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TEORIA DEI COLORI

ARTE E TEORIA DEI COLORI

LA PITTURA NELL' UMANESIMO

colori caldi e colori freddi

contrasto cromatico

colore e luce

colori primari

chiaro scuro

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TEORIA DEI COLORI

Sebbene i fenomeni cromatici siano stati indagati fin dall'antichità, la prima compiuta teoria sulla loro origine fu formulata intorno al 1670 da Isaac Newton.
Risale al noto scienziato inglese l'esperimento nel quale le radiazioni che compongono la luce bianca, attraversando un prisma di vetro, danno vita ai colori dello spettro. Newton distinse sette colori fondamentali, rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e violetto. Ma si dovrà attendere il XIX secolo per trovare studi che influiscano direttamente sulle ricerche degli artisti. Nel 1810 Goethe pubblica la sua Teoria dei colori, ricerca di osservazioni sulla percezione dei colori e sui loro valori simbolici ed estetici. Il titolo di un 'opera di Turner esplicita l'influenza delle teorie goetiane: Luce e colore (teoria di Goethe) la mattina dopo il diluvio 1843. Dopo la pubblicazione della Teoria dei Colori di Goethe un forte contributo all'opera degli artisti fu offerto dal chimico francese Chevreul che nel 1883 pubblica Della legge del contrasto simultaneo dei colori, osservazioni sui diversi tipi di armonia basati sul contrasto delle tinte. Egli descrive il contrasto simultaneo per il quale una campitura sembra trasformarsi nel complementare del colore a cui è accostato.
Nello stesso anno nel 1839 viene presentata ufficialmente la fotografia: Daguerre darà un ulteriore impulso alle ricerche e le sperimentazioni pittoriche, in particolare, degli Impressionisti Isaac Newton e Goethe




LA PITTURA NELL' UMANESIMO
L' Uomo al centro dell' Universo : Leonardo

Leonardo da Vinci

La pittura del XV e XVI secolo
Pur aspirando agli ideali dell'epoca classica non ne assume l'austerità cromatica, al contrario testimonia un piacere ricavato dalla ricchezza del colore puro e splendente, che non si sarebbe rinnovato fino al XX secolo quando i pittori fecero del colore il soggetto dell'arte.
Per l'artista del rinascimento privo ormai delle certezze teologiche del Medioevo, non era più sufficiente presentare campi piatti di pigmenti costosi come offerta devota a Dio; la nuova parola d'ordine era "fedeltà alla natura". I pittori si sforzavano di raffigurare il mondo come appare veramente all'occhio. La chimica portava progressi lenti e graduali rispetto alle innovazioni che si svilupparono nelle arti e nelle scienze umane.
Fin dai tempi di Giotto, capostipite della scuola fiorentina, si era verificata una crescente rivalutazione dei nobili principi del classicismo. Giotto capovolse l'ortodossia artistica medioevale: tentò di mostrare oggetti in rilievo con luci e ombre derivanti da una fonte di illuminazione individuabile.
Questo emergere di luci e ombre come caratteristiche del paesaggio dipinto è uno degli aspetti distintivi dell'arte rinascimentale. Le persone e gli oggetti possedevano un ombra. E' come se il mondo immaginario di Giotto all'improvviso acquistasse vita.
Il Rinascimento è più dell'introduzione di una tecnica per dipingere a tre dimensioni: l'approccio giottesco è sintomo di un profondo cambiamento nella visione filosofica che informava tutte le aree del sapere in Occidente. L'esperienza reale è messa in luce rispetto alle verità trascendenti della teologia: le scene religiose contengono persone dall'aspetto realistico e appaiono come colte in un istante di vita quotidiana. Il naturalismo di Giotto fa del tempo una componente della pittura: l'immagine non è più un simbolo immutabile, ma viene fissata alla fuggevolezza dell'attimo. Al tempo stesso il naturalismo poneva una nuova sfida poiché non esistono leggi che impongano alla natura di disporre armoniosamente colori e oggetti come sarebbe necessario all'artista per una composizione gradevole. In natura l'aspetto di una scena dipende dall'illuminazione ambientale e si ha un'infinita varietà di forme e colori.
Oltre alla dimensione del tempo l'artista rinascimentale arrivò anche alla esatta collocazione degli oggetti nello spazio. L'avvento della prospettiva lineare, introdotta dall'architetto fiorentino Filippo Brunelleschi (1377 - 1446), fu il corollario essenziale all'introduzione di luce e ombra. Brunelleschi ricavò le leggi matematiche che permisero agli artisti di determinare in che misura la dimensione diminuisce con la distanza. Le sue scoperte furono accolte con entusiasmo dal pittore fiorentino Masaccio (1401 - 1428).
Implicita vi era la consapevolezza che l'artista dovesse studiare la natura 'scientificamente': per disegnare con fedeltà la figura umana il pittore doveva possedere una buona conoscenza dell'anatomia. Nel suo libro La Pittura (1435) l'architetto fiorentino Leon Battista Alberti (1406-72), sottolinea che il pittore deve soprattutto cercare la bellezza, una proprietà quasi quantificabile. L'enfasi dell'armonia delle proporzioni è caratteristica della visione fiorentina, per questi artisti la capacità di disegnare bene era più importante della resa del colore. Evidenziare i rapporti di geometria e matematica delle forme era funzionale anche alla nuova necessità che l'artista rinascimentale aveva di separarsi dagli artigiani e di elevare la propria attività dalle arti meccaniche a quelle liberali.
Alberti discute le giustapposizioni di colore, come accostare un campo colorato vicino ad un altro e tradisce nelle nelle sue riflