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sabato 15 ottobre 2016

Il mio amico Tonino Valerii

di Ernesto Gastaldi



Quando superi gli 80 cammini con la testa all'indietro, per guardare gli amici che se ne sono andati o quelli che stanno per andarsene. Tonino Valerii, il mio più caro amico che ho avuto nel mondo del cinema è uno di questi. L’ho conosciuto nell’ottobre del 1955 al Centro Sperimentale di Cinematografia, eravamo entrambi stati ammessi al primo corso di regia e sceneggiatura. Era pallido, magro, con occhi celesti, appassionato ai grandi autori cinematografici da Dreyer a Lubitsch e agli allora contemporanei
Bergman, Visconti, Rossellini, DeSica e ai crescenti Fellini e Antonioni con il loro carico d’arte e di psicoanalisi, ma destinato invece a diventare uno dei più grandi registi del western italiano.
Dal 1955 al 1957 io e Tonino e gli altri nostri compagni vivemmo due anni pieni di eccitazione e di speranze sotto la guida in un grande come Alessandro Blasetti e di un bravo autore come Giorgio Prosperi, ma anche con una borsa di studio e un pasto gratuito in mensa.


Finita la scuola, gettati per strada, dovemmo cercare ognuno la nostra via. Per me furono anni di fame, per Tonino no, il padre gli pagava una pensione pasti inclusi e così la domenica mi invitava per un vero pasto completo, con la padrona di casa, la sora Giggia, che mi si metteva dietro la mia sedia a mani giunte, esclamando incredula “ma quanto magni fijo bello”: mangiavo per tutta la settimana a venire.
Poi io e Tonino cominciammo a ingranare: qualche soggetto venduto, le prime sceneggiature per filmetti commerciali modesti, lavori condivisi, sceneggiature scritte in una notte in un continuo zampillare di battute esilaranti e canzoncine di accompagno mentre le nostri giovani mogli (eh sì, c’eravamo sposati entrambi) ci portavano dozzine di caffè.


Poi io diressi il mio primo film, Libido, e lui seguì col suo primo western, Per il gusto di uccidere. Ormai la nostra strada era professionalmente segnata: io avrei scritto dozzine di thriller e lui diretto capolavori western.
Io affittai un attico in via Nemorense 39 da Ettore Scola e Tonino venne ad abitare al 31, io comprai un bicamere al Circeo in un villino e lui comprò l’appartamento accanto.
Un'amicizia che diventò simbiosi di due famiglie e che, come frutti eccellenti, partorì I giorni dell'Ira, Una ragione per vivere e una per morire, Il prezzo del potere e Il mio nome è Nessuno.


Tonino era un abruzzese buongustaio e io un piemontese amante del buon vino, entrambi montanari, però lui era anche un grande cuoco e spesso nelle estati circeiane scendeva nel giardino con un pacco di spaghetti sotto il braccio per farci dei sughi clamorosi.
In età già avanzata, costretto a una dieta per il diabete, mi raccontava di sognare spesso di alzarsi dal letto coniugale per infilarsi in una garçonnière... per cucinarsi un colossale piatto di spaghetti all'amatriciana!
Gli regalai una targa Er mejo cuoco der monno è il reggista Valer seconno. Valer Secondo perché teneva molto alle due i del suo cognome VALERII.


Tonino non amava che andassi sul set mentre girava, forse una forma di timidezza perché lo chiamavano maestro, del resto in quel periodo d'oro per il nostro cinema commerciale io non avevo molto tempo per andare sui set dei film che scrivevo al ritmo di mezza dozzina all'anno.
Nella vita il caso gioca una parte importante e anche nelle carriere dei registi si diverte a fare la sua parte: I giorni dell'Ira nacque come un piccolo film, coproduzione con la Germania, produzione degli indimenticabili fratelli Sansone: era la storia di un ragazzino che si metteva a servizio di uno spietato pistolero e alla fine uccideva il suo maestro obbedendo alle regole che gli aveva insegnato.
Si partiva da un soggettino scritto da un amico biellese, Renzo Genta, e la sceneggiatura scritta a quattro mani con Tonino divenne una storia appassionante che interessò l'allora grande divo Giuliano Gemma che ragazzino non era più, ma si adattò a ritornarlo e lo spietato pistolero ci arrivò da Sergio Leone con il volto meraviglioso di Lee Van Cleef.


