Ho un rapporto difficile con la tecnologia, un po’ come Buster Keaton e le macchine. Non lo faccio apposta, io la amo, in realtà, la tecnologia e la ricerco con passione. E’ lei che mi respinge, quasi che le fossi antipatico, come una giovinetta bizzosa e desiderata che non si decide a baciare il ranocchio impenitente che vorrebbe impalmarla, possederla definitivamente. Ho cercato in vari modi di acquisire i fondamentali teorici per l’uso dei mezzi, ma non c’è niente da fare, il meccanismo è riottoso, mi scaccia e in generale si rifiuta semplicemente di funzionare. Va bene ho anch’io una mia piccola responsabilità, nella mia opposizione ottusa ma pervicace di prendere visione, anche solo sommaria, come il maschio italiano in genere, di qualunque tipologia di libretto di istruzione (vi ricordo che in cinese si dice Xiao Ming Shu: il libretto della luce, che illumina, tanto per capirci). In questo so di essere compreso da tanti, ma il fatto è che qualunque oggetto tecnologico acquisti, in genere, questo non vuole pervicacemente mettersi in moto, fare il suo lavoro o ha un qualche piccolo difetto nascosto, un vizio occulto che non si poteva prevedere al momento dell’acquisto. Tanto per fare degli esempi a caso, un bel televisore Philips (cito appositamente la marca, se qualcuno del customer care, si volesse fare vivo) che bramavo da tempo e di cui avevo studiato con cura i riferimenti tecnici, un vero e proprio top di gamma, si rivelò un totale bidone dal punto di vista del suono, con altoparlanti di pessima qualità che dopo pochi giorni vibravano a manetta, riempiendomi la casa di un frinire di grilli. L’appunto citato customer care, mi trattò a calci in faccia, ignorando completamente il mio problema, non ci perse tempo, ma perse certo tutti i miei successivi acquisti e anche quelli dei miei amici a cui facevo vedere l’oggetto. Almeno questa soddisfazione, sono molto vendicativo in questi casi! La centralina della mia macchina, 15 giorni dopo la scadenza della garanzia cominciò a battere i coperchi, probabilmente bastava un’occhiata per una piccola saldatura o connessione da rimettere a posto. Niente da fare bisognava sostituirla con una nuova a 2300 Euro oppure, bontà loro, con una “ricondizionata” a 1800, in pratica una come la mia, rimessa a posto in pochi minuti. Ho detto che piuttosto la spaccavo col mazzuolo, la scheda maledetta, ma intanto non ho sentito la radio per due anni. La stampante di gran qualità mi ha abbandonato anche qui pochi giorni dopo il dovuto. Forse una cartuccia non funziona bene. Bisogna gettare via tutto. La cosa è ancora in discussione. Ecco perché adesso, quando compro un aggeggio, lo pago sempre più caro, ma pretendo che mi venga istallato e che sia funzionante prima di pagare, se no potete star certi che appena a casa, tolto dal’imballaggio colorato, liberato dagli orpelli del marketing, sicuramente mancherà qualche cosa, una presa, un filo, una connessione, un optional che nel mio caso era assolutamente necessario e imprevedibile, una situazione personale di diversità che io, colpevolmente, non avevo fatto presente al povero venditore, in generale un ragazzotto assunto di settimana in settimana che non sapendo se il successivo lunedì venderà i navigatori o i forni a microonde, ti fa sempre segno di sì con la testa come i cagnolini che si mettevano sulla cappelliera posteriore delle macchine degli anni 60. Eppure continuo a cascarci, quando non è possibile diversamente. Così appena arrivato qua sulle nevi, ho tentato l’installazione del nuovo ed obbligatorio decoder. Naturalmente, dopo gli opportuni collegamenti, lo schermo è rimasto desolantemente muto, tra le ire dei famigliari imbufaliti. Per mia fortuna, la portinaia, subito chiamata in aiuto, dopo aver armeggiato pochi secondi, ha sentenziato che in questi casi è un problema di SCART e dopo aver rigirato il cavo ed aver bene infilato la presa, la luce e la pace è tornata in famiglia che non sospettava che io lo stessi facendo per il loro bene. Mi sono allora ritirato nel mio spazio mentale, per dedicarmi a voi, miei stimati lettori, inserendo la ricaricatissima chiavetta TIM nel suo apposito foro, che l’ attendeva come un’amante da saziare. Ovviamente alla richiesta dell’ennesimo PIN, l’operazione si è rifiutata di dare esito positivo e le mie lodi al Dio dei computer sono salite alte e colorite, lasciandomi poi spossato ad un sonno senza riposo, popolato di incubi, dopo che inutilmente avevo tentato di colloquiare con una voce umana al 119, cercando senza esito di scavalcare i prema 1, prema 3, prema cancelletto. Stamane, conoscendo anche la vostra ansia nel vedere la mia pagina muta, la mia prima cura, dopo le augurali abluzioni di rito, è stata di correre al più vicino centro TIM, (aperto anche alla domenica, dato che mi trovo tra le piste di sci!) e una gentilissima signorina mi ha consolato dicendomi che avrebbe parlato lei direttamente con l’irraggiungibile operatore umano, con l’avatar risolutore. Seguendo le istruzioni, mi ha fatto infilare la chiavetta (in pubblico, che vergogna!) e ohibò, tutto funzionava benissimo, naturalmente. La gentile addetta, probabilmente usa a queste scene, non ha neppure mostrato sorrisetti ironici mentre me ne andavo con la coda tra le gambe ed è passata ad accudire il disgraziato successivo. Bene, a casa la chiavetta funziona, ma al contrario che all’interno del negozio, il collegamento è debolissimo, per cui dovrò soffrire assai per postare qualcosa nei prossimi giorni. Non vogliatemene ma come diceva la mia zia Blanche di Parigi ogni volta che rompeva un piatto, j’ai les deux mains gauches pour faire les vaseilles, frase che rappresenta esattamente il mio rapporto di amore/odio con la tecnologia.