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martedì 11 marzo 2014

Trasferimento

E' passato un mese esatto. Partivo presto la mattina, ancora buia e fredda per un inverno non ancora concluso, assonnato ed infreddolito, ma teso per l'eccitazione che, come ogni volta, mi procura l'inizio di un viaggio. Come ho già detto, anche se sempre ad ogni partenza, mi sento impreparato e rimpiango di non aver letto di più, di non avere assorbito meglio le cose che voglio andare a cercare di capire, nella realtà delle somme che si tirano alla fine, concludo che era meglio partire con la mente più bianca, meno corrotta dalle conoscenze e dagli elenchi preordinati, le liste di Eco, da cancellare ad una ad una, le aspettative che poi non trovi, fino a stimolare una ingiusta delusione. Meglio lasciarsi andare al viaggio in sé, allo stimolo casuale di quanto via via ti circonderà, prendendolo sempre come nuovo e non come atteso. Così le già tanto nominate risaie italiane che sfilavano dal finestrino un po' sporco del pullman, cercavano paragoni futuri, mostrando stoppie marce e aironi solitari, cascine apparentemente abbandonate e spoglie; in un cortile un incongruo pino che stona nel paesaggio come un McDonald in piazza del Duomo, come un bianco in Africa, come un negro in Cina. I cinesi invece quelli no, sono e vanno bene dappertutto. Sulle sponde dei canali, file di pioppi dalle membra nere e senza carne. 

L'arco delle montagne, con le cime bianche che sorpassano lo strato di foschia bassa oppure nera caligine dell'uomo inquinatore che le separa dal mondo. Facevo una considerazione ieri, proprio su questo aspetto triste delle risaie nostre. Che differenza certo, tra la sensazione (contrapposta alla allegria gioiosa che mi aspetto di trovare là dove sto andando) e la realtà pratica. Certo che alla fine è sbagliato ricordare con nostalgia i nostri campi popolati da legioni di ridenti (?) mondine e di giovani padroni dalle braghe bianche che si innamoravano di loro (generalmente ogni notte di una diversa). Sicuramente non erano tempi affatto felici e le povere risaie che troverò, anelano a trasformarsi al più presto come le nostre, ma l'animo umano preferisce lasciarsi andare al tocco poetico della nostalgia ed al fascino della natura amica, che come di certo sapete, secondo me, è una bufala pazzesca. E di bufali ne vedrò di certo parecchi. Quindi meglio lasciare da parte il bucolico per gettarsi nel tecnologico lucente degli aeroporti, quelli che ti stringono in una morsa di popolazione in movimento convulso; ma dove cavolo va tutta questa gente? In ciabatte, con ventri sguaiati e canottiere che lasciano indovinare destinazioni popolari da una parte, incravattati con le borse nere dei contratti e il tablet in consultazione perenne a progettare, a contattare per cercare opportunità, portare a casa lavoro ad imprese affamate, con operai in attesa di far partire le commesse, in bilico tra lo straordinario e la cassa integrazione, dall'altra. 

Tecnici con le valigette degli strumenti in partenza verso destinazioni esotiche in marcia verso il futuro, che sognano svaghi altrettanto esotici tra un avviamento e una approvazione definitiva dell'impianto. E poi, tutti quegli aeroporti nuovi di zecca, sembra che il mondo si sia mosso tutto insieme di colpo, lasciando solo noi coi nostri vecchi e antiquati meccanismi da terzo mondo. Il mio aereo che va in Oriente è pieno zeppo di russi scamiciati e con le infradito che vanno al mare. La classe mediobassa moscovita ha scoperto le vacanze a basso costo all inclusive e ci si è buttata con entusiasmo. Borse e borsoni come quando andavano al confine cinese a rifornirsi di vestiti ed altre merci da rivendere ai mercatini di quartiere, ma qui si va in vacanza. E' uno status sociale nuovo in cui ci si crogiuola facilmente. Senti solo parlare russo, d'accordo, è un aereo della Aeroflot e sarebbe strano il contrario. Pieno zeppo, quasi quattrocento persone e neanche un posto libero. Il sedile accanto a me è vuoto, come al solito mi illudo e invece ecco che arriva il solito gigante con cui disputerò il bracciolo per una decina di ore. Socializziamo però e si manifesta come un artista, come recita il suo santino/calendarietto: Vladimir Cherniakov, compositore, poeta e cantante di tradizione (vi metto in basso un suo brano struggente, tanto per capirci, ho fatto un giro su youtube e direi che è pure bravo).

