tornando a casa dissi a mio nonno che non avevo seguito nulla delle lezioni di quel giorno perchè avevo guardato fuori dalla finestra, che tutto là fuori mi ignorava ma io potevo guardarlo lo stesso e farmi i miei calcoli, le mie regole grammaticali o le mie guerre personali.
La perplessità dei suoi occhi mi mise subito in guardia dal non distrarmi troppo, dal restare nel reale, dal sembrare normale. Ma io avevo capito ormai la mia strada, quella che non porta a niente o forse porta a qualcosa ma dall'entrata secondaria o dall'uscita di sicurezza.
Camminavo tanto per guardare il movimento delle cose o prendevo i mezzi per vedere come si comportano le persone chiuse dentro scatole di ferraglia. Le guardavo per capire me, di loro non mi è mai interessato molto. Il mio era uno sguardo distratto, di quelli che guardano tutto e non vedono niente o vedono solo quello che vogliono.
Perchè la verità ti porta a vedere entro le quattro mura, fino a qualche metro più in là. E' la distrazione che ti regala la profondità, quello che non c'è, arriva a bussare al sogno e poi lo diventa, se qualche stronzo non viene a richiamare la tua attenzione.
Quella sì, superficiale e temporanea, perchè sarà anche un controsenso ma ci vuole attenzione anche nell'essere distratti.
Così si continua in quel percorso tracciato a matita, ascoltando le lezioni con un orecchio e immaginando mondi fuori dalla finestra, distrattamente attento a non pestare troppe merde abbandonate ai margini della strada.

martedì, ottobre 02, 2012

Mia madre dice che dovrei sistemarmi comprando un armadio

Padre Nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno sia fatta la tua volontà così in Cielo come in Terra. Dacci oggi...
Premetto che a nulla credo perchè tutto mi interessa, in tempi di crisi l'unica cosa sulla quale si può essere sicuri di non lesinare sono le nostre sensazioni. Il bel tempo poi viene da sè e spesso porta alcune conclusioni bagnate.
Annacquate come l'acqua fetida di un fiume, come lo spritz che ti inserisce nel gruppo, come la minestra che da anni ti riproponi, riscaldata o fredda oramai non fa nemmeno più differenza.
Differenza parola nota, cara, poco utilizzata. Cosa fa la differenza oggi se non quello che non si ha.
"Mi manca il centravanti, mi mancano i soldi, mi mancano i coglioni", la differenza la fa la mancanza. Il classico sguardo disincantato verso il dito che indica la luna.
Sole e luna, giorno e notte, alfa e omega. Acceso e spento, forse questa è una differenza che non dipende dalla soggettività. Inizio a pensare che le sfumature vadano bene per i titoli dei libri e poco per le situazioni della vita. Nelle sfumature ci sono le interpretazioni che ci stanno togliendo la grinta  e rincoglionendo con le spiegazioni. Non ci sono grosse differenze. Non c'è il Rosso e nemmeno il Nero, ci sono i moderati, ci sono gli ideali annacquati, ci sono i Negroni Sbagliati.
..il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal Male. Amen.
Parole sbagliate e concetti chiari, perlomeno tra le nuvole che albergano nella mia mente. Non sono mai state le parole, le singole e sole parole, a fare la differenza. Nemmeno il cane che abbaia si può dire cattivo finchè non morde e dopo tutto can che abbaia non morde.
I preti non son preti solo perchè sanno a memoria 5 o sei preghiere e i veterinari non sono tali solo perchè sanno dove sta il sesso del pesce rosso. Altrimenti forse tutti saremmo tutto, senza differenze ma soltanto sfumature.
Le uniche sfumature che accetto sono l'alba e il tramonto, perchè di fatto segnano un passaggio sano tra il giorno e la notte, il sole e la luna. Sfumando concretamente, non a parole.
Liberaci dal Male o Signore.
Capendo quale sia questo male e cosa è bene, trovarci tutti a far gli equilibristi, cadendo ripetutamente da una parte all'altra senza mezzi termini o mezzi colori. Senza aver paura di avere un'opinione anche stronza, brutta e contraria.
Ci sono spazi riservati tra tutti noi, che ogniuno riempie di ovatta. L'imbarazzo degli uni e la corazza degli altri, l'infinita rincorsa tra chi crede, fa e sbaglia e chi guarda, parla e commenta.
Esperimenti calligrafici per esprimere (vomitare) concetti quando si vuole pregare ma non si sa dove farlo.