Con questo cast non era più un filmetto ma un filmone ma il regista rimase il quasi esordiente Tonino. E fu subito gloria di incassi e di vendite in ogni Paese del mondo. Il destino western di Tonino era segnato e quando Sergio Leone per Il mio Nome è Nessuno licenziò il regista Michele Lupo per una incomprensione sulla sceneggiatura, io feci a Sergio il nome di Tonino che gli aveva fatto da aiuto nel film Per qualche dollaro in più. “Cotto e mangiato” come usava dire all'epoca e il grande Tonino si trovò dirigere Henry Fonda nelle pianure americane. Un impegno tremendo, sapendo che a Roma Sergio Leone guardava i giornalieri, ossia le scene che Tonino stava girando negli States. Henry Fonda si rese conto del carico che gravava sulle spalle di Tonino che aveva qualche problema a dirgli di ripetere una scena non riuscita bene, lo prese in disparte e gli disse che doveva trattarlo come l'ultima delle comparse e liberarsi dal timore reverenziale, sia nei suoi confronti che in quelli di Sergio. Grande Henry!
Io seguivo l'andamento delle riprese dal mare, mi ero comprato un barca a vela e ricevevo spesso radiotelefonate da Sergio su dettagli del copione via via che Tonino girava le scene.


Il film stava crescendo e si capiva che era un capolavoro nel suo genere. Riuscì tanto bene che in una conversazione telefonica di Leone con Spielberg questi gli disse che il suo più bel film era... Il mio nome è nessuno! Da quel momento Sergio cominciò a lasciare intendere che effettivamente ci aveva messo lo zampino: questo fece soffrire moltissimo l'amico Tonino che aveva permesso a Sergio di girare un paio di scene in Spagna perché il film era in ritardo, si trattava di due scenette minori e neppure delle meglio riuscite.
Ormai Tonino Valerii non aveva messo solo Beauregard nei libri di Storia ma anche il proprio nome in quella del cinema mondiale.
Scherzando, spesso ci dicevamo che non esistono storie a lieto fine perché se si continuano si scoprirà che il Principe Azzurro muore di cancro alla prostata e la Bella Principessa di Alzheimer quindi il trucco sta nello smettere di raccontare al momento giusto. Purtroppo nella vita non si può fermare il tempo e tutto arriva alla fine.


Così il 13 0ttobre 2016 è morto il mio più grande amico nel mondo del cinema, il grande regista TONINO VALERII. Lui era nato a maggio del 1934, io a settembre. I funerali si terranno il giorno 15 nella cappella della Sacra Famiglia in largo Respighi Ottorino 6, zona Camilluccia (evitate l’omonimia con Ciampino...).
Abbiamo condiviso un lungo tratto di vita, dai venti agli 80 anni e abbiamo lavorato insieme a molti film, ma per quel che più conta è stata la salda calda amicizia. Quando finiva di girare un film e cercava il prossimo ero solito a incitarlo ridendo: Corri,Tonino, corri!, ora mi è corso avanti, presto conto di raggiungerlo.



Ernesto Gastaldi


Il mio cinema, due volte a settimana lo trovi su Futuro Europa:

mercoledì 2 ottobre 2013

Giuliano Gemma, l’eroe della mia generazione




Giuliano Gemma (1938 - 2013) rappresenta buona parte della mia infanzia. La prima volta che l’ho visto al cinema - in una saletta di terza visione nel quartiere operaio della mia città - vestiva i pani di Ringo e si faceva chiamare Montgomery Wood. Credevo che fosse americano, pure mio padre lo pensava, lui che disprezzava il western italiano, ma era andato in delirio per tutte le pellicole di Sergio Leone, convinto che fossero interpretate da attori d’oltreoceano. Magia degli pseudonimi, ma pure magia del ricordo d’un bambino che stringeva un pacchetto di semi, varcava le porte del Cinema Teatro Sempione (scomparso nella nebbia del tempo perduto) per andare a vedere un peplum, al tempo che manco sapeva cosa volesse dire peplum, come Arrivano i Titani. Da grande quel bambino avrebbe scoperto che sia i due Ringo (Una pistola per Ringo, Il  ritorno di Ringo) che il peplum erano opera di Duccio Tessari, un regista italiano che avrebbe usato spesso Giuliano Gemma (Kiss kiss… bang bang, Vivi o preferibilmente morti, Tex e il signore degli abissi), considerandolo un suo attore feticcio. 


