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03/10/17

[We talk about...punk in Iceland!]
"Vogliamo tutto!" (punk in Islanda, parte II)
Islanda: ebbene sì, anche la remota isola dei vulcani, ficcata nell'estremo nord europeo, ha avuto una interessante e vivace scena punk! Dopo aver parlato dei trascorsi adolescenziali di Björk, trattiamo invece ora degli altri gruppi che hanno animato la scena punk islandese tra il 1980 e il 1984: band incredibilmente prolifiche, alcune dalla vita brevissima, che in pochi anni ci hanno lasciato tanti dischi interessanti e sorprendentemente originali. Come già accennato, alla fine degli anni Settanta nei locali e nei teatri di Reykjavìk – capitale e unica vera e propria città dell'isola – si esibivano soltanto loffie cover band di gruppi anglosassoni o americani: l'unica concessione alla creatività era affidata a qualche sparuto rocker che scriveva canzoni hard-rock o simil-prog destinate a rimanere confinate da quelle parti. Ma, fortunatamente, al volgere del decennio, nelle strade della tranquilla città scandinava, irrompe il punk!

In principio furono le rane...
Leggenda vuole che i primi a suonare punk in terra islandese siano stati i Fræbbblarnir (le rane), attivi dal 1978 ma le cui prime uscite discografiche risalgono al 1980. La loro attitudine rende bene l'idea dello “stacco” che la scena punk ha attuato rispetto agli stereotipi della cultura generalista di sinistra diffusa sull'isola: “Ci stiamo stancando della cultura socialista e della gente vestita da hippie. Non basta avere il logo di una falce e un martello perché una cosa piaccia. Siamo stufi: non è vero che se non hai lavorato in una fabbrica di pesce per dieci anni, allora non sei figo...”. “Gli islandesi – parla il bassista Steinƥòr Stefànsson – pensano che gli anarchici e la sinistra facciano parte dello stesso fenomeno. In realtà, guardate quegli anarchici che si decorano i giubbotti con la lettera A cerchiata e altra roba che non sanno nemmeno cosa significa. Non basta mettersi addosso qualche simbolo se non sai nulla di quello che vuol dire. Se le cose stanno così, questa gente potrebbe mettersi pure addosso le svastiche, sarebbe la stessa cosa. L'anarchia per alcuni qui è semplice moda, come i simboli della pace e tutte 'ste stronzate...”. La band, attiva ancora oggi dopo innumerevoli pause e svariati cambi di formazione, è dedita ad un punk rock bello scassato, ricco di motivetti più adatti all'Oktober Fest che alla terra dei vulcani. Comunque sia, il loro primo disco “Viltu Nammi Væna” (Vuoi una caramella?) del 1980 è un classico per i punx islandesi ancora oggi e il loro chitarrista cantante Valgarður Guðjónsson è una piccola celebrità in patria.

Scarica “Viltu Nammi Væna” (1980) dei Fræbbblarnir




Il successo della radioattività - gli Utangarðsmenn
Ma nel 1980 esce anche Geislavirkir (radioattività), il disco d'esordio degli Utangarðsmenn (gli Stranieri), che si rivela, inaspettatamente, un successone e spianerà la strada alle altre punk band dell'isola sino ad allora chiuse negli scantinati e nei garage a provare senza uno straccio di spazio dove fare concerti. In realtà il disco presenta sonorità ancora piuttosto legate al rock del decennio precedente, con diversi pezzi reggae in salsa nordica. D'altronde titoli come “China reggae”, per quanto buffi se immaginati in un contesto di freddo e neve, parlano chiaro...Ad ogni modo, in patria, gli Utangarðsmenn ci sanno fare e diventano un piccolo fenomeno discografico, tanto che quando i Clash faranno il loro storico concerto a Reykjavìk il 21 giugno del 1980, loro suoneranno da spalla.

Scarica Geislavirkir (1980) degli Utangarðsmenn


Bubbi "testa calda" Morthens
Ma come vuole la prassi della mitologia rock'n'roll, all'apice del successo in patria, i rapporti degli altri membri della band con il cantante Bubbi Morthens, alla fine del 1981 dopo un altro album e un ep, non sono dei migliori. A dirla tutta, il giovane Bubbi doveva essere, come dire, un'adorabile testa di cazzo: sì, proprio così! A vederlo negli spezzoni della sua intervista sul documentario “Rock in Reykjavìk” del 1982, con i piedi sul tavolo, jeans e maglietta bianca, sigaretta in mano a pontificare di politica, sesso e droga, non si può che pensare: minchia ma quanto se la tira questo? I suoi compagni di gruppo, ad un certo punto, avranno probabilmente pensato la stessa cosa. Dopo essersi confrontati tra loro, si decidono a parlargli chiaro in faccia: sei troppo egocentrico Bubbi, gli dicono, datti una calmata. E lui cosa fa? Incassa, s'incazza e molla il gruppo: ne fonderà subito dopo un altro con il fratello chitarrista e un amico alla batteria. E li chiamerà Egò. Ecco, pigliatevi questo, stronzi. Bella canaglia questo Bubbi...
La dipartita del cantante porta allo scioglimento degli Utangarðsmenn. Gli Egò invece, il nuovo gruppo di Bubbi Morthens, suonano un buon rock melodico ma ci mostrano una musica dall'approccio e dalle tematiche piuttosto lontana dal punk che ci interessa. Pubblicheranno due dischi nel 1982 e un terzo due anni dopo, si dice, per necessità contrattuali. La verità è che, guardando alla carriera di Bubbi che è ancora oggi in pista con chitarra acustica e piglio da Bruce Springsteen nordico, in effetti, vediamo nient'altro che un irriducibile rocker, una canaglia da palco alla quale fatichiamo ad affibbiare l'etichetta del punk. Per cui lasciamolo perdere e concentriamoci su quelli che sono i veri gruppi punk islandesi...
Il rock non è abbastanza - I Þeyr, parte prima
Magnús Guðmundsson è un giovane cantante. Verso la fine degli anni Settanta, con un paio di suoi amici, ha un gruppo garage, i Fellibylur (Uragano). Dopo un po' si aggregano altri due personaggi: uno di questi è Sigtryggur Baldursson, batterista, che qualche anno dopo assurgerà a fama mondiale con gli Sugarcubes assieme a Bjork e ad altri personaggi che incontreremo nella nostra storia. Ad un certo punto le cose cominciano a farsi serie e Magnùs decide di cambiare il nome alla band in Þeyr, che vuol dire “vento” oppure “disgelo” in islandese arcaico; si pronuncia come their, in inglese, e anche in islandese significa loro ma solo al maschile. Nel gennaio del 1980 i Þeyr iniziano a registrare delle canzoni, ma Magnùs non è soddisfatto, qualcosa non va. Si accorge che il materiale che avevano, nonostante le aspettative, non è abbastanza innovativo. Così decidono così di piantare lì le registrazioni, accordandosi con lo studio di tornare a settembre con nuove idee. La sorte volle che, come già detto, il 21 giugno del 1980 passassero da Reykjavìk nientepopodimeno che i Clash in persona: ovviamente l'appuntamento è di quelli da non perdere perché i concerti di band straniere in Islanda non sono poi così frequenti. Tutti ci vanno. E Magnùs rimane fulminato dalla musica di Strummer e soci. Decide di dare una svolta netta alle sue canzoni: più distorsione, più effetti, più roba strana, basta con il rocchettino innocuo che puzza ancora di prog e anni Settanta. Il disco poi viene completato, forse un po' controvoglia, senza grande convinzione ed esce: Þagað í Hel (pensieri dall'inferno) – primo disco dei Þeyr – è però evidentemente avvolto da un alone di sfiga inarrestabile: una volta con le copie in mano la band si accorge che, causa di un problema tecnico nella riproduzione, se ne salvavano soltanto 500. E la sfiga non finirà qui. Dopo alcune buone recensioni sui giornali locali e il rapido sold-out del disco, l'anno dopo vanno a fuoco gli studi di registrazione dei Þeyr. Risultato: i master originali dell'album, che comprendevano anche alcuni inediti, vanno persi per sempre. A questo punto succedono casini e cambi di formazione a ripetizione. Ma ormai Magnùs ha avuto una visione ed è inarrestabile: la nuova musica è lì, chiara nella sua mente, sussurratagli dagli antichi spiriti che dormono nel ribollente sottosuolo della sua isola vulcanica.