martedì, luglio 31, 2012

Ho messo MI PIACE a un'offerta di una ditta di Onoranze Funebri

Mettevo i vasi dei fiori più grandi uno accanto all'altro, come a formare un grosso campo di battaglia, una foresta equatoriale sorta nel caldo afoso dell'estate marchigiana. Un'oasi sul terrazzo.
Lì combattevano i soldatini di plastica e alcuni a causa delle bombe cadevano anche giù dal terrazzo. Erano i più sfortunati perchè per tornare a vivere e a combattere dovevano aspettare che trovassi la voglia di scendere in cortile e tirarli su. Avevo una strana concezione della morte, mi piaceva perchè non era definitiva, caratteristica che ora troverei scomoda.
Sorridevo poco da bambino, la faccia scema in alcune foto con i nonni, qualche posa stupida alla comunione o alla cresima, ma ero troppo grasso per dirmi felice. Poi non ho più foto, come se tra i 7 o 8 anni e l'invenzione delle "usa e getta" la mia vita non fosse testimoniabile.
Non come ora che fotografo quasi tutte le azioni, dalla prima cagata del mattino all'ultima sega prima di andare a letto, per liberare la testa dai pensieri. Anche oggi non rido, ma faccio facce stupide.
Che colpa abbiamo noi, che non ci piace ridere se non nelle foto sceme. Quelle inutili fatte per far vedere che eravamo presenti o assenti al tempo stesso.
Difficile da capire, se non che gli altri ti vogliono vedere o credere sempre al cento per cento, perchè avere intorno gente così fa apparire migliore anche la propria vita. Più è figo chi mi sta vicino più lo sono io e sarà per questo che mi sento sempre poco figo.
Sogno delle Olimpiadi in cui si festeggi l'ultimo oppure quello che si fa il culo ma non ce la fa, serate dove si beve birra e si piange o si fa a gara a chi si veste peggio ed ha i capelli più sporchi.
C'è una canzone che mi fa piangere ogni volta che la sento. Piango anche se scrivo e la sento. Anche se mangio e la sento, oppure se mi masturbo e la sento. E' "father and son" e mi fa pinagere. Mi fa piangere perchè è un padre che parla a un figlio, un nonno a un padre, una spirale di spermatozoi. Immagino mio nonno che mi parla o mio padre che mi parla e il mio pensiero si ferma lì, perchè non riesco a vedere me parlare a qualcuno. Non sono in grado di rovinare altre situazioni.
Ci sono ore della notte in cui non si dorme e la colpa è dei pensieri troppo pesanti che arrivano allo stomaco. Non riesci a vomitare. Sarebbe bello se il divano diventasse una navicella e ti portasse lontano, oltre le luci del palazzo di fronte sino a un punto dove nessuno ti conosce e lì cominciasse a cadere. Nel nulla e poi il nulla. Sarebbe bello ma il divano non passa neppure dalla finestra.
Dovrei dormire forse, oppure vomitare o farmi una sega o tutte e due insieme e poi addormentarmi. Svegliarmi, farmi una doccia e pensare che tanto i malumori sono passeggeri.
Come quelli di un volo di linea che a un tratto va giù a picco e tu con loro.
Adesso stampo questo post e lo metto in una busta, la chiudo bene e sopra ci scrivo "per i miei", nome generico con cui si indicano in modo scazzato e distratto i propri genitori. La leggeranno  appena rientrati dalla solita lunga estate senza capire che l'ho scritta io, credo non immaginino nemmeno sia in grado di farlo. Storceranno il naso e la bocca e io continuerò a pagare per ore di analisi che poi si infrangono inutilmente in pochi giri di parole pronunciate a caso per fare male. Se li rivedrò chiederò loro se hanno ricevuto cartoline dall'estate trascorsa da qualche loro amico dai gusti vintage. Mi diranno di no, che hanno ricevuto soltanto una lettera di uno che deve aver sbagliato casella di posta perchè diceva che non gli piace il Natale, che sognava di fare alla guerra e crede non ci sia nulla di male se un giorno, desiderandolo tanto, non ti risvegli più e muori col sorriso.