Va a Pattaya, naturalmente a raggiungere la famiglia in vacanza, lì come tutti gli anni, dopo che hanno abbandonato la Costa Brava, troppo cara e vittima del crollo immobiliare. Trova assolutamente curiosa la mia meta e soprattutto le motivazioni del mio viaggio, a meno che non ci sia da quelle parti qualche bella spiaggia a costi inferiori  a quelli thailandesi, ipotizza. Ci sarà naturalmente come scoprirò poi, infatti e già rigurgitante di suoi compatrioti assetati di sole invernale. Beh quanto meno mi è servito per rinfrescare un po' il mio russo, che era già piuttosto claudicante di suo. La notte sulle poltroncine della economica è comunque devastante per l'anziano che è in me. Non riesco a chiudere occhio naturalmente e quando arrivo e tutti i miei vicini sciamano pimpanti verso le loro destinazioni finali, eccomi qua tutto rattrappito in cerca del gate per l'ultimo balzo finale, per questo avvicinamento che non finisce mai, con le giunture dolenti e intorpidito nel corpo e nella mente. L'atmosfera esotico/moderna di Bangkok mi ravviva un po'. Un frullato di mango e due gamberoni in tempura, probabilmente dorati visto il conto, ancor di più, le ore finali passano ed esco fuori dal tunnel finale, avvolto dall'aria umida del sudest asiatico, finalmente pronto a capire se sono arrivato a Saigon o ad Ho Chi Minh Ville. 



Ho pensato, visto che questo blog dovrebbe anche servire a qualche cosa, alla fine di ogni post vietnamita, che è costituito più che altro dalle mie elucubrazioni, alla fine per qualcuno piacevoli da scorrere ma poco pratiche, di aggiungere anche una sezione di dettagli pratici che poi sommerò tutti assieme in una pagina specifica come ho già fatto per Tanzania e Laos (e come vorrei fare se avrò tempo per Senegal e Cambogia). A simiglianza di quanto fa molto bene Ciccola, molto utilmente, nel suo bel blog di viaggi , prodigo di consigli utili, Gattosandro viaggiatore, che vi consiglio di spulciare.

SURVIVAL KIT 1

Visto ottenibile a Torino (110 Euro!!!!!!!) oppure se acquistate qualche servizio da un'agenzia locale, vi potrete far mandare l'invito ufficiale per ottenere il visto all'aeroporto con  $ 45 , contanti e spicci. Per chi arriva alla frontiera con la Cambogia o dal laos stessa cosa, si può ottenere il visto all'ambasciata di Phnom Penh in due giorni 45S (urgente in 1 ora 55$)

Per i voli c'è ampia scelta. Per chi vuol mantenere il budget il più basso possibile, ci sono combinazioni come quella che ho scelto io con Aeroflot per raggiungere l'hub di Bangkok, da cui spostarsi a/da Saigon - Hanoi o altro (Pnhom Penh / Vientiane/ Luang Prabang) a seconda dell'itinarario scelto. 
Pregi: Il costo essenzialmente
Difetti: Si è costretti a lunghe soste a Mosca e a Bangkok e l'Aeroflot non è certo una compagnia tra le più reputate, in particolare per il cibo a bordo.

Malpensa - Mosca - Bangkok e ritorno - Aeroflot (da Domenica 12:05 a Lunedì 8:20 - ritorno sabato 10:20 a domenica 10:55!!!) Euro 527
Bkk - Saigon - Turkish Airline 1 ora e mezza - (una compagnia in ascesa, molto consigliabile) Euro 82
Hanoi -  Bkk - Qatar Airline 1 ora e mezza-  (anche molto buona) Euro 82

Calcolate che bisogna dormire una notte a BKK, considerando poi di fare la nottata in aeroporto a Mosca distesi sulla moquette del terminal D.

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mercoledì 23 maggio 2012

Melancolia.

Le montagne tutte bianche di neve si possono toccare e pensate che siamo a maggio. Sotto di loro colline verdi scuro, quasi nere protette da un cielo di nuvole sfrangiate di azzurro. Davanti l'aereo aumenta i giri dei motori, il sibilo delle turbine diventa quasi insopportabile, prima lentamente poi sempre più in fretta si allontana sulla pista, la percorre tutta, si alza e se ne va. E io rimango qui a terra a guardarlo con occhio malinconico.