Esoterismo, magia e tagli di capelli... - I Þeyr, parte seconda
Nel gennaio 1981 finalmente la band è pronta per un nuovo inizio: sono cambiati i chitarristi ma è rimasto, fortunatamente, il bravissimo Sigtryggur Baldursson alla batteria. Si suona a Reykjavìk, all'Hotel Saga (sì, è un albergo) e durante una pausa dello show, i nostri offrono tagli di capelli gratis agli astanti, ovviamente allibiti. E lì si capisce che i Þeyr hanno intrapreso un'altra strada, sicuramente stramba, molto esoterica. Si appassionano di testi teorici sull'oscurantismo e scrivono alcuni versi ispirati alla magia, come testimoniano le sonorità mistiche della title track di Mjötviður Mær (il saggio albero luminoso), il loro secondo disco che, leggenda vuole, sia fuoriuscito dopo un'estenuante lavoro di ben 140 ore in studio di registrazione. Quando si parla di un disco – parla Magnùs – sarebbe più corretto parlare di uno “stato d'animo”. Queste registrazioni sono il prodotto, la preservazione delle sensazioni e dello stato mentale della band in questi ultimi mesi. Che mesi meravigliosi sono stati! Siamo giunti alla consapevolezza che l'ascetismo arricchisce lo spirito, e questo spirito è stato registrato, inciso su vinile e uscirà il mese prossimo come il nostro secondo disco. Sempre che dio, e chi è in sua compagnia, lo desideri”.

Canzoni come “Current”, “2999” e “Iss” esemplificano bene la strada che prenderà la band di lì a poco: voci effettate, ritmiche ostinate, armonie storte, un alone futuristico di sinistro mistero. A causa del loro notevole videoclip “Rudolph”, dove provocatoriamente appaiono travestiti da gerarchi nazisti facendo il passo dell'oca, verranno accusati di essere degli eversivi di estrema destra. E l'uscita dell'ep dal titolo “Il Quarto Reich”, l'anno seguente, non potrà che naturalmente portare acqua al mulino dei contestatori: si tratta ovviamente di una presa in giro, anche perché utilizzare simboli provocatori come la svastica è una pratica ricorrente tra i gruppi punk islandesi cresciuti in una cultura intrisa di socialismo. I Þeyr hanno solo il merito (o la colpa) di spingere al massimo sull'acceleratore. Ad ogni modo il breve disco è davvero bello e consegnerà alla storia la band di Magnùs come un gruppo di culto, dedito ad un pop futuristico spigoloso, con voci distorte e una base ritmica ossessiva: una miscela veramente originale e prodotta con metodi all'avanguardia per l'epoca.

Scarica "The Fourth Reich" (1982) dei Þeyr




Il giocatore di scacchi addormentato - Einar Orn e i Purrkur Pillnikk
I Purrkur Pillnikk, ovvero “il giocatore di scacchi addormentato” – nome strepitoso per una punk band – sono un gruppo con Einar Örn Benediktsson alla voce e Bragi Ólafsson al basso, altri due che assieme alla cantante Bjork e al batterista Sigtryggur diventeranno famosi qualche anno dopo con gli Sugarcubes. Einar e Bragi saranno dei personaggi importanti per la scena punk islandese, come vedremo, anche perché con l'aiuto di alcune amiche e amici apriranno un'etichetta, poi diventata anche un negozio di dischi ancora oggi esistente, dal simpatico nome Smekkleysa (Cattivo gusto). I Purrkur Pillnikk sono dediti ad un punk rock sbrigativo ed arrabbiato: il loro primo disco, uscito nel 1981 e intitolato “Ekki enn” (non ancora), raffigura in copertina un individuo che brandisce sopra la sua testa una pecora. Sì, proprio una pecora. Il sound, benché piuttosto autarchico, risente dell'influenza del punk inglese: Einar, infatti, studia a Londra e, naturalmente, si sbatte per conoscere finalmente dal vivo la scena punk più figa di quegli anni. Stringe amicizia con i Flux of Pink Indians e con i Crass con i quali si trova talmente bene da invitarli a suonare a Reykjavìk. Loro, probabilmente un po' increduli, accettano: dobbiamo quindi proprio ad Einar l'organizzazione dello storico concerto islandese degli anarcopunk inglesi nel settembre del 1983. Ad ogni modo i Purrkur Pillnikk dureranno solo diciotto mesi, anche se molto intensi, come testimoniano i vari ep pubblicati e alcuni concerti tra Islanda e Inghilterra. Einar, d'altronde, pare davvero esagitato: a vederlo cantare, ballare e muoversi freneticamente come un ossesso nel solito imperdibile documentario “Rock in Reykjavìk” del 1982 (con addosso, tra l'altro, un giubbotto pesantissimo che lo fa sudare come un pazzo) si capisce come non gli piacesse esattamente stare fermo a far niente.

Scarica il disco "Ekki enn" dei Purrkur Pillnikk





Il punk vira verso la new-wave - Elly e i Q4U
E le ragazze punx? Anche loro, naturalmente, si danno da fare nella scena. Una delle più attive è Elínborg “Elly” Halldórsdóttir, cantante dei notevolissimi Q4U, band formata anche da Árni Daníel Júlíusson alle tastiere, già bassista dei Fræbbblarnir, le rane. Le sonorità dei Q4U si aggirano tra new-wave e dark, con la bella voce di Elly a piazzare melodie sulla precisa e scarna sezione ritmica. I Q4U pubblicheranno un disco, chiamato laconicamente Q1, e una cassetta intitolata “Skaf Í Dag” che significa qualcosa come “acquisti del giorno” o qualcosa di simile. Il loro materiale migliore sarà raccolto in Q4U 1980-1983 e appariranno anche loro nel solito “Rokk ì Reykjavìk”. Aneddoto simpatico: la band esiste ancora oggi ed Elly è diventata celebre in patria per essere stata nientepopodimenochè “giudice” nell'edizione islandese di X-Factor.

Scarica la raccolta delle Q4U "1980-1983"


Riot grrrlllsss! - Le Grylurnar
E veniamo alle Grylurnar, questa volta una band di sole ragazze. Ragnhildur Gìsladòttir, cantante-tastierista delle “ragazze grigliate” (così pare si debba tradurre il nome del gruppo), ci spiega: “Con questa band vogliamo dimostrare che anche le donne possono suonare e vorremmo che altre come noi facessero lo stesso. La cosa non deve rappresentare un problema o un'eccezione”. Con una semplicità disarmante, la bassista Herdìs Hallvarősdòttir aggiunge: “...fatti fare un prestito in banca, noleggia un garage, compra gli strumenti, butta tutto dentro e inizia. Impegnati e suona finché non esce qualcosa di buono. Alla fine tutto funzionerà. Ah, e mi raccomando...non piangere!”. Mi immagino già la faccia dell'impiegato di banca, di un paese qualsiasi che non sia l'Islanda, quando gli direte che volete diecimila euro per avviare la vostra band. Beh, seguite il consiglio di Herdìs e provateci...Operazioni bancarie a parte, le ragazze grigliate fanno uscire nel 1983 l'album “Mávastellið” (Gabbiano) che è davvero bello e originale.

