Visualizzazione post con etichetta Paleontologia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Paleontologia. Mostra tutti i post

mercoledì 15 novembre 2017

La fauna del mare interno Cretacico

Le  rocce sedimentarie  dimostrano che il Canale accoglieva un mare caldo e tropicale, infatti sono state rinvenute anche diverse   alghe calcaree.
La fauna marina, che visse durante il Cretaceo, nel canale interno occidentale. 
Carta geologica del Cretaceo realizzata da Ron Blakey.
Durante il Cretaceo, il canale interno occidentale divideva l'America settentrionale in due grandi porzioni di isole continentali. Il mare di Niobrara era caldo e poco profondo, circa 800 metri, copriva 1,7 milioni di chilometri quadrati di pianura costiera, compresa l'attuale  provincia di Alberta, circa 74 milioni di anni fa. Il mare interno occidentale ospitava rettili marini come i predatori all'apice mosasauridi, che potevano raggiungere anche i 17 metri di lunghezza, i plesiosauri, pesci ossei come lo Xiphactinus lungo 5 metri, squali e invertebrati come i molluschi cefalopodi, ammoniti e belemniti. Nel cielo volavano uccelli come l'Hesperornis e l'Ichthyornis, e grandi pterosauri come il Nyctosaurus e lo Pteranodon. Tuttavia, questo canale interno scomparve circa 72 milioni di anni fa, in quanto si innalzò il fondale sabbioso a causa delle spinte delle placche tettoniche, lasciando uno spesso strato di depositi marini noti come la Formazione di Bearpaw. Riferimento: Royal Tyrrell Museum.