martedì, luglio 17, 2012

I punti, le rette, i mille modi di vivere una vita intera senza arrivare alla fine e restando ancorati all'inizio

Pensavo davvero che fosse una bellissima idea, di quelle originali come l'olio per friggere o i tappi per le orecchie.
Unire due punti distanti centimetri o chilometri da un'unica retta. Una retta retta che unisce due cose, a una distanza x data una scala con cui decidi tu stesso di regolare la tua storia o il tuo mappamondo o semplicemente il disegno stupido che stai facendo per lottare contro la noia e le sue sporche leggi.
Leggi da orario di lavoro, leggi da socializzazione indotta e obbligata, leggi da storie condotte su linee parallele. Che non sono sempre rette.
La stessa linea retta che è colpa dell'ansia da prestazione, della paura di non saper che dire perchè la sensazione è che la storia possa essere una. La linea retta che di fronte a un foglio bianco ti fa pensare a cosa scrivere senza lasciare libere le parole. Libere di andare da un punto all'altro percorrendo strade tortuose e parallele o lineari e intersecate o di tornare indietro senza arrivare mai, avendoci provato o essendosi fermati a metà strada, impauriti, in lacrime, soli.
Pensavo veramente di aver avuto un'idea brillante ma mi sono reso conto di non aver mai camminato in maniera lineare, senza angoli o svolte, senza ragionamenti tortuosi e dialoghi mai conclusi.
Anche per la linearità su un foglio di carta non ti fa capire se per arrivare da un punto all'altro non si sia volato o scavato sotto terra, saltato o fatto tutto coi piedi per terra.
Che poi stare coi piedi per terra è la base per fare tutto e non esaltarsi mai, non pensare mai di essere i migliori e poi trovarsi con il culo per terra e non andare avanti.
Nel foglio bianco le uniche regole sono i confini, oltre i quali le parole volano nell'aria e i tavoli si sporcano. Il minore dei mali è starci dentro questi limiti, il peggiore dei casi è quando questi limiti sono imposti dal costo telefonico o dal fastidio delle chat.
Perchè il bianco di un foglio è il giallo di un sole, il rosso di un tetto e il verde dell'erba. E' lo scarabocchio con cui si disegnano gli uccelli, sono i pallini bianchi delle cappelle dei funghi. Ma anche il compito di storia copiato alle Superiori, le cartoline dal mare e la prima busta paga.
Cazzo quante volte ho fissato un foglio bianco con due punti sopra senza saperli congiungere, ma non perchè non sapessi cosa scrivere, ma soltanto perchè nella mia testa la storia di A non poteva congiungersi con B, epoche diverse, idee diverse, città diverse, sessi uguali. Anzi forse paralleli.
In tutto questo li fissavo e su altri fogli ho scritto di loro, senza dirglielo, senza lasciargli immaginare che su altre distese di bianco potessero avere storie parallele.
Due punti sono l'inizio e la fine di un tutto che fa iniziare altro e si dipana nel foglio, che a sua volta chiama un altro foglio bianco. E' fondamentale che sia bianco, che sia di carta, che sia carta e che si possa accartocciare quando le linee che hai creato non hanno un verso, una direzione o semplicemente non voglio dire niente.
Pensavo inutilmente di aver avuto una bella idea e come sempre ho lasciato stare il foglio bianco con due punti, ho abbandonato la carta perchè troppa sacra per le mie parole e mi sono buttato su qualcosa di cui poi non vi sarà traccia, nessuna retta. Per il bene di A e di B.

mercoledì, luglio 11, 2012

La Rivoluzione dal bagno di casa.

C'era uno spazio riservato tra di noi, come fosse pieno di ovatta. Il mio imbarazzo che mi fa sentire sempre fuori luogo, la tua corazza perenne. Premetto che niente voglio perchè tutto mi interessa.