Abbiamo trovato un ricordo di Giuliano Gemma che fa riferimento a quel periodo storico: “Il primo film che ho fatto con Tessari è Arrivano i Titani, un lavoro che smitizza il peplum dove recito con il mio vero nome. Il primo western che ho interpretato è Una pistola per Ringo (1965), film in cui nasce il mio pseudonimo, Montgomery Wood. Si trattava di una condicio sine qua non per fare il film, imposta dalla produzione che voleva venderlo come nordamericano. Era una moda. Mi obbligarono e lo pseudonimo lo scelse il produttore. 

A me andava bene tutto. Sono riuscito a usare il mio vero nome solo a partire dal terzo western come protagonista. Ho fatto due western della serie Ringo, entrambi con Tessari, tutti e due buoni lavori, ma fondamentalmente diversi l’uno dall’altro. Una pistola per Ringo è un film ironico, nelle corde di Tessari, girato con il suo inconfondibile stile. Il ritorno di Ringo è un film drammatico, ispirato all’Odissea. Il primo è più divertente, il secondo più serio. Sono due film coprodotti con gli spagnoli, girati nella penisola iberica, interpretati da Fernando Sancho, persona simpatica e grande mangiatore, che poi ho ritrovato in Arizona Colt (Michele Lupo, 1966, nda). 


Nel cast ricordo anche George Martin, un ginnasta spagnolo molto atletico con cui spesso mi allenavo. E che dire di Pajarito? Un personaggio inventato da Tessari, uno spagnolo che parlava in modo buffo e si occupava di produzione. Tessari lo utilizzò come attore dandogli il soprannome che aveva nella realtà. Una pistola per Ringo è un film ironico che anticipa il western comico di Barboni, alternativo al cinema di Leone, ma non meno violento, nonostante l’ironia. Nella mia carriera non ho mai interpretato personaggi cliché, né stereotipi. Pure nei due film della serie Ringo differenzio i personaggi. Nel primo sono un pistolero ironico e strafottente. 


Nel secondo sono un eroe cupo e represso che torna a casa dopo una lunga guerra, una sorta di Ulisse - Ringo. Vivi o preferibilmente morti è un altro western diretto da Tessari, sceneggiato niente meno che da Ennio Flaiano, nato dalla mia amicizia con Nino Benvenuti sin dai tempi del militare. Si sperava che andasse meglio, che la coppia Gemma - Benvenuti portasse più gente al cinema, che il debutto di Sidney Rome incuriosisse il pubblico. L’incasso non fu male, comunque, ma la critica distrusse il film. Ma il vero insuccesso tra i lavori di Tessari da me interpretati fu Tex e il signore degli abissi (1985), una pellicola che non era western all’italiana e che non funzionò per niente. Credo che sia il peggior western di Tessari, nonostante ci fosse William Berger, un ottimo attore. 

La storia era sbagliata, servivano troppi soldi per realizzarla, ma noi disponevamo di un budget irrisorio. La produzione non aveva la possibilità di costruire un accampamento indiano di venti tende (ce n’erano soltanto tre) e neppure di affittare cinquanta cavalli (erano dieci). La storia di Tex venne scelta male perché troppo complessa e costosa da realizzare al cinema. Conoscevo bene i fumetti di Tex, un eroe della mia infanzia, ed ero orgoglioso di prestare il volto al ranger mezzo sangue. Ma avremmo dovuto sceneggiare una storia low-budget, stile spaghetti-western, non un soggetto ambizioso che finì per restare irrisolto. Persino Gianni Ferrio compose una musica anonima, in piena sintonia con il film. L’insuccesso fu così clamoroso che bloccò l’idea di girare una serie di ventuno film televisivi con protagonista Tex. Una pistola per Ringo resta il mio film preferito, comunque. Forse perché il primo western non si scorda mai…”. 