Scarica il disco "Màvastellið" (1983) delle Grylurnar


O Reykjavìk - I Vonbrigði
I Vonbrigði (delusione) sono un gruppo che esemplifica bene la parabola della scena punk islandese, che da sonorità classiche stile inglese si sposterà verso il new-wave e il dark con canzoni sempre più sofisticate e ben prodotte. In effetti i Vonbrigði scrivono un primo disco omonimo, uscito nel 1982, con qualche canzone più strettamente punk e una buffa copertina spaziale, mentre già l'anno seguente esce “Kakofonia” che, a discapito del nome, è ben registrato e ci mostra una band che non ha nulla da invidare ai più blasonati colleghi mainstream. Beh, certo, qui sotto li vediamo dal vivo in una veste ancora un po' acerba: era il 1981...

Scarica "Kakofonia" (1983) dei Vonbrigði


Infanzia bruciata - Gli Sjàlfsfròun
Dei Sjàlfsfròun, ovvero "i masturbazione", non si sa molto ma quel poco che si sa, decisamente, rimane impresso. Sono un gruppo di giovanissimi punx strafatti e molesti di circa...dodici anni. Non esistono loro dischi ma compaiono nel solito “Rokk y Reykjavìk” mentre eseguono un paio di pezzi rovina hc molesti, suonati a caso, in un teatro della città, con la gente seduta e qualche loro compagno di classe che si agita convulsamente tra le prime file. Il cantante, Bjarni ƥòrir ƥòrőarsson, è un vero bambino punk, cattivo e sfrontato, anche se un po' confuso: si esibisce in un classico del rock, ovvero lo sfasciamento della chitarra, o del basso in questo caso. Porta avanti il numero con perizia, servendosi anche di una grossa scure per completare meglio l'opera. 



La sua intervista, che trascriviamo integralmente, è lo spaccato di un'infanzia drogata: più che un bambino islandese, Bjarni sembra provenire da qualche paese del terzo mondo. L'effetto è comico e drammatico allo stesso tempo: ”Sniffo, quando voglio un po' di droga. Cerco una stazione di benzina e chiamo qualcuno che compra la colla per me...a volte me la procuro da solo. E' impossibile trovare qualcuno che ti compri della colla a Kòpavogur [cittadina vicino Reykjavìk] perché la polizia te lo impedisce e poi chiama un tizio chiamato Hafsteinn che è dei servizi sociali. Hai più possibilità di comprarla in centro. Sniffare quella roba ti strafà, mentre sniffare benzina, il diluente, la colla dei pneumatici delle bici non fa lo stesso effetto. E' roba pericolosa ma mi piaceva sniffarla. Io sono quasi impazzito a causa di quella roba, ma ora ho chiuso. C'era un ragazzo che è impazzito davvero per quello. Se lo incontri e gli chiedi qualcosa, dà di matto e ti urla: “la colla, la maledetta colla!”. Perciò è in effetti abbastanza stupido sniffare quella roba. Alcuni sniffano il gas, se lo pompano direttamente in bocca. A me non piace, perché ti prende male, ha brutte conseguenze. Rimani confuso fino al giorno dopo. Ti vengono pure le allucinazioni, se usi il gas. Una volta stavamo sniffando il gas e uno di noi ha sentito qualcuno che gli correva negli occhi e dentro il suo stomaco: non riusciva a buttarlo fuori, stava impazzendo, si era preso male. Quando gli è passata, si è accorto che tutto derivava dalla sniffata. Una volta la polizia ci ha preso la roba. Avevamo preso della colla per i pneumatici delle biciclette e stavamo sniffandola in centro. Qualcuno deve averlo detto alla polizia e gli sbirri sono arrivati. Il ragazzo che aveva la colla è stato portato alla stazione di polizia e la colla ci è stata confiscata. La polizia non aveva il diritto di prenderci la colla, non avevano il diritto cazzo...Ad ogni modo, se rimani senza roba, colla e simili, e ti serve benzina, può essere difficile procurarsela se è tardi la notte. Puoi tentare di rubarla dalle auto parcheggiate e sniffartela...



E alla fine, vince il Partito migliore!
Siamo giunti alla fine del nostro breve viaggio nel punk della remota isola vulcanica dell'Islanda. Nonostante l'abbuffata di musica, copertine di dischi e testi tradotti con il traduttore automatico, rimane sempre difficile immaginarsi cosa volesse significare essere un punk in un posto così remoto. Un luogo dove lo stato, come nella migliore tradizione scandinava, si occupa di tutto e ti assicura un lavoro, una casa e la possibilità di farti una famiglia sin da giovanissimi. Uno Stato che non è certo lo stesso Stato, prepotente e ingrato, che azzerava i diritti del proletariato nell'Inghilterra dell'Era Thatcher tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta. L'essere punk, in Islanda, doveva probabilmente significare il rifiuto della cultura bonariamente di sinistra nella quale si sono sempre identificati gli islandesi, il rifiuto della noia, delle convenzioni, di ciò che è prevedibile. La voglia di prendersi tutto, di andare oltre il limite di quel mare che isola da millenni quella terra gelida, spazzata dal vento. Terra nera, ribollente, senza alberi, dagli spazi brulli sterminati e circondata da lunghe scogliere frustate dalle onde.




Bjork, lungi dal rinnegare quegli anni, dirà: “Ci siamo divertiti come pazzi quando eravamo teenagers. Eravamo punk, ma punk positivi, non del tipo preso male che odia tutto ciò che ha intorno. Volevamo tutto e ce lo prendevamo...". E i punk, ad un certo punto, si sono davvero presi tutto: nel 2010, dopo il default dello stato islandese indebitatosi fino all'osso con le banche europee a causa della crisi finanziaria del 2008, a vincere le elezioni con quasi il 35% è stato il “Partito migliore” di Jòn Gnarr


Chi era costui? Un attore satirico, ma soprattutto un vecchio punk rocker attivo tra il 1980 e 1983 nei Nefrennsli (il naso che corre). Subito dopo la vittoria alle urne, il leader Jòn Gnarr ha dichiarato: “nessuno deve temere il nostro partito. Perché si tratta del partito migliore. Se così non fosse si chiamerebbe “Partito Peggiore”, o “Partito Pessimo” e noi non accetteremmo mai di lavorare in un partito del genere”. Applausi. Poi ha aggiunto: “il sistema politico del paese è segretamente corrotto, il mio partito promette di esserlo apertamente”. Altri applausi misti a risate. Sembra uno show televisivo, invece è il discorso di un primo ministro di un paese europeo che vanta nella sua squadra diversi ex-musicisti punk, tra cui l'immancabile Einar Orn. Il programma di governo? Asciugamani gratuiti in tutte le piscine della città, una Disneyland all'aeroporto di Reykjavìk e naturalmente la ferma volontà di non pagare un euro del debito pubblico alle banche private.

L'avventura politica del “partito migliore” si è chiusa nel 2014, quando Jòn Gnarr, probabilmente annoiato da tutti quegli impegni istituzionali, ha rifiutato il secondo mandato. Ma si sa, i punx sono “nati per essere veloci” e quattro anni di governo sono stati sin troppo lunghi...