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giovedì 15 aprile 2010

In un altro spazio.

E’ accaduto di nuovo. In questo gioco fantastico tra virtuale e reale e tra virtuale e meta virtuale, nulla è più chiaro, niente è più sicuro. Voi leggete queste cose, ma io non sono lì, la mia è una presenza/assenza, una fantasima di cui voi conoscete l’esistenza e su cui potete accendere le vostre fantasie più morbose, ma voi sapete che io sono in un altro luogo a scrivere queste cose che vivono solo nella possibilità di essere lette, per suscitare sensazioni, ricordi, commenti. Invece adesso non sono nemmeno laggiù, semplicemente non sono. Vivo in un altro spazio, forse in un altro tempo, ad altezza non immaginabile, puro spirito in una atmosfera rarefatta dove i corpi umani non possono sopravvivere. Lontano, anche se appaio presente, in una sorta di dimensione priva di riferimenti che mi farà andare avanti nel tempo, che confonderà la notte con il giorno, che mi darà sensazione di calore, mentre a voi sembrerà di avere freddo, di vedere la luce mentre la tenebra della notte avvolge il vostro sonno, muovendomi a velocità vertiginosa, mentre tutto mi sembra immobile. Non sono più su questa terra. O meglio dipende dal momento in cui state leggendo questo post. In realtà potrei già essere atterrato e disceso, stranito e spossato, fuori dal ventre del grande uccello di metallo, come sempre, preda del terrore ancestrale che prende noi, uomini primitivi, quando compiamo questo atto contro natura, volare dentro un oggetto che nessun essere di buon senso può credere di essere capace di sollevarsi da solo, così enorme, così disgustosamente goffo e pesante se raffrontato ad una affusolata cicogna o ad un’aquila possente. Va be’, avete capito che mi hanno dato di nuovo un permesso. Mi assento quindi per un po’, ma non temete, una serie di post di argomenti vari, di cui questo è solo il primo, è stata acconciamente preparata e la mia ghost writer, oltre ad avermi concesso la vacanza (di studio e di meditazione naturalmente) si è anche accollato l’onere di postare con regolarità certosina. Non turbatevi quindi se non risponderò subito ai vostri commenti arguti. Lo farò comunque al mio ritorno (se ci sarà un ritorno, naturalmente), ma non pensate di essere completamente orfani; le moderne tecnologie stupiscono ogni giorno di più e potrebbe anche darsi che, pur lontano e metavirtuale, possa insinuarmi nella rete per tenervi d’occhio. Viaggio leggero, ho con me solo un calepino e un mozzicone di lapis, per appuntare qualche pensiero, qualche sensazione, qualche immagine, nel timore di perderle. Ve ne renderò conto appena possibile.

venerdì 11 dicembre 2009

Rossetti ed acqua minerale.