Abbiamo fatto ricordare al protagonista parte della sua carriera western, che è proseguita con Tonino Valerii e Giorgio Ferroni, ma Giuliano Gemma non è stato soltanto l’eroe buono, il castigamatti, il pistolero della mia generazione. Ha interpretato un intenso ruolo da protagonista ne Il deserto dei Tartari (1976) di Valerio Zurlini e Il prefetto di ferro (1977) di Pasquale Squitieri. E che dire dei ruoli comici ne Anche gli angeli mangiano fagioli (1973) di Barboni e Il bianco, il giallo, il nero (1974) di Sergio Corbucci? Impossibile citare tutto il suo grande lavoro nel cinema italiano, ma se vi interessa approfondire consigliamo la lettura di Roberto Poppi, che ha scritto un imperdibile libro sugli attori italiani, edito da Gremese. A noi piace ricordare Giuliano Gemma mentre cavalca nelle improbabili praterie dello spaghetti western, perché - come ha detto lui - il primo western non si scorda mai.

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

mercoledì 31 luglio 2013

Tex e il Signore degli Abissi (1985)

di Duccio Tessari  
 

Regia: Duccio Tessari. Soggetto: Gianluigi Bonelli (numeri 101 - 102 - 103 Tex). Sceneggiatura: Giorgio Bonelli, Gianfranco Clerici, Marcello Coscia, Duccio Tessari. Montaggio: Mirella Mencio, Lidia Bordi. Fotografia: Pietro Morbidelli. Musica: Gianni Ferrio. Costumi: Walter Patriarca. Scenografia: Antonello Geleng, Walter Patriarca. Effetti Speciali: Paolo Ricci. Stunt Director: Nazareno Zamperla. Operatore di Macchina: Franco Proto. Aiuto Regista. Martin Sacristan, Gabriella Carosio. Assistente alla Regia: Giorgio Bonelli. Consulenza Dialoghi: Selma Dell’Olio, Gianni Galassi. Organizzazione: Gioacchino Marano, José M. Rodriguez, Paolo Bistolfi. Produttore Esecutivo: Enzo Porcelli. Delegati di Produzione: Gabriella Carosio, Pino Ferrarini. Produzione: Rai Tv 3, Cinecittà. Distribuzione: Sacis. Durata. 104’. Genere: Western. Interpreti: Giuliano Gemma, William Berger, Carlo Mucari, Isabel Russinova, Flavio Bucci, Peter Berling, Aldo Sambrell, José Luis De Villalonga, Riccardo Petrazzi, Pietro Torrisi. Esterni: Spagna. Interni: Teatri di Posa Cinecittà. 
 

Tex e il signore degli abissi (1985) è un film che Tessari non avrebbe dovuto fare, anche se è un prodotto meno scarso di quanto si voglia far credere. La produzione tenta di rilanciare lo spaghetti-western e al tempo stesso vuol rendere omaggio al popolare eroe dei fumetti ideato da Gianluigi Bonelli. Giuliano Gemma è il protagonista, ma il cinema western è ormai fuori tempo massimo e il pubblico non premia il coraggio del regista.
 
Tex e il signore degli abissi (1985) rappresenta un’occasione perduta ma forse nessuno avrebbe potuto coglierla, perché gli anni non passano invano. Torna Giuliano Gemma, icona del Tessari-movie, nei panni di Tex, coadiuvato da William Berger (Kit Carson), Carlo Mucari (Tiger Jack), Isabel Russinova (Tulac, la principessa indiana), Peter Berling, Flavio Bucci (capo indiano), Gian Luigi Bonelli (il papà del fumetto nei panni di uno stregone indiano), José Luis de Villalonga (il dottor Warton). 
 

