Scusate se latito un po', ma sono preso da mille impegni e grane varie, inclusi spostamenti, trasferimenti vari e preparazione del prossimo viaggio. Comunque, mentre preparo la valigia, devo fare una considerazione che voglio girarvi su queste pagine, anche da voi sempre più neglette, mi pare, a vedere i numeri e va bene che siamo d'estate, ma tra crisi e maltempo, dovreste passare un po' più di tempo sul computer. Tuttavia come credo concorderete, va bene pensare ad andarsene di qua e di là, ma pure un po' di tempo a casa bisognerà passarlo, anche solo per pagare bollette e pensare a tutte le rogne che ti trovi nella buca delle lettere ogni volta che arrivi alla avita magione. Dunque bisogna pensare anche a mettere da parte delle robuste scorte per l'inverno, fare cambusa insomma, come deve fare ogni previdente formichina. A cominciare dalle patate. Ma che non siano patate qualunque. Vuole infatti la vulgata che, avendo la possibilità di metterci le mani sopra, le patate di montagna siano infinitamente più buone delle patatacce di pianura, enormi e rimpinzate di ogni porcheria kimica. Quindi da anni si cerca, durante la stagione estiva trascorsa tra i monti e le caprette che fanno bau o quello che è, di contattare un produttore di fiducia che possa fornirne un idoneo quantitativo. Purtroppo come ben immaginerete, da un lato la terra è bassa e dall'altro la montagna si sta spopolando e i montanari che integravano la magra dieta di tome dei pastori, frutti di bosco e funghi raccolti sulle balze dei monti, calano di numero di anno in anno e sono ormai ridotti ad una sparutissima schiera di malmostosi gestori di agriturismi che preferiscono fare il grano rifilando polenta e salciccia a cittadini sfiancati dalla fatica di salire a piedi fino ai vari alpeggi, che a spaccarsi la schiena a scavare patate tra la dura roccia.
Quindi ogni anno devi correre qua e là a cercare, tramite raccomandazione di qualche amico fidato, qualcuno che, proprio per farti un favore ti conceda un sacco di una cinquantina di chili di preziosi tuberi, raccolti in quota, pieni ti terra e di scabbia, perché capirà, io non gli do niente e quella è solo brutta da vedere e mica fa male. Così almeno ti raccontano chiudendo col piede la porta dello stazzo dove tengono chiusi i bidoni di antiparassitari di prima e seconda classe, come del resto prevede la legge. E fin qui va tutto bene perché chi si è almeno un po' interessato di agricoltura sa che se no, di roba non ne mangi, ma siccome per una certa parte della mia vita, ho lavorato nel settore e ho qualche nozione di base, ogni volta, non riesco a tenere la bocca chiusa e a chiedere almeno di che varietà si tratta. In generale mi ritrovo davanti due occhi stralunati che vogliono significare, ma come non ti basta, pasta bianca o pasta gialla? No vorrei sapere quale varietà mi fornisci. Si cincischia un po' e poi salta fuori, ma, mi sembra Agria o Spunta. E no, accidenti, capisco che non si seminano più le mitiche Piattelline e anche le Bintje sono cadute in disuso, ma proprio due varietà che o si disfano mentre le cuoci o sono più dure delle pietre, no. Capisco che producano tanto, ma allora vado a comprarle al supermercato e invece di 1 (uno) euro al chilo, le pago un terzo e sono cattive uguali. Così scottato ormai più volte, quest'anno mi sono procurato la dritta giusta. Quattro case arroccate su una montagna difficile da raggiungere, ma di grande impatto psicologico. Balze ripidissime, dove un povero contadino strappa a fatica tra le pietre e le rocce, piccoli tuberi, talmente buoni da far correre gli amatori da lunga distanza pur di avere il privilegio di averne almeno un po'.
Infatti è bene, muniti dell'apposito biglietto che il villico ha provveduto a far stampare e a mettere in circolo, scarpe grosse ma cervello mediatico, prenotare la quantità necessaria, per dargli modo di prepararvela per tempo, prima di intraprendere la difficile strada che conduce alla borgata. Avuto l'assenso, eccoci, puntuali come agenti del fisco svizzero, guidati da appositi cartelli Qui si vendono patate di..., bussare alla porta della malga sull'alto del monte. Non c'è nessuno. Per forza. l'uomo è sulle ripe intento a strappare alla terra avara, i suoi frutti. Dopo una chiama il cui eco rimbomba a lungo tra i contrafforti della valle, eccolo che arriva, con la marra sulla spalla, affaticato ma ansioso di contentare il villeggiante. Intanto non è il proprietario, ma un rumeno, abbandonato sul monte a fare il lavoro di mano, lui probabilmente è giù in valle ad intessere relazioni commerciali. Evito i sacchetti di Agria, che anche qui hanno invaso l'area e carpisco tre confezioni di buccia rossa, Asterix, varietà nuova, di cui testeremo la validità. Al momento di pagare emerge la dura realtà. La fatica va premiata e si deve evitare lo spopolamento dei nostri monti e quindi il prezzo di 1,70 Euro/kg è più che altro un prezzo di affezione, una medaglia al valore assolutamente disgiunta dall'essenza epistemologica della patata acquistata, un premio alla volontà di proteggere il territorio e l'ecosistema. Insomma un contributo a combattere il dissesto idrogeologico delle nostre valli. Un buon esempio di filosofia di chilometro zero, quella che produce dieci o venti volte più inquinamento, tra consumi vari per andarne a prendere 30 kg e portarle a casa, che non farle arrivare direttamente in aereo dall'Olanda. L'importante è essere contenti, tanto per tenere bassa la glicemia bisogna mangiarne poche e poi a prezzo di gioielleria, sembrano sicuramente molto buone.
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