venerdì 21 luglio 2017

Analisi funzionale e biomeccanica della locomozione bipede del Tyrannosaurus rex



Sellers et al., (2017) hanno descritto su PeerJ due studi sulla biomeccanica locomotoria del T. rex. Il Tyrannosaurus rex è stato uno dei più grandi predatori terrestri bipedi che sia mai esistito, e in quanto tale, rappresenta un modello biologico utile per la comprensione degli adattamenti morfofunzionali e dei vincoli dovuti alle dimensioni del corpo (Brusatte et al., 2010). La capacità di correre del T. rex e di altri dinosauri di notevoli dimensioni è stata fortemente discussa in letteratura (Bakker, 1986; Hutchinson & Garcia, 2002; Paul, 1998; Paul, 2008; Sellers & Manning, 2007) come gli stili di vita e i comportamenti dei grandi dinosauri teropodi (Bakker, 1986; Carbone, Turvey & Bielby, 2011; Farlow, 1994; Holtz Jr; 2008; Paul; 1998; Paul; 2008; Ruxton & Houston, 2003). Tuttavia, nonostante un secolo di ricerca, dal lavoro di Osborn (1916) sull'anatomia degli arti dei tirannosauri, non resta un consenso su una velocità massima più precisa per il T. rex.  Studi anatomici (Bakker, 1986; Paul, 1998; Paul, 2008), tra cui alcuni che impiegano un certo grado di metodi quantitativi biomeccanici (Paul, 1998), hanno proposto una velocità molto più elevata (fino a 20 ms-1) che corrisponde ad un alto livello atletico, nonostante la mole di questi teropodi. Questi studi citano gli arti lunghi e gracili del T. rex come una caratteristica adattabile chiave che indica un solido rapporto (Christiansen, 1998) con queste velocità assolute (Bakker, 1986, Paul, 1998, Paul, 2008) (People & Currie, 2011). Al contrario, alcuni approcci biomeccanici più diretti e quantitativi hanno favorito delle velocità intermedie (Farlow, Smith & Robinson, 1995; Sellers & Manning, 2007) o velocità molto più ridotte per il T. rex, includendo nella loro gamma predittiva un'incapacità di raggiungere la vera corsa (Gatesy, Baker & Hutchinson, 2009; Hutchinson, 2004b; Hutchinson & Garcia, 2002). Gli approcci biomeccanici sottolineano i principi ben noti (Biewener, 1989, Biewener, 1990) come quello classico che, maggiore é il peso minore sarà la velocità, Alexander, 1977; Alexander & Jayes, 1983; Marx, Olsson & Larsson, 2006; Medler, 2002). I modelli biomeccanici incorporano intrinsecamente caratteri anatomici (ad esempio, proporzioni degli arti) su cui si basano valutazioni qualitative più tradizionali, ma richiedono anche definizioni quantitative per i parametri del tessuto molle associati alla distribuzione di massa e alle proprietà muscolari. Questi parametri del tessuto molle non si sono quasi mai conservati nei fossili di dinosauro e quindi devono essere stimati indirettamente. In genere i limiti minimi e massimi posti su tali parametri, sono stati ricavati in base ai dati degli animali vivi (Hutchinson, 2004a, Hutchinson, 2004b, Hutchinson & Garcia, 2002) e/o modelli di computer aggiuntivi (Bates, Benson e Falkingham, 2012; Hutchinson et al., 2005; Sellers et al., 2013). Tuttavia, questi approcci producono campi molto ampi per i parametri del tessuto molle nei dinosauri che si traducono direttamente in valori imprecisi per le stime delle prestazioni, come la velocità di esecuzione (Bates et al., 2010). Così, mentre gli approcci biomeccanici sono più espliciti e diretti dalla loro inclusione di tutti i principali fattori anatomici e fisiologici che determinano la capacità di corsa, la loro utilità all'interno della paleontologia in generale è stata gravemente limitata da elevati livelli di incertezza associati ai tessuti molli. Di conseguenza, le stime per la velocità di marcia del T. rex ricavate dai modelli biomeccanici variano da 5 a 15 m/s (Gatesy, Baker & Hutchinson, 2009, Hutchinson, 2004b, Hutchinson & Garcia, 2002, Sellers & Manning, 2007). Una soluzione sarebbe quella di trovare le informazioni in una morfologia scheletrica conservata che potrebbe essere usata per ridurre la dipendenza predittiva dei modelli biomeccanici sui tessuti molli. È stato recentemente suggerito che il carico osseo possa essere utilizzato per migliorare la ricostruzione degli apparati locomotori dei vertebrati fossili escludendo gli attacchi che portano a carichi scheletrici eccessivamente elevati (Sellers et al., 2009). È molto probabile che in molti casi gli scheletri dei vertebrati si siano ottimizzati per le prestazioni locomotorie in modo tale che le sollecitazioni  di picco potessero raggiungere il 25-50% della loro limite, indicando un fattore di sicurezza tra due e quattro (Biewener, 1990). Esistono rare eccezioni  in cui le ossa lunghe sono notevolmente più forti di quelle richieste (Brassey et al., 2013a), ma in generale questo compromesso tra massa corporea e capacità portante sembra essere un adattamento anatomico diffuso che si riscontra negli invertebrati e nei vertebrati (Parle, Larmon & Taylor, 2016). Le nostre precedenti simulazioni di locomozione bipede dei teropodi (Sellers & Manning, 2007), non considerano direttamente il carico scheletrico, ma calcolano le forze di reazione congiunte che possono essere utilizzate direttamente per stimare il carico osseo utilizzando la metodologia meccanica (Brassey et Al., 2013c). Tuttavia, lo studio conclude e dimostra che, includere molteplici modalità fisiche migliora le  ricostruzioni della biologia locomotoria degli organismi antichi e suggerisce una migliore comprensione dei vincoli meccanici connessi alle grandi dimensioni del corpo. Quindi, questo lavoro pubblicato su PeerJ, per poter essere convalidato appieno, dovrebbe essere confrontato con altri studi sperimentali effettuati sulle specie bipedi esistenti.