Il film è tratto da una delle storie più belle di Tex, dal taglio fantasy avventuroso, uscita nel 1948 sui fascicoli 101, 102 e 103 del fumetto, scritta da Gianluigi Bonelli e illustrata dal grande Aurelio Galleppini. Il film è sceneggiato da Gianfranco Clerici, Marcello Coscia, Duccio Tessari e Giorgio Bonelli. Il problema sta tutto qui: un film non è un fumetto, certi dialoghi e determinate situazioni credibili in una storia disegnata non vanno bene al cinema. Invece gli sceneggiatori prendono il fumetto e lo riversano su pellicola costringendo Tessari a girare dialoghi improbabili e didascalici. Tex Willer, aiutato da Kit Carson e Tiger Jack, indaga su un traffico d’armi al confine tra Stati Uniti e Messico. Il ranger mezzosangue, chiamato dagli indiani Aquila Nera, sgomina una banda di rapinatori e trafficanti, che assale i trasporti d’armi dell’esercito per rivenderle a una bellicosa tribù indiana. Sono gli indiani Yaquis, capeggiati dal malvagio Signore degli Abissi, che progettano una rivolta contro i bianchi. Gli indiani possiedono una pietra fantastica quanto letale che mummifica istantaneamente i corpi. Tex risolve tutto, come da logica fumettistica, ma i colpi di scena non mancano. 
 

La parte soprannaturale che spesso leggiamo nelle avventure di Tex è salva, ma non la suggestione del personaggio che nella trasposizione filmica perde parte del suo fascino. Giuliano Gemma non si cala a dovere nella parte e Tessari non è consapevole del compito storico di portare al cinema un’icona del fumetto italiano. Il film è un esperimento pilota di una serie che muore sul nascere. Nonostante tutto Tex e il Signore degli Abissi non è così brutto come lo dipinge la critica più autorevole. Dialoghi e sceneggiatura sono fumettistici, il montaggio è lento, ma la colonna sonora di Gianni Ferrio è ottima, gli effetti speciali di taglio horror sono  interessanti, le scene acrobatiche ben fatte, la fotografia è perfetta. 
 

Duccio Tessari gira molto bene gli esterni in un altopiano spagnolo che si presta a ricostruire l’Ovest nordamericano e il confine con il Messico. Sono curate le citazioni e non mancano i riferimenti allo spaghetti western: polvere, vento, sporcizia, case malandate, deserto, fichi d’india compongono un’eccellente apparato scenografico. Particolari gore non stonano nel contesto, la ricostruzione dei villaggi western e indiani è ottima, gli inseguimenti sono ben realizzati. La parte in cui entra in scena il Signore degli Abissi sembra isopirata alle scenografie di Bava e Ferroni, ricostruite in studio con un intenso colore rosso fuoco che fa da sfondo. Gli attori sono bravi. Giuliano Gemma è un po’ troppo impostato come Tex Willer, soprattutto quando prende a cazzotti gli avversari. William Berger è un convincente Kit Carson, Carlo Mucari è un discreto Tiger Jack, Aldo Sambrell è nato come cattivo da western, Flavio Bucci è insolito nei panni di un indiano, mentre Isabel Russinova è bellissima come principessa.
 

Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella): “Catastrofica versione cinematografica di una delle più belle avventure di Gian Luigi Bonelli. Giuliano Gemma nei panni di Tex è poco convincente e Tessari inadeguato a rendere lo spirito più genuino del fumetto. Il più famoso e amato eroe italiano del West meritava qualcosa di meglio”. Morando Morandini (una stella e mezzo per la critica, due stelle per il pubblico): “Un fantasy avventuroso migliore nella prima parte, grazie anche alla divertente e pittoresca fraseologia bonelliana. Gli effetti speciali della seconda parte non reggono il confronto con gli americani. Ottimo il Carson di Berger, discreto il Tiger Jack di Mucari, poco convincente il Tex di Gemma”. 
 

Pino Farinotti (due stelle). “La realizzazione è modesta sotto ogni aspetto e Giuliano Gemma si rivela del tutto inadeguato”. Marco Giusti su Stracult rivaluta il film dopo una visione televisiva: “Rivisto oggi è divertente. Funziona anche bene come audience in tv”. Galleppini si rifiutò di disegnarne il manifesto. Il film viene presentato a Venezia come la risposta italiana a Indiana Jones. Stroncato da tutti come un fumetto noioso, povero e pedante, rivisto oggi vale i soldi del dvd e il tempo della visione.

Una sequenza horror: http://www.youtube.com/watch?v=vvtUkjMBtcY

Gordiano Lupi 
www.infol.it/lupi