10/07/17

[we talk about...free music for punx!]
"Da sempre", Cerimonia Secreta, 2017
"La musica è come un tatuaggio che segna i nostri corpi, un segno indelebile sui tracciati obliqui delle nostre esistenze. Spesso il bisogno di creatività travalica i confini delle possibilità concrete di esercitarlo. E' per questo che ci ritroviamo a cercare occasioni per incanalare l'urgenza creativa nei progetti più disparati, nonostante i Kalashnikov collective rimangano il centro gravitazionale delle nostre attività. I "Cerimonia Secreta" sono una nuova band, un'oscura entità che allieta la scena punk diy di Milano: nascono dall'amicizia che ci lega ad un gruppo di loschi individui che corrisponde al nome di "Occult punk gang" e con i quali ci aiutiamo reciprocamente in sbattimenti vari tra cui l'organizzazioni di concerti e situazioni. Gli officianti di questa blasfema creatura sono Francesco Goat (voce), Anto Facca (batteria), Oppo (chitarra), Lisa (theremin) e Stiopa (basso). Vediamo di dipanare il mistero e conoscere più da vicino questa tenebrosa entità!

Nuove frontiere del punk...
Finalmente – dopo un'epopea durata un anno e poco più – è uscito il loro disco, anzi, la loro cassetta, intitolata "Da sempre". Che cosa suonano i Cerimonia Secreta? Un incrocio sabbatico di post-punk e neu-punk, moderno e fieramente underground, con suoni sporchi, riverberati e pastosi. I testi sono un condensato di sensi di colpa, grumi psicanalitici rimossi e coni d'ombra dell'anima. La loro declamazione dà il via ad una cerimonia catartica priva di redenzione. E la musica? Tutto parte da un groove molto solido, con una sezione ritmica scarna e sincopata, che scandisce le armonie asimmetriche e oblique tessute dalla chitarra. E nel mezzo delle danze compaiono imprevedibili momenti free dove regnano protagonisti gli inserti di theremin e di sax (suonato con la consueta sapienza dal Quaglia, il losco figuro che suonato anche nei dischi dei Kalashnikov). Insomma, c'è qualcosa di nuovo e di nero in queste canzoni, specchio di questi tempi incerti e senza luce: punk, certo, ma sul filo di un'atmosfera sinistra, con una carica anti-melodica non priva di elementi pop, ben celati sotto la coltre di un caotico muro di suono e dei delay digitali. Qui sotto avete tutto ciò che vi serve per ciucciarvi le canzoni e procurarvi l'imperdibile "cassetta secreta". Non proprio un ascolto per i pomeriggi d'estate, ma magari quando calano le tenebre...

14/10/16

[We talk about...radioshow!]
LA CASA DEL DISASTRO !
[Sarta] "Prosegue il nostro racconto radiofonico sulla scena punk giapponese nella seconda puntata de "La Casa del Disastro", sempre sulle frequenze di Radio Onda D'Urto (98 Fm oppure in streaming).
Tokyo: abbiamo appena assistito al mastodontico concerto dei Life della modica durata di tre ore. E accade che..."


La casa del disastro


[We talk about...La Casa del Disastro!]
PICCOLO POTRE, MARUCIO UTOPIA: 
schegge autobiografiche di punk giapponese – parte seconda!



Ascolta il podcast

[Stiopa] "Usciti frastornati dal Moonstep con le orecchie che ci fischiano per i volumi disumani, Bolo attira la nostra attenzione “E’ lui!” dice “E’ Satoshi, il cantante degli Isterismo!”. Dunque… gli Isterismo sono una cult band di Tokyo, molto nota tra i punk italiani non solo per il sound devastante devoto ai Wretched e al vecchio punk hc di casa nostra, ma anche perché gli Isterismo cantano in italiano! Può sembrare strano, ma non sono gli unici gruppi giapponesi a farlo o ad averlo fatto. Ovvio che l’italiano degli Isterismo è frutto di un mix di traduttore automatico di Google e scopiazzature da fonti ignote. Naturalmente nessuno dei cantanti di queste band sa l’italiano. Tutto è legato all’ammirazione dei punk del sol levante nei confronti del nostro vecchio punk/hc. Ecco qualche titolo delle canzoni degli isterismo: Distruttivo Rabbia, Giustizia Assurdita, Pioggia Triste, Piccolo Potre Marucio Utopia, Catena di Avversione, Non puo’ scappare dall’agonia, Pecora Nera..."  

Life all'opera al Nakano Moonstep di Tokyo
[Sarta] "Satoshi – che ora sembra un liceale uscito da un manga più che un punk - ci dice che gli Isterismo comunque non esistono più e mai più esisteranno: si è stancato di memorizzare i testi in italiano. Gli regaliamo una raccolta dei Wretched, la vecchia hc band milanese che gli Isterismo idolatravano e di cui avevano anche copiato il logo. Lui ci dice “grazie, ma ho già tutti gli album in versione originale in vinile”. Conoscendo le quotazioni su e-bay di quei vinili immaginiamo che abbia speso una fortuna per acquistarli. “E ne ho anche di altri band italiane” aggiunge orgoglioso, sciorinando una serie di nomi di gruppi punk nostrani che facciamo fatica a capire a causa dell’imprevedibile pronuncia giapponese che infila vocali a caso tra le consonanti delle parole. Per cui Eu’s Arse diventa Eusarese e Impact Imapakutu". 

Le Unskilled Lab raffigurate nel loro primo "demo"
[Valeria] "Comunque, i giapponesi sono così: consumisti, feticisti, morbosamente devoti ai loro idoli fino ad imitarli in modo maniacale. All’Earthdom di Tokyo ci è capitato di vedere suonare una band di tre ragazze chiamato Unskilled Lab. La cantante indossa una maglietta delle Poison Girl, un vecchio gruppo anarchico inglese, e non solo: è pettinata e vestita come la cantante delle Poison Girls, Vi Subversa. Come lei infine canta e suona la chitarra! Naturalmente quando sono salite sul palco abbiamo scoperto che le Unskilled Lab – sorpresa  suonavano esattamente come le Poison Girls! "
      
[Stiopa] "In Giappone la scena punk underground non ruota attorno alle case occupate, agli squat, ai centri sociali, ed altre situazioni autogestite al di fuori della legalità, come in Europa. Perché questo mondo in Giappone semplicemente non esiste. Il punk in Giappone si vive e si suona in locali e bar adibiti allo scopo, spesso gestiti da punk o metallari. Locali piccoli e angusti come tutto in Giappone, ma confortevoli e perfettamente attrezzati con aria condizionata e potentissimi impianti audio e luci; locali come l’Earthdom, lo Zone B, l’Anti-knock di Tokyo oppure l’El Puente di Yokohama, dove siamo stati quest’estate. Un piccolo bar posizionato nei sotterranei di un palazzo di vetro che sembra la sede degli uffici di una banca o qualcosa del genere. Al bar El Puente abbiamo visto suonare dal vivo una delle band più caotiche e lancinanti dell’attuale scena jap-punk di Tokyo, gli Unarm, che hanno tentato di demolire il locale". 

[Sarta] "Ma quali sono i motivi per cui la cultura dell’occupazione politica degli spazi non esiste in Giappone? Probabilmente molteplici, ma il principale è sicuramente legato al fatto che le pene per occupazione abusiva, come tante altre previste dal severissimo codice giapponese, sono – almeno ai nostri occhi - assurde, sproporzionate. Amici locali ci hanno spiegato che per aver occupato abusivamente uno stabile si rischiano qualcosa come 15-16 anni di carcere. Alcuni punk che si avventurarono in un occupazione negli anni ’90, in carcere ci stanno ancora oggi. E le prigioni giapponesi non sono un posto per niente piacevole, come segnalano gli osservatori che si occupano di diritti umani. il Giappone sarà una delle più avanzate, ricche e sicure democrazie del mondo, ma il suo sistema giudiziario – forse pochi lo sanno - è spietato e massimalista. Burn Down The Corrupted Justice” ("Dai fuoco alla giustiza corrotta”) è il titolo di un disco del 2004 dei Forward una delle attuali punk band giapponesi che sembrano fare leva su di un immaginario fortemente politicizzato..."  