mercoledì 7 giugno 2017

Il Tyrannosaurus rex non era completamente piumato

Un Tyrannosaurus rex (senza piume) insegue un Triceratops horridus, Illustrazione di Vlad Konstantinov.
Questo é un argomento ormai dibattuto dagli anni 90 - come la causa dell'estinzione dei dinosauri non aviani - da quando i paleontologi scoprirono diversi reperti fossilizzati di teropodi piumati nelle formazioni geologiche mesozoiche note soprattutto ai geologi. Evito di raccontare tutta la letteratura in merito perché altrimenti mi dilungherei troppo rischiando di diventare noioso, veniamo al dunque. La notizia di oggi é lo studio pubblicato su Biology Letters, Bell et al., (2017), che analizza alcuni frammenti di pelle fossilizzata di T-rex (HMNS 2006.1743.01), già noti ai paleontologi dagli anni 90. Questi resti confrontati con altri reperti fossili di Tirannosauridi suggeriscono la presenza di squame su gran parte del corpo, anche se, secondo il Paleontologo Andrea Cau, squame e piume si fossilizzato in contesti deposizionali differenti, quindi lui manifesta un certo scetticismo. I tegumenti dell'Albertosaurus, Daspletosaurus, Gorgosaurus, Tarbosaurus e del Tyrannosaurus coprivano complessivamente le parti del collo, dell'addome, dei fianchi e della coda, suggerendo che la maggior parte (se non tutti) dei tirannosauridi fossero squamati e, anche se parzialmente, le piume erano limitate al dorso. I tirannosauridi non presentano quindi le piume filamentose ampiamente distribuite presenti invece nel Dilong e nello Yutyrannus, dove le scaglie non sono note [Xu X et al., (2012) Xu X  et al.,(2004)]. Infatti, all'interno dei Coelurosauria le piume coprivano virtualmente l'intero corpo [Currie PJ et al., (2001), JS et al., (2007)]. D'altra parte, le strutture filamentose sono state scoperte solo in alcuni neorniti [Godefroit P et al., (2014)], anche se é stata effettuata una revisione su queste strutture filamentose con piume di teropode [Barret PM et al., (2015)]. Infine, la presenza di scaglie epidermiche in un grande individuo adulto non esclude la possibilità che i teropodi più giovani fossero dotati di piume, una fase dello sviluppo che, dai dati che abbiamo, sarebbe in ogni caso senza precedenti. Il Dr. Thomas Holtz, uno dei maggiori esperti di tirannosauridi a livello mondiale, da una breve lezione sulla nuova notizia, sperando che sia chiaro a tutti: Il fatto che vi siano le squame, non esclude l'esistenza di piume, e viceversa.

venerdì 12 maggio 2017

L'ultimo viaggio dell'ammonite

Siamo a Solnhofen, 150 milioni di anni fa, (Titoniano). In una laguna poco profonda e semi-tropicale un guscio di Ammonite ormai deceduto viene trasportato dalla corrente per 8,5 metri. Sono state rinvenute tracce fossili di altri ammoniti nel calcare di Solnhofen ma mai nessuna é stata così lunga. Il gruppo di ricerca ha utilizzato una tecnica di modellazione 3D per digitalizzare l'intero percorso, infine, i paleontologi hanno assemblato ben 600 fotogrammi per realizzare il filmato intero. Lo studio, Lomax et al., (2017), ha evidenziato che l'ammonite deceduto potrebbe aver galleggiato  per un determinato periodo di tempo nella colonna d'acqua, prima che avvenisse la dissipazione dei gas che gli consentivano di galleggiare. Durante l'affondamento, raggiunse il fondale della laguna e venne trasportato dalle correnti. Questo significa anche che l'ambiente marino era molto calmo, con una corrente costante, tipico di una laguna con acque poco profonde. Se la corrente fosse stata più forte, l'ammonite avrebbe probabilmente rimbalzato. 
Traccia di Ammonte fossilizzata su calcare esposta presso un Museo. Foto di Àlex Ossó.

Traccia di Ammonte fossilizzata su calcare esposta presso un Museo. Foto di Àlex Ossó

Scoperto in Perù l'antenato più antico delle balene, il Mystacodon selenesis

Scavo dello scheletro fossile del Mystacodon selenesis scoperto a Media Luna, nel deserto costiero del Perù (foto G. Bianucci).
  Lambert et al., (2017)
Illustrazione artistica di Alberto Gennari
In un’area desertica del Perù, dove ora c'é Media Luna, un piccola communità che si trova a 12 minuti dalla città di Urubamba, sono stati rinvenuti alcuni reperti fossili di un misticeto risalente a 36 Ma. che possedeva ancora - in dimensioni ridotte - gli arti inferiori e i denti. La scoperta molto importante sotto il profilo evolutivo di questo sottordine di cetacei, é stata effettuata da un gruppo Internazionale di paleontologi e di geologi delle Università di Pisa, di Camerino, dei Musei di Storia naturale di Parigi, Bruxelles e Lima, ed è stata pubblicata sulla rivista Current Biology, O. Lambert et al., (2017). Il ritrovamento di questo fossile é avvenuto in una zona ormai nota ai geologi, conosciuta come il Bacino di Pisco, in cui sono stati scoperti diversi reperti di antichi rettili marini, squali e uccelli. L'area nel tardo Eocene, era ricoperta dal mare, in seguito, a causa delle spinte tettoniche ha subito un sollevamento rendendo possibili le varie scoperte. Giovanni Bianucci, paleontologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, che ha partecipato allo scavo e allo studio del fossile spiega in un intervista rilasciata alla National Geographic: “Era una balena molto diversa da quelle che nuotano nei nostri mari, in quanto conservava caratteri primitivi, come la presenza delle zampe posteriori, seppur estremamente ridotte, e denti robusti. In più era più piccolo delle balene di oggi: meno di quattro metri di lunghezza, contro gli oltre 30 raggiunti dalla balenottera azzurra. Le scoperte precedenti, in particolare quelle relative ai basilosauri, gli ultimi archeoceti, avevano ben documentato i passaggi dalla terra ferma al completo adattamento all’ambiente acquatico. Ma era ancora poco chiaro come fosse avvenuto il passaggio dai basilosauri ai due gruppi ancora viventi, gli odontoceti e i misticeti. È interessante notare come questo misticeto fosse dotato, come i basilosauri, di zampe anteriori, caratteristica che non si ritrova invece più nei misticeti viventi”. Claudio Di Celma, geologo della Scuola di Scienze e Tecnologie dell’Università di Camerino che ha curato lo studio stratigrafico dell’area di ritrovamento del fossile, spiega, in un intervista rilasciata alla National Geographic: “Lo studio ci ha permesso di datare il reperto in modo preciso. Abbiamo raccolto numerosi campioni di roccia nei diversi strati affioranti, compreso quello che conteneva lo scheletro della balena; i microfossili trovati all’interno dei campioni hanno permesso al collega Etienne Steurbaut di datare a 36 milioni di anni fa i resti del cetaceo”.