Ci sono menti che concepiscono idee e altre che le portano a spasso senza dar loro aria, inscatolandole in notizie preconfezionate su quotidiani sportivi o in assenza di gravità, dentro negozi con aria condizionata o condizionamenti senza cause ed effetti.
Le critiche fatte dal cesso sono quelle che riescono meglio, perchè a prescindere da tutto sono già ben indirizzate. Tutto è criticabile. I testi degli 883, il colore della pelle di Gesù Cristo, la sessualità del Papa. Anche gli aneddoti dei nonni in bocciofila, sempre che abbia la voglia di starli a sentire.
Sì perchè io ascolto poco e ancora meno mi interesso delle opinioni altrui. Disegno soltanto delle rette lontane dal punto di vista che puoi avere, solo per essere contrario, per essere ascoltato e fingermi intelligente e interessante.
Ho votato Rifondazione e Berlusconi, anche nello stesso turno elettorale pur rimanendo di sinistra sempre o anche solo per qualche ora, frequentando i circoli di sezione nelle lunghe riunioni in streaming, collegato dal salotto buono di mia madre o dal bagno di servizio. Sempre senza carnalità, senza esposizione. Se prendo il sole potrei star male, sopratutto se in faccia.
Il mio posto fisso non posso metterlo in discussione, ma mi piace criticare chi non ce l'ha e lo vuole, chi sciopera e chi è precario. Rompono i coglioni per farsi sentire e allora io posto critiche su facebook e twitter o allungo le mani sulla tastiera del mio mac o pc per scrivere un post tagliente sul mio blog o un commento arguto su quello di un giornalista con cui identifico le mie ansie. Il giornalista lo cambio sempre perchè ogni settimana critico vedute e opinioni concentriche su lunghezze differenti.
Il rumore dello scarico è musica per le mie orecchie, come la musica che riesco ogni settimana ad avere gratis. Vedo qualche concerto, ma sopratutto non compro cd perchè "è da sfigati" e "fuori moda". Scarico da mille siti, ma sono contro la pirateria e a favore delle regole, l'importante è che non tocchino il mio giardino.
Mi fa schifo chi coglie i fiori di campo da regalare alla sua bella o da portare al cimitero.
Piuttosto porto la mia bella al cimitero perchè mi eccitano i morti e penso sia un posto alternativo dove scopare, una cosa che poi lei posterà su facebook e mi renderà "alternativo" coi suoi amici e introspettivo per le sue amiche. Bello e dannato, ma sopratutto critico per tutto senza fare niente.
Dal mio bagno posso criticare tutto nel tempo in cui mi chiudo dentro e non sapete cosa faccio. Troppo facile dire che tocco soltanto il pisello, no.
Critico la scelta di chi beve troppo, di chi frequenta i locali per bere, ma anche di chi non beve. Critico chi esce perchè è banale e poco divertente ma a Milano frequento solo i posti che contano perchè al Capetown la gente è troppo bella, al Miami la musica mi piace e negli altri posti no e certi posti di Corso Sempione sembrano Parigi anche se l'Assessore alla Cultura vorrebbe una città sullo stile di Berlino o Copenaghen. Ma non per i bordelli e le signorine di facili costumi, no. Per le architetture e le atmosfere che ci fanno stare bene e rendono più piacevoli le nostre fotografie.
Sogno senza dirlo per non esser fuori tempo, mi piacciono molte cose ma non lo dico per non contraddirmi e a volte ho anche pianto per un goal della mia squadra, perchè tifo ma non posso dirlo altrimenti per gli amici snob non sarei più uno di loro. Non ci diciamo mai cosa ci piace a meno che non sia alternativo, il resto lo teniamo per noi o lo critichiamo a mezza voce.
Ora vado ho un corso di yoga e poi un aperitivo sui navigli.