I Forward festeggiano nonsisacosa
[Valeria] "Comunque sia, non abbiamo capito se in Giappone esista o meno una conflittualità sociale e se sì in che cosa possa consistere, vista – diremmo - l’armoniosa rigidità della vita e della società giapponese. Sicuramente tra i punk una certa forma di rivolta nei confronti dell’esistente c’è, e si esprime in un senso di estraneità ai valori della società in cui vivono, come ad esempio il valore  del superlavoro. Tutti i punk lavorano poco (anche se con quel poco in Giappone è possibile vivere più che dignitosamente) e questa, per la cultura nipponica, è già una cosa trasgressiva. Comunque sia, la nostra impressione è che la rivolta dei punk giapponesi sia decisamente più esistenziale che sociale. Non vogliono cambiare il mondo. Prima di tutto vogliono cambiare se stessi. Liberarsi di quel rigido codice di comportamento e di pensiero che tutti giapponesi sembrano portare dentro di sé dalla nascita. In questo senso si colloca la completa, assoluta ed eterna devozione che hanno per lo stile punk, che è – come dire – un’identità per la vita intera". 

[Stiopa] "Tra i punk più attempati di Tokyo ci sono i Jabara che incrociamo davanti al Rinky Dink Studio, dove provano tutte le band di Nakano. Siamo lì a cazzeggiare, quando ci vedono e ci riconoscono perché siamo componenti di una punk band italiana... noi non sappiamo cosa dire, siamo un po' imbarazzati e diciamo "...ehm...uh....ahuh...ihih....ueah....issh...." ma loro gentilmente ci invitano a seguire le loro prove e noi accettiamo perché non vediamo l’ora di farci sfondare i timpani dai Jabara!"

I Vespera di Tokyo alzano la loro lattina per brindare
[Sarta] "Ciò che accomuna i punk giapponesi è il senso di appartenenza ad una comunità sotterranea, segreta. Ne parliamo con i Vespera di Tokyo, che hanno messo in copertina del loro ultimo album una talpa: perché una talpa? Lo capiamo leggendo l’unica frase in inglese contenuta nel booklet del disco, come sempre scritta in quella maniera un po’ enigmatica che caratterizza l’uso dell’inglese da parte dei giapponesi. La frase dice: “Cecità, respirando sottoterra, mai seguendo la luce, il consenso. Malinconico Eretico. Sovverti” Si tratta di una dichiarazione di appartenenza all’underground e in effetti... che animale c’è più underground di una talpa? I Vespera suonano il classico punk giapponese a rotta di collo e volume altissimo, ma – sorpresa – la voce di Mayumi è dolce, melodiosa ed intonata come quella di un Aidoru – ovvero Idol – le tipiche cantanti giapponesi di musica commerciale".
   
You - cantante dei Band of Accuse - riposa in mezzo ad una strada
[Stiopa] "Avvicinandoci al bar El Puente di Yokohama, notiamo un punk accasciato in mezzo alla strada apparentemente privo di sensi. A degli sconosciuti, che sono lì accanto e bevono birra e fanno finta di niente, chiediamo se è tutto normale. “Ah sì – dicono - è You il cantante dei Band of Accuse. Nessun problema, sta riposando”. I Band of Accuse, poco dopo hanno suonato e You – ben riposato – ha dato prova di essere un ottimo cantante. Sono stati una vera sorpresa: il loro sound è diverso dalla maggior parte delle band giapponesi, sembrano un incrocio tra il punk metallizzato alla Motorheaed e l’anarcopunk inglese. I loro testi parlano di violenza e distruzione, ma soprattutto di tematiche ecologiche, legate allo sfruttamento del pianeta da parte dell’uomo. E lo fanno con cognizione di causa evidentemente perché la loro provenienza è Fukushima, lo scenario del terribile incidente occorso all’omonima centrale nucleare nel marzo 2011. Si è trattato dell’'unico incidente nucleare la cui gravità è stata classificata allo stesso livello del Disastro di Cernobyl' del 1986. I Band of Accuse ricordano l’accaduto in un pezzo molto intenso, intitolato Utopia".

[Valeria] "Il nucleare ha funestato la storia del Giappone dell’ultimo secolo. Hiroshima e Nagasaki certo, ma anche diversi incidenti in centrali nucleari poco noti in occidente, a Tokaimura nel 1999 (tre persone morirono all'istante mentre altre 450 furono esposte alle radiazioni), a Mihama nel 2004 (4 operai morti e 7 feriti in modo grave), ed altri incidenti di minore entità fino a quello clamoroso di Fukushima nel 2011. … in occasione di quell’ultimo disastro la comunità punk di Tokyo, di cui fa parte Nori dei Life, si è attivata per offrire supporto alle vittime del disastro, attraverso una cassa di solidarietà. Nori che è originario del Sendai, la prefettura ove lo tsunami si è abbattuto nel 2011 ha anche adottato un gatto che vagava tra le rovine perché, come dice (- ed è vero): “Quando succedono queste cose nessuno pensa agli animali”. La rievocazione dell’incubo nucleare accomuna tutte le punk band giapponesi. Nei testi delle canzoni la parola “nucleare” ricorre di frequente, come in “No Peaceful Purpose For Nuclear Weapons” o “From Hiroshima to future”  dei Life, “Nuclear Explosion”, “The Nuclear Victims” “Fear of the nuclear age” dei Disclose oppure “Nuclear Power Genocide” dei mostruosi Framtid di Osaka".


[Sarta] "Bosozoku (letteralmente "tribù della velocità sfrenata") è un termine con cui si indicano, in giappone, le bande di teppisti in motocicletta. I bosozoku sono diventati parte dell'immaginario collettivo, in particolare a partire dai primi anni ottanta, ma a differenza degli Hell's angels americani il loro look è ispirato al rock'n'roll delle origini: giubbotti di pelle nera, jeans, occhiali scuri e capelli pettinati all'indietro con la brillantina. Il film Burst City  di Sogo Ishiii, girato nel 1981 ha celebrato la sottocultura bosozoku raccontando la rivalità tra bande di motociclisti in un Giappone distopico. A rievocare la cultura Bosozoku nel punk/hc degli anni '90 sono i Rocky and the Sweeden che pubblicano, nel 1998, un disco intitolato W.A.R. War significa guerra, ma in questo caso è un acronimo che sta per per Wake Up Anarchy Rider, “svegliati, motociclista anarchico!”.