sabato 31 ottobre 2015

Rinvenuti i resti di un nuovo grande dromeosauride nella formazione di Hell Creek

Le papille ulnari presenti nell'arto del dromeosauride.
Ricostruzione del dromeosauride Dakotaraptor eseguita da Emily Willoughby.
La maggior parte dei dromeosauridi erano di ridotte e medie dimensioni, capaci di correre, di arrampicarsi sugli alberi e in determinati casi catturavano la preda dall'alto come gli uccelli. Solo alcuni crebbero fino a  raggiungere delle proporzioni gigantesche come lo Utahraptor e l'Achillobator. Nel Nord America, prima di questa scoperta erano stati identificati solo due generi di "rapaci" giganti. In questo studio i ricercatori descrivono un nuovo dromeosauride denominato Dakotaraptor steini, proveniente dalla Formazione di Hell Creek del Sud Dakota. La scoperta rappresenta il primo dromeosauride di grandi dimensioni originario della Formazione geologica di Hell Creek. Il ritrovamento di una fila di papille ulnari rappresenta la prima prova evidente dell'esistenza di piume sull'avambraccio nei dromeosauridi, ciò determina una maggiore comprensione sulle ricostruzioni evolutive e sulla morfologia funzionale delle caratteristiche del volo. La presenza di questo nuovo predatore rende più chiaro come fosse ampio il numero di teropodi presenti sul Continente Laramidia nel Cretacico superiore, questo modifica radicalmente le ricostruzioni paleoecologiche della Formazione di Hell Creek. Bibliografia: The first giant raptor (Theropoda: Dromaeosauridae). from the Hell Creek Formation.  

giovedì 23 luglio 2015

Scoperto un fossile di serpente con quattro arti vissuto nel Cretacico inferiore

Ricostruzione artistica del Tetrapodophis realizzata da Julius Cstonyi.


 


Immagini del fossile prelevata dal National Geographic

Attualmente i serpenti sono un gruppo estremamente eterogeneo e di successo, ma le loro origini evolutive sono oscure.

venerdì 26 giugno 2015

Ricostruito nei dettagli l'enigmatico invertebrato marino del Cambriano Hallucigenia

Fossile dell'Hallucigenia sparsa proveniente dall'argillite di Burgess esposto presso il Smithsonian Institute (foto principale, lunghezza 15 mm). Nel riquadro un campione esposto al Royal Ontario Museum. Riferimento bibliografico: Caron et al., (2013) Royal Society.
L'immagine mostra l'odierna ricostruzione in cui finalmente è possibile distinguere chiaramente la posizione della testa e degli occhi.
I fossili di un antica specie di invertebrato del Cambriano chiamato 'Hallucigenia', erano talmente bizzarri che gli scienziati originariamente lo hanno ricostruito a testa in giù invertendo la parte posteriore con quella anteriore. Ora lo scienziato Martin Smith dell'Università di Cambridge insieme al collega Jean-Bernard Caron dell'Università di Toronto, rivelano su Nature, Martin R. Smith et al., (2015), un quadro più completo di questo singolare verme marino che visse 508 milioni di anni fa (maf), dove ora c'è l'argillite di Burgess sulle Montagne Rocciose del Canada nel Parco Nazionale di Yoho. Lo studio ha permesso agli scienziati di collocarlo con una determinata precisione nell'albero evolutivo degli invertebrati appartenenti al gruppo dei ecdisozoi.