Parlando di noi rimaniamo sempre a mezz'aria. Saremo accettati? Se gli dico cosa penso di lui o di lei, cosa penso davvero senza coriandoli o sfilacciature...a mezz'aria non si sta bene, c'è aria pesante. Liberare la mente consente di volare con i piedi a terra.

martedì, giugno 05, 2012

Jogo da vida

Il gioco a zona interpreta la vita, attacchi spazi per difendere la tua partita.
Il gioco a uomo invece porta a faticare, seguire ovunque l'avversario in una sfida personale.
Non parlo di moduli, di tattiche e di numeri vi annoieri e questo non me lo posso permettere, sono in cerca di fans e di contatti, posso parlare di mode e di stili di gioco.
La bocca impastata del mattino e la voce schiacciata dalla stanchezza del giorno sono le tensioni del pre-partita. Poi ti scrolli le palle e il pisello, ti sciagui la faccia, le ascelle e le braccia, magari una doccia ma devi aver tempo. Il riscaldamento va fatto comunque con calma, serve a non farsi male durante la giornata. Concentrati, pazientemente, sentire ogni muscolo come risponde e come potrà lavorare.
Proprio per questo, appena alzato, non parlatemi e non telefonatemi. Ve lo chiedo per amor mio e del mio gioco.
Poi ti metti in campo ed ascolti il mister, certo. Ma devi trovare la tua posizione, la tua zona, cercarti i palloni giocabili conscio dei tuoi mezzi e di ciò che vuoi.
Vuoi toccare tanti palloni, ma sale anche il rischio dei tuoi errori. Ci sono partite in cui sbagli tutto, come ti muovi crei confusioni e qualsiasi giocata fai risulta sbagliata.
Ci sono giocatori che non sbagliano nulla e giocano semplice, altri sbagliano tantissimo ma hanno il numero che cambia ogni situazione.
Già ma cos'è una situazione...un contropiede non è come qualcosa che non ti aspetti? oppure un cross perfetto non è come un'occasione della vita che non puoi sbagliare?
La mattina devi rompere il fiato, trovare il ritmo della giornata e non sempre è facile. Ci sono mattine che vorresti la fine del mondo e altre che potresti fare tre lavori insieme e non avere problemi. La colazione è importante e non la faccio mai. Mi piace il bar, entrare e salutare, entrare e prendere il giornale, entrare e bere uno o due caffè. Entrare e uscire senza che nessuno sappia troppo di me se non il nome, la mia squadra del cuore e il mio umore.
Credo a volte che l'amicizia sia superflua come i riti scaramantici prima di una partita. Puoi farne a meno ma sai che senza perdi di sicuro.
Il pranzo, quando si riesce a fare, è la giusta pausa tra il primo e il secondo tempo. Si riprendono le forse e si allineano le idee, si ottiene a volte il consiglio giusto e altre si perdono i sensi o il senno.
Affamato o troppo sazio, l'uomo deve riprendere sempre il suo cammino pomeridiano. Un pò per far passare il tempo che manca a domani e un pò per arrivare a mangiare di sera. Correndo sulla propria fascia come si corre su una strada oppure gestendo i palloni come un traffico di momenti e accadimenti. Non ci sono cose ingestibili con la razionalità, la troppa razionalità uccide la fantasia.
E' un gioco sporco, un gioco maschio, un gioco che fa commuovere e porta al pianto. Un goal fatto per una partita importante non ha prezzo, un goal fatto per una persona importante vale per tutta la vita. Arriva sera, la partita sta finendo e qui conta come l'hai interpretata.
C'è chi gioca a zona e deve aver tenuto la situazione, controllato la rosa dei venti e venduto l'anima al compagno che ha di fianco. Somme di situazioni e distanze che regolano le azioni.
C'è chi ha instaurato una lotta con sè stesso, col proprio avversario e con le avversità. Un rimbalzo sbagliato, un passaggio lungo, un saluto mancato o qualcosa scritto a tarda notte, con troppo alcol e delusioni in corpo, giocando a uomo anche respirare deve essere fatto in linea con il proprio avversario. E' in questi casi che mi dico che il calcio è lo sport più bello del mondo, forse perchè è vita e morte. In quel momento, comunque sia andata, il triplice fischio segna il rilassamento dei muscoli, la perdita del filo conduttore cerebrale e lo scioglimento delle acque.
Poi domani inizia una nuova fottutissima partita.