Una temibile  gang Bosozoku!
[Valeria] "Ad un concerto allo Zone B di Waseda, un locale davvero claustrofobico che si sviluppa sottoterra su tre livelli, tra un assalto crust-noise-grind e il successivo, ci siamo imbattuti in una band completamente diversa dalle altre. Un gruppo di 5 ragazze in abiti di pailletes che hanno offerto uno spettacolo a metà strada tra cabaret, pianobar e – fortunatamente - un turpe concerto punkrock. La musica delle Yo Sai Tachi (che si può tradurre come “fate” in italiano) è melodiosa e un po’ fuori moda, e di sicuro molto legata al genere Enka. L’Enka è uno standard della musica popolare giapponese più classica. Le canzoni Enka hanno come tema l'amore, la perdita, la solitudine, le difficoltà della vita, e anche il suicidio e la morte. È musica terribilmente malinconica, che le Fate interpretano però con molta ironia a sfondo sexy, banane sbucciate e mangiate sul palco, arrampicamenti sulle transenne dell’impianto luci, sesso simulato per terra tra i piedi del pubblico…"



[Stiopa] "La cantante delle Yo Sai Tachi gioca con una figura tipica della cultura pop giapponese: l’aidoru. La parola aidoru (che è la pronuncia giapponese della parola inglese Idol ovvero Idolo)  si riferisce a un’adolescente che diventa molto popolare nel mondo dello spettacolo soprattutto in virtù del suo aspetto esteriore. La parabola delle aidoru tende a essere di breve durata, tanto che in alcuni contesti il termine viene usato proprio per implicare l'idea di un fenomeno di fama tanto travolgente quanto effimero. Giovani pop star usa e getta insomma. Tra i personaggi del mondo della musica giapponese che hanno giocato con lo stereotipo delle Aidoru, per demistificarlo e mostrarne il lato cinico, consumistico e crudele, la più nota è sicuramente  la grande Jun Togawa, che per la sua qualità e complessità merita sicuramente un digressione. Anche perché la musica di Jun Togaawa ci ha sconvolti. Quando l’abbiamo sentita cantare per la prima volta in questo pezzo, registrato nel 1984 e intitolato “l’impupamento della donna punk”, non credevamo alle nostre orecchie". 

Jun Togawa in versione insetto
[Valeria] "Jun Togawa nasce nel 1961 ed esordisce nel mondo dello spettacolo nel 1982 in una pubblicità. Chiunque abbia visitato il Giappone ha di certo dimestichezza con gli strani water giapponesi, dotati di un ingegnoso sistema di fontanelle e bracci meccanici che permettono di farsi il bidè. Jun Togawa dicevamo, esordisce in televisione proprio come ragazza immagine dei water con il bidè incorporato. Per l’occasione incarna lo stereotipo della  Shojo Kawaii “Ragazzina carina”, dolce, infantile, ma al contempo maliziosamente sessuale. Una figura tipica della cultura giapponese degli anni ‘80 portata nella musica dall'industria delle Aidoru (pop idol). Jun Togawa, che di lì a poco, archiviata l’esperienza dei water, intraprende l’attività di cantante, non ha alcuna intenzione di seguire la tipica carriera Aidoru: piuttosto, modella se stessa come una parodia consapevole dello stereotipo Aidoru". 

[Stiopa] "Gli Yapoos, la sua band, fa post-punk schizoide, tecnologico e dolciastro. Ma i testi di Jun Togawa, a dispetto delle melodie pop dei brani, parlano di sesso, di mestruazioni, di abusi, di violenze carnali, di mostruose trasformazioni. Spesso Jun Togawa raffigura il proprio corpo come quello di un insetto. Come in impupamento della donna punk che abbiamo ascoltato – impupamento infatti è un termine zoologico che indica la transizione dallo stadio di larva a quello di pupa. Jun Togawa racconta “trasformazoni” umane dell'età adolescnziale come il passaggio dall’infanzia alla pubertà, o l'innamoramento etcetc con uimmagini un po' disturbanti legate al mondo degli animali, processi che vengono descritti come disgustose metamorfosi caratterizzate da distorsioni fisiche, come nella canzone “Nikuya no yo ni” ovvero “come dal macellaio”.

[Sarta] "Jun Togawa interpreta un Aidoru, infelice e alienata, conscia del suo essere un prodotto soggetto a scadenza, nel pezzo intitolato Lolita n. 108":

[Valeria - dal testo di Jun Togawa "Lolita n.108"]
"Non ho bisogno di comprare scarpe rosse con otto centimetri di tacco
Scusami, ma sono innamorata di te 
Posso stare con te nei miei sogni, ma non venirmi troppo vicino
E’ pericoloso avere a che fare con me
ho un missile nucleare installato dentro
Il mio sistema è costruito per autodistruggersi.
Mio papà ha fatto di me una signora stoica
Ma voglio dirti lo stesso che mi sono innamorata di te 
Sono una vergine d’acciaio, una stoica lolita 

Mio papà ha fatto di me una donna tragica
Il mio crudele padre, il dottore
Una tragica Lolita fino alla morte.
Ho calze bianche fino al ginocchio inamovibili
La mia fonte di energia sono le caramelle al latte
bambina ricostruita, bambina di cattivo gusto
Se mi ami stringimi e corri più veloce che puoi verso la disperazione
Mi spiace, mi sono innamorata di te 
E nelle notti senza sonno, io sogno

07/10/16

[We talk about...radioshow!]
LA CASA DEL DISASTRO !
[Sarta] "Apriamo sul nostro blog una nuova rubrica, dal roboante titolo La Casa del Disastro! Si tratta del programma radio che i nostri prodi membri del collettivo Kalashnikov terranno ogni dannato giovedì sulle frequenze di Radio Onda d'Urto (98 fm oppure in streaming). Di cosa parleremo? Indovinate un po'...di PUNK! Ma naturalmente non in maniera convenzionale...Le prime due puntate saranno dedicate ad una retrospettiva autobiografica sulla nostra scoperta del punk giapponese verso la metà degli anni '90 fino ai giorni nostri. Poi proseguiremo con delle dirette, ospitando in studio alcune losche figure della scena punk/anarchica delle nostre parti e di nuovo ci dedicheremo ancora alla scena punk siberiana dagli anni '80 ad oggi. Insomma, speriamo di fare un lavoro interessante e, forse, non banale. Chiunque abbia interesse a partecipare e/o relazionarsi con "La Casa del Disastro" è si faccia sentire! Stay tuned!




[We talk about...La Casa del Disastro!]
PICCOLO POTRE, MARUCIO UTOPIA: 
schegge autobiografiche di punk giapponese – parte prima!




[Stiopa] "All'inizio degli anni '90 siamo adolescenti con la fissa del punk. Un giorno Sarta torna a casa con un pacchetto. E' stato al negozio di dischi usati di Affori, un negozio di dischi di periferia davvero sfigato, sempre avaro di sorprese. Questa volta non solo si tratta di un disco punk, ma di un disco punk giapponese. Con gli ideogrammi e quelle grafiche nerissime che ci ricordano i nostri manga preferiti come Devilman o Hokuto no Ken. Si capisce solo il nome del gruppo "Fuck Geez". Decenni dopo, grazie al traduttore automatico di google, scopriamo che il titolo del disco suonava più o meno come "Completamente bruciati con il punk rock". Un titolo profetico che tra l’altro, all'epoca, ci rappresentava in pieno!"

Il fantomatico 7'' dei Fuck Geez
[Sarta] "Il disco dei Fuck Geez assurge subito ad oggetto di venerazione e ci apre le porte del punk  giapponese che nei mesi successivi diventa un chiodo fisso. Negli anni '90, internet non esiste e per ascoltare un disco non basta volerlo: se si tratta di un disco di punk giapponese il discorso – per ovvie ragioni linguistiche - si fa ancora più complicato... Ai banchetti dei dischi in fiera di Senigallia a Milano, facciamo scorrere pigramente i cd uno dopo l'altro, senza troppa convinzione, poi ad un certo punto, tra una raccolta dei Pooh e un live di Santana, abbiamo una visione: si intitola "Target Dictator" e ed è una compilation di punk underground giapponese pubblicata nel 1991. Come diavolo ci è finito lì in mezzo!? Per noi è un ritrovamento archeologico di portata epocale. Gruppi sconosciuti con creste altissime e borchie acuminate, disegni inquietanti, testi incomprensibili e soprattutto un suono feroce, disperato".