martedì 5 maggio 2015

L'antenato più antico degli uccelli moderni visse in Cina 130 milioni di anni fa

Questa illustrazione di Zongda Zhang mostra l' Archaeornithura meemannae nel suo habitat naturale.
La Cina si conferma il Paese con il più elevato numero di fossili di dinosauri piumati e dinosauri aviani basali.

giovedì 30 aprile 2015

Dinosauro del Giurassico compiva brevi voli con una membrana alare

Illustrazione di Dinostar che mostra un probabile volo del teropode Yi Qi.
Nello studio pubblicato su Nature è possibile consultare la prima pagina in PDF in cui vengono mostrati tre differenti specie di scansoriopterigi.
 
Questo è il fossile dello Scansoriopterygidae conservato in una roccia, esposto presso il Shandong Tianyu Museum of Nature. 
La Cina si conferma la patria dei dinosauri piumati e degli uccelli basali come l'ormai noto dinosauro aviano Aurornis, proveniente anch'egli dal Giurassico. Un gruppo di paleontologi cinesi ha scoperto  nella Tiaojishan Formation, a Hebei nel Nord Est della Cina, un piccolo dinosauro piumato che, probabilmente, possedeva membrane alari da pipistrello e che sarebbe stato in grado di planare o di volare per brevi distanze. I resti fossili di questo animale sono stati rinvenuti nella Cina orientale e descritti il 29 Aprile 2015 su Nature, Xu, X. et al.,( 2015).

venerdì 13 giugno 2014

Megamastax amblyodus, il più grande vertebrato marino del Devoniano

Questa ricostruzione di una fase predatoria ritrae un Megamastax amblyodus che cattura un pesce del Devoniano, il Dunyu longiforus. Paleo illustrazione di Brian Choo.
   
Il predatore dei mari soprannominato Megamastax amblyodus, che significa "grande bocca con i  denti smussati," si aggirava negli oceani circa 423 milioni anni fa, e utilizzava i suoi denti piatti per schiacciare i gusci.

giovedì 12 giugno 2014

Un nuovo fossile mostra l'origine delle mascelle nei primi vertebrati

 
In seguito alla scoperta di alcuni esemplari di pesci fossili risalenti al periodo Cambriano (circa 505 maf) nelle Montagne Rocciose Canadesi, è stato risolto un enigma che da diverso tempo appassionava i Paleontologi di tutto il mondo, l'articolo è stato pubblicato sul sito dell'Università di Cambridge "New fossil find pinpoints the origin of jaws in vertebrates".

sabato 17 maggio 2014

Scoperti in Patagonia i reperti fossili del dinosauro erbivoro più grande che sia mai vissuto sulla Terra

Un gruppo di paleontologi del Museo di Paleontologia Egidio Feruglio ha trovato i resti fossili di una nuova specie di dinosauro risalenti a 95.000 mila anni fa; il più grande conosciuto fino ad oggi, tuttavia, restiamo in attesa della pubblicazione scientifica per una conferma definitiva.

giovedì 24 aprile 2014

Un megalodonte attacca un platibelodonte

Questa illustrazione scientifica di Julius Csotonyi apparsa di recente sulla rivista Wired, mostra un tipo di comportamento inusuale del Carcharocles Megalodon ( Ehret et al., 2012 ), causato dallo stress indotto dal riscaldamento dei mari, che occasionalmente, lo spingeva a cacciare dei mammiferi adulti in acque poco profonde dove abitualmente le femmine vi si recavano per la riproduzione.
Questo squalo apparso nel Miocene medio 15.9 ed estintosi 2.6 milioni di anni fa, scomparve probabilmente a causa del raffreddamento della temperatura dei mari, la sua lunghezza poteva raggiungere i 19/20 metri (Pimiento C, Clements CF (2014), ed è considerato il predatore più temuto e più grande mai esistito nella storia dei vertebrati.

lunedì 21 aprile 2014

Cinto pelvico di un Futalognkosaurus

Veduta anteriore del cinto pelvico e dell'ultima vertebra dorsale di un Futalognkosaurus. Questo sauropode apparteneva al genere dei dinosauri Titani e visse circa 87 milioni di anni fa in Argentina.