L'inverno russo è un po' un limbo perenne, in cui si passa dal buio poco illuminato della notte ad una penombra lattiginosa che dura poche ore, sempre ovattata dal bianco sporco della neve che attutisce ogni rumore, in particolare allora, quando il traffico era scarso. Anche se tutta la città era servita di teleriscaldamento, quei pochi mezzi circolanti ammorbavano l'aria. Avevi senpre in gola uno sgradevole sentore di cattiva benzina bruciata male. Tutto questo ottundeva alquanto i sensi, creando un certo torpore che leggevi chiaro negli occhi dell'umanità che, nonostante il freddo, affollava i marciapiedi, la mattina per andare sul posto di lavoro. Questo non significava certo andare a lavorare, sono due concetti radicalmente diversi. In quel periodo infatti, era luogo comune dire che lo stato faceva finta di darti uno stipendio e tutti facevano finta di lavorare. Procurarsi qualunque cosa era un po' un percorso ad ostacoli, in cui valevano solo le conoscenze, delle persone giuste e delle giuste modalità. Qualunque tipo di biglietti, sia per i trasporti che per gli spettacoli o l'ottenimento di visti o permessi, prevedeva il contatto con persone misteriose che, pagando il giusto, ti procuravano il tagliando desiderato. Così dovemmo rinunciare al viaggio previsto ad Alma Ata, non avendo in tempi utili, il visto necessario. La notizia ci giunse da Zhenija, che in pratica fungeva da trovarobe, mentre andavamo ad un importante incontro di rappresentanza al ministero del commercio, dove un personaggio di peso ci attendeva in una enorme salone con classica scrivania sovietica a T, tra un andirivieni di ancelle recanti thé e misteriosi fogli dove lui, con noncuranza, dopo aver gettato un'occhiata, vergava uno scarabocchio. Quello era certamente un uomo di peso (almeno 150 kg) in classica grisaglia, che scese dal trono per abbracciare e baciare il tenero Ferox, cercando di metterci a nostro agio. Di certo, l'accreditamento ed i precedenti della nostra azienda, che era una delle pochissime, allora, ad avere un accreditamento ufficiale, aiutava, ma, come mi fece poi notare Ferox, si avvertiva un certo qual cambiamento nella condiscendenza con cui il mammasantissima ci trattava stavolta. Si complimentò per le nostre realizzazioni e mentre si parlava del più e del meno, non perse occasione per far scivolare tra le pieghe del discorso la sua famigliarità con Craxi, De Michelis e compagnia bella. La prendemmo come un cambiamento dei tempi ed in ogni caso ci diede interessanti dritte su nuovi contatti da prendere. Il suo occhio era vivo e attento, a dispetto della mole, come di chi sente il branco di iene che ha ormai circondato la tana del vecchio leone in difficoltà e ha ben compreso che è il momento di cercare nuove piste su cui svicolare per evitare i pericoli e rimanere a galla nella battaglia di potere appena scatenatasi. Ce ne andammo dopo un'oretta. In ufficio ci aspettavano, anche se avevamo cercato di evitarle, altre due iene, i padroni dell'appartamento, una coppia che nella privatisazija, da inquilini ne erano rimasti proprietari con un riscatto nominale. Trasferitisi in una piccola dacia nei dintorni di Mosca, campavano dell'affitto ed ogni mese arrivavano come sanguisughe richiedendo un aumento delle prebende che superavano ormai ampiamente i 2000 dollari. Un vero furto. Sembava una coppietta di tranquilli pensionati dediti alle pratiche dell'orto, invece seduti dietro il tavolo della cucina, non mollavano l'osso, sapendo che ci eravamo ormai impiccati con la nostra stessa corda, avendo completamente ristrutturato a nostre spese i locali. Pretesero altri 200 dollari adducendo inesistenti spese di manutenzione, pena lo sfratto immediato. Temendo l'arrivo dei picciotti, Ferox aderì obtorto collo al taglieggiamento e i due banditi se ne andarono a braccetto, dondolandosi lungo le ampie scale imperiali al buio, essendo rotto l'ascensore e tutte le lampadine rubate. Risolta la pratica andammo all'aereoporto ad accogliere R. che arrivava dall'Italia carico di materiale. Anche qui bisognava conoscere le segrete strade. Trovata infatti una vecchia amica che apprezzò particolarmente la scatola di Rocher Ferrero che avevamo casualmente con noi, ci fu permesso di entrare nelle aree speciali dove facemmo transitare facilmente tutto il materiale, evitando pratiche burocratiche infinite che, nella maggior parte dei casi si traducevano nel sequestro di parte della merce. Ansiosi di saper le ultime notizie italiane arrivammo in ufficio appena in tempo per sentire il ticchettio del telex che batteva due fondamentali notizie. La prima ferale, comunicava che l'affare degli stampi per i rossetti ed i mascara su cui speravamo tanto era sfumato a favore di una ditta coreana, l'altra, che da una finanziaria canadese erano arrivati i soldi per la prima linea di riempimento di acqua minerale e che il contratto poteva partire senza altri indugi. Grandi festeggiamenti; dalla cucina Angela arrivò con una cofana di spaghetti appena scolati, il parmigiano, appena arrivato dall'Italia, come se piovesse e lo stappo di una bottiglia di champagne (bulgaro) segnò il successo dei nosti sforzi. Ma le valigie erano pronte, dopo due ore eravamo già all'aeroporto secondario di Domodiedovo dove un rabberciato Ilijushin ci avrebbe portato prima di sera a Ekaterinburg che, anzi ancora si chiamava Sverdlosk.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 116 (a seconda dei calcoli) su 250!