[Valeria] "E’ un suono che evoca il Giappone cupo, aggrovigliato e crudele che abbiamo visto nei film di Shinya Tsukamoto come “Le avventure del ragazzo del palo elettrico” e “Tetsuo”, oppure in “Akira” il manga cyberpunk di Katshuiro Otomo, ambientato in una Tokyo del futuro in preda all’anarchia…"

La compilation Target Dictator (1991)
[Sarta] "Innocents e Ghoza, di cui abbiamo ascoltato rispettivamente "Frattaglie" e "Visione della vita", ma anche Violent Pain, Hell noise, Undead Murder.... tutti questi gruppi misconosciuti sono accomunati da un fatto: suonano come se fosse l'ultima volta che lo fanno. A quei tempi – siamo alla metà dei 90 - le declinazioni più estreme del punk non vanno per la maggiore, ma noi siamo alla ricerca di emozioni più forti e la musica dei punk giapponesi trasmette un senso di disastro imminente, di caos e di follia che infiamma la nostra immaginazione".

[Stiopa] "Nei primi anni '90 il d-beat non è ancora un sottogenere pienamente codificato. D-beat come Di-scharge, il gruppo inglese che ha inventato un modo di suonare e di immaginare la musica punk.  il d-beat è un preciso codice stilistico basato su un ritmo a rotta di collo, testi gridati allo spasmo, un’iconografia brutale e un immaginario votato al pessimismo, popolato di orrori indicibili, ma orrori del tutto umani, come la guerra, la povertà, la tortura, i disastri nucleari. Nella prima metà dei '90 le band giapponesi suonano il miglior d-beat al mondo. Tra queste ci sono i Disprove di Tokyo..."

[Sarta] "Il pezzo dei Disprove, tratto dal 7" del 1994, si intitola Eraced Race... Razza Cancellata? No, eraced non è scritto con la S ma con la C. Eraced Race dovrebbe suonare più o meno come razza senza razza. Questo titolo, uno dei tanti: è paradigmatico dello stile di scrittura dei testi delle band giapponesi, caratterizzato da un uso - diciamo - creativo della lingua inglese. Perché i giapponesi l'inglese non lo sanno. Per loro più che una lingua, è un suono; il significato non è così importante, almeno non quanto la musicalità delle parole; e le parole sono immagini, e accostate l'una all'altra evocano quadri più complessi, come nella pittura, o come negli ideogrammi. Per questo i testi dei gruppi punk giapponesi sfuggono solitamente alla piena comprensione, pur risultando comunque evocativi"...

[Stiopa] ..."Esistenza dimenticata - razza sconosciuta - pregiudizio senza volto - davvero invisibile. Un luogo distrutto - non schiavi. Verità proibita - noi dobbiamo conoscerla. Cancellata, razza cancellata!".
Oppure... 
"Questo significa guerra. Noi dobbiamo combattere. Tu devi morire. Questo non è quello che hai detto, Noi dobbiamo combattere, ma non dalla tua parte. Non hai niente. Noi dobbiamo cambiarlo". E ancora:
"Uccidere non significa niente: basta uccisioni, uccidere non vuol dire niente, Ma tu non lo sai. Prendi il tuo pugnale e buttalo via…“.


[Valeria] "Oltre alla libertà lessicale e alla confusione semantica, un altro aspetto che caratterizza i testi delle band giapponesi è l'estrema sintesi. Prendiamo ad esempio un  pezzo dei Beyond Description (oltre la descrizione), una nota band giapponese degli anni ’90. Il titolo è Lost (“Perso”) e il testo dice “mi sono perso”. Nient’altro. Questi testi ricordano un stile di scrittura poetica giapponese, l’haiku: l’haiku è una sfida: il poeta deve raccontare in tre versi, rigorosamente 17 sillabe, il mondo che lo circonda e i suoi sentimenti più profondi. Paradossalmente, ma anche necessariamente, nell'haiku è più importante quello che il poeta non scrive, piuttosto che quello che scrive; ovvero non quello che decide di descrivere, ma quello che fa intuire. Per apprezzare appieno la poesia haiku bisogna quindi andare oltre la parola scritta, “oltre la descrizione”, Beyond Description appunto…  "

[Sarta] "Detto questo, non si può parlare di punk giapponese dagli anni 90 ad oggi, ed in particolare di crust d-beat, prescindendo da Hideki Kawakami e dai suoi Disclose. Quando siamo tornati a casa con il nostro primo disco dei Disclose e lo abbiamo messo sul piatto del giradischi, per prima cosa abbiamo pensato che lo stereo si fosse rotto. Batteria e voce erano sovrastate da un fruscio spaventoso, un rumore bianco che assomiglia a quello della radio fuori frequenza. Ma no, non c’era niente che non andasse nel nostro impianto… Quelli erano davvero i Disclose! E non solo: quel suono scorbutico con la chitarra a zanzara, iperdistorta fino a perdere ogni velleità armonica, diventerà il marchio di fabbrica del punk giapponese degli anni successivi". 

Hideki Kawakami ci dà dentro coi Disclose
[Stiopa] "Visions of war “Visioni di guerra”, il pezzo dei Disclose che abbiamo appena ascoltato, è una cover dei Discharge, ed è tratto da un disco che, nelle grafiche, riproduce in modo quasi pedissequo  la copertina di “Realities of War” degli stessi Discharge. Un vero e proprio attestato di devozione al suono e all’immaginario della band inglese, dalla quale Kawakami – il leader dei Disclose - è letteralmente ossessionato. In generale, per i punk giapponesi il punk stesso è un’ossessione che pervade ogni istante della loro esistenza, anima ogni gesto, ispira ogni loro scelta. Kawakami, ne è un esempio: consacra la propria vita al d-beat e a i Discharge, registrando, dal 1993, più di trenta dischi, tutti riconducibili al medesimo suono e al medesimo immaginario, fino alla sua prematura morte, a 36 anni, nel 2007, per un’overdose di alcool e sonniferi. Pochi giorni dopo, Stuart Schrader, un punk americano che aveva conosciuto Kawakami, pubblica su Maximum rock’n’roll un articolo molto bello e quasi commovente, che cerca di raccontare questo personaggio così profondamente amato dai punk giapponesi".

Hideki Kawakami
[Nonno] “Forse il modo più preciso per definire Kawakami è dire che è stata un'ispirazione. Sebbene sia un luogo comune dire che il punk è uno stile di vita, quando lui diceva nella prima lettera che mi ha scritto: “Il D-beat è veramente grandioso! é la mia vita!” voleva sicuramente dire qualcosa di più della solita affermazione che noi, che abbiamo dedicato molto del nostro tempo a questa cosa folle chiamata punk, siamo soliti utilizzare. Molti artisti radicali si sono impegnati per far crollare la separazione tra l'arte e la vita. Kawakami, senza grandi pretese e senza ambizioni, c'era riuscito. 
Il punk d-beat può essere stato creato dai suoi predecessori, ma Kawakami è stata la persona che lo ha legittimato e forgiato in un vero e proprio vangelo, nel senso che da esso egli ha tratto le sue convinzioni e nutrito il suo amore; perfezionarlo e diffonderlo fu un suo dovere. [Disclose = rivelare, divulgare]. Il D-beat è semplicemente quello che lui è stato e che ha fatto, e al quale è rimasto fedele fino alla fine dei suoi giorni.
La prima sera che uscimmo insieme in Giappone (era il 2002) chiacchierando con il suo inglese scassato e il mio inesistente giapponese, mi ha spiegato come ha, come dire, interiorizzato i Discharge: nel senso che la formula utilizzata dai Discharge sia nelle canzoni che nello stile musicale non era più una formula che avrebbe potuto scegliere intenzionalmente e coscientemente di seguire, ma era diventato semplicemente l'unico modo nel quale egli era in grado di esprimersi!”