sabato 11 gennaio 2014

Argentinosaurus al Museo Municipal Carmen Funes

Ho prelevato questa foto dal profilo facebook di 'Museo Movil', il cui direttore Maximilian Schoeters, appare a fianco del modello dell'Argentinosaurus huinculensis presente all'interno del Museo Municipal Carmen Funes situato in Patagonia.

lunedì 24 giugno 2013

Evoluzione dello pterosauro Caulkicephalus trimicrodon

Lo sharovitterige (gen.Sharovipteryx) era un rettile vissuto in Russia nel Triassico, 210 milioni di anni fa. Il suo nome significa "ala di Sharov", in onore al paleontologo Aleksandr Grigorevich Sharov che trovò per primo i fossili di questo piccolo ma bizzarro animale. Lungo poco più di una mano, questo rettile fin dal suo ritrovamento ha suscitato scalpore per la sua straordinaria caratteristica: quattro "ali" di cui le posteriori molto grandi, a differenza delle anteriori che erano invece molto piccole. A causa della somiglianza con essi, spesso viene indicato come un antenato degli pterosauri, ma ciò è ancora sotto discussione. Comunque sia, si doveva comportare in maniera molto simile al più noto Microraptor, anch'esso munito di quattro "ali": posandosi sull'estremità di un ramo, aspettava che un insetto passasse per poi inseguirlo planando fino a terra. Una volta terminato il pasto, usava gli artigli delle zampe per scalare un altro albero e ripetere la stessa procedura, fino a quando si fosse saziato. Riferimento: Wikipedia

Evolution of Caulkicephalus trimicrodon di Michael Keesey su Flickr 
Il caulkicefalo (Caulkicephalus trimicrodon) era un rettile volante appartenente agli pterosauri. Visse nel Cretaceo inferiore (circa 120 milioni di anni fa) e i suoi resti sono stati ritrovati in Inghilterra.

martedì 11 giugno 2013

Pliosaurus kevani, il grande rettile marino del Giurassico superiore che popolava l'attuale Canale della Manica

Argilla marina nella Baia di Kimmeridge.

Raffigurazione artistica del Pliosaurus Kevani. 
Il Dr. Richard Forrest che assembla le mandibole del rettile marino.
Evoluzione della crescita del Pliosauro avvenuta dal Giurassico inferiore fino al Cretaceo superiore
Ipotetica ricostruzione della dentatura della parte destra.
Le mandibole del Pliosaurus Kevani fotografate insieme al pensionato Kevan Sheehan che le recuperate dopo cinque anni di scavi.

La freccia indica il luogo in cui è stato trovato il cranio fossile. 
I pliosauridi erano rappresentati da un gruppo di predatori longevo e cosmopolita che visse dal Giurassico medio fino all'inizio del Cretaceo superiore, (110 milioni di anni fa) nella superficie degli ecosistemi marini.

giovedì 30 maggio 2013

Aurornis xui, é l'uccello più antico?

Il campione di Aurornis fossilizzato che giaceva nel Museo cinese. Foto di Thierry Hubin/IRSNB  
Immagine prelevata da Nature 'New contender for first bird', realizzata da Masato Hattori.
Secondo alcuni ricercatori, un fossile del giurassico rimasto negli archivi del museo cinese potrebbe essere il primo uccello conosciuto.

venerdì 19 aprile 2013

Argentavis magnificens, il rapace delle Ande con un apertura alare di sette metri

Circa 6 milioni di anni fa, dove oggi c'é l'Argentina, tra la Cordigliera delle Ande e la pampa volava un enorme uccello. Per capirne meglio le caratteristiche morfologiche, immaginatelo con il corpo di un condor che pesa quanto una persona, ed un'apertura alare quasi come quella di un piccolo aereo. Immaginate inoltre, questo uccello con un cranio lungo 55 cm e il becco grande come quello di una aquila gigante capace di inghiottire un coniglio intero. Questo animale era l'Argentavis magnificens, il teratorn gigante. Oltre al fascino generale che attribuiamo a tutti i grandi carnivori, ormai estinti, i paleontologi hanno descritto nel 2007 (Chatterjee et al) i fossili di questo uccello ponendosi una serie di domande: Come riuscì a volare? Volava come un'oca o come i suoi parenti, i condor? I ricercatori, utilizzando determinati modelli di software, hanno descritto questi dettagli sui Proceedings of National Academy of Sciences in un articolo dal titolo "Ancient Argentavis soars again". Grazie a questo lavoro, ora abbiamo un quadro più chiaro delle capacità di volo di questa creatura estinta.