[Sarta] "La tomba di Hideki Kawakami ha una lapide sulla quale è scritto: “D-beat raw punk Disclose Hideki Kawakami 1971-2007” e sotto la cover iconica di “Realities of war” dei Discharge, quella con il punk di spalle e il giubbotto borchiato. Anche nella morte, e per l’eternità, Kawakami verrà collegato indissolubilmente ai Discharge e alla loro musica, alla quale era devoto. L’ultimo atto musicale dei Disclose prima della scomparsa di Kawakami è l’e.p. Grey Earth “Terra grigia”. Un’immagine che evoca un fotogramma sbiadito, un fading, un luogo incerto, come, alla luce del sua strana morte, forse un suicidio, enigmatico e sfuggente doveva essere anche il personaggio di Hideki Kawakami". 

[Stiopa] "Ad un certo punto arrivano gli anni zero, e buttiamo nel cesso i modem a 56k… ci si scoperchia dinnanzi uno scrigno di vermi e putredine: tutto il caos sonoro che negli anni precedenti c'eravamo persi. Tra i dischi del punk giapponese degli anni ’80 forse non ce n’è nessuno che eguaglia in quanto ad oggetto di culto il 12” Detestation dei G.I.S.M. Gism è una sigla misteriosa: forse sta per Guerriglia Incendiaria, sabotaggio e ammutinamento forse per Dio in una mente schizoide oppure per Gran imperialismo sociale meschino, oppure ancora per Idiosincrasia gnostica di un militante sonico …. Ed altre ipotesi assurde. Ma sappiamo quanto, per i giapponesi l'immediato significato delle parole sia secondario. Se volessimo darne una definizione musicale diremmo che il disco dei Gism si colloca in bilico tra heavy metal e punk, ma quel che colpisce di Detestation non ha a che fare con lo stile musicale, ma con un sentore malsano, tenebroso ed indescrivibile, con un demone che se ne sta acquattato tra i solchi per saltare fuori ed aggredire di tanto in tanto l'ascoltatore, in brani come ad esempio questa “Document One”.

I mitologici Gism
[Valeria] "Gli Oni sono entità demoniache del folklore giapponese; vengono raffigurate come giganti umanoidi, con artigli affilati, capelli arruffati e corna appuntite. La pelle degli Oni è colorata e il loro aspetto minaccioso viene spesso accentuato dal fatto che si ricoprono di pelli di animali feroci e brandiscono il kanabo, una mazza ferrata irta di chiodi. I gruppi punk giapponesi degli anni ’80  nei retrocopertina dei loro dischi sembrano Oni: con i capelli cotonati sparati verso il cielo e giubbotti di pelle borchiati che sembrano corazze di bestie preistoriche, mentre brandiscono i propri strumenti come fossero armi. Come i Gastunk nel retrocopertina di Dead Song, un mostruoso disco di oni-rock registrato nel 1985, che si apre con Mokushiroku (apocalisse)..."

Chelsea, chitarrista dei Deathside
[Stiopa] "Tokyo, estate 2016: una fila di punk, ordinata e paziente, come tutte le file in Giappone, si dipana per le vie di Shinjuku, nei pressi del Shinjuku Loft, un grosso locale rock e punk. Sono in attesa del turno per acquistare il biglietto di un evento imperdibile: la reunion dei Deathside, forse la hc band giapponese più nota e amata al mondo. E’ il 17 agosto: lo stesso giorno di nove anni fa moriva, in circostanze tutt’ora non chiarite, il chitarrista dei Deathside Chelsea e oggi i compagni di gruppo lo vogliono ricordare con un concerto. I riff di chitarra di Chelsea, i suoi leggendari assoli e la sua grande tecnica erano l'anima della band, tanto che nell’attuale formazione, per poter riprodurre al meglio le partiture di Chelsea, i Deathside sono stati costretti ad assoldare non uno bensì due chitarristi. “Bet on Possibility” del 1991 è forse uno dei dieci dischi punk/hc più intesi di sempre e il pezzo “Life is only once” di sicuro avvalora questa affermazione".

I Life on stage!
[Sarta] "Abbiamo parlato finora dei nostri sforzi, da ragazzini, di scovare dischi di punk giapponese e di entrare in contatto con questa cultura a diecimila chilometri di distanza. Dopo un bel po’ in Giappone però ci siamo anche andati. Per esempio la scorsa estate. Il sei agosto siamo al Moonstep di Nakano, Tokyo, uno dei locali punk più attivi della città. Si festeggia il 25° anniversario di una band di amici, i Life. I Life sono una delle più longeve e stakanoviste  punk band di Tokyo. Si sono appunto formati nel 1991 e da allora suonano ininterrottamente, anche tre, quattro volte al mese nei locali punk della città. Il sound dei Life è quello del moderno crust giapponese, erede della lezione di Hideki Kawakami e dei Disclose: ritmi forsennati e chitarre perforanti, un disastro sonoro di dimensioni epiche".

[Stiopa] "Dicevamo che i Life si esibiscono quasi tutte le settimane a Tokyo, ma non sono gli unici a suonare così spesso. E’ una prassi diffusa tra i gruppi giapponesi. Perchè a Tokyo, una città di 13 milioni di abitanti, può capitare che in un banale lunedì sera o martedì sera ci siano anche due o tre concerti punk, per non parlare del week-end quando si è costretti a scegliere tra decine di possibilità. Selezionare accuratamente le serate per noi poveri occidentali è una necessità anche perché in Giappone il prezzo dei concerti è proibitivo: l’ingresso può costare anche 3000 yen (circa 30 euro). E parliamo dei concerti punk auto-organizzati dalle band, quelli che da noi costano dai 3 ai 5 auro".
[Valeria] "Sebbene le band giapponesi suonino davvero di frequente in locali a pochi passi uno dall’altro, è vero anche che i loro set non durano più di quindici minuti. Se ci distrae un attimo, magari per andarsi a prendere una birra si rischia, senza scherzare, di perdersi una band. Fatto sta, che in quei pochi minuti di esibizione i punk giapponesi danno tutto quello che hanno, suonano come se non avessero un’altra possibilità di farlo, come se la fine del mondo li aspettasse lì fuori dalla porta. I set delle band in Giappone sono solitamente un’esperienza travolgente, violenta, proprio in senso fisico: i volumi altissimi, i suoni laceranti, l’intensità della performance… In questo senso uno dei gruppi punk più crudeli che ci è capitato di vedere in Giappone sono stati gli Stagnation del cantante Azusa Miyazaki…"

Gli Stagnation sul palco del Nakano Moonstep di Tokyo
[Sarta] "Stasera – dicevamo - è un’occasione particolare: è il 25° anniversario dei Life di Tokyo. Ma altro che dieci minuti di concerto. Hiro, il cantante ci avverte che hanno in scaletta 56 pezzi che eseguiranno in circa tre ore di set. E mantengono quanto promesso senza concedere tregua al pubblico stipato nella stanza dalle pareti nere, perfettamente insonorizzata, del Nakano Moonstep. Si sa, i Giapponesi amano tutto ciò che è estremo, da una parte – i concerti di dieci minuti - e dall’altra – quelli da tre ore. Un concerto crust giapponese di tre ore risulta però un’esperienza sensoriale annichilente, dai risvolti mistici. All’ultimo pezzo, l’epica “The way of human existence” siamo ridotti in poltiglia…".

 >>> Scarica tutte le canzoni messe in onda in questa prima puntata

...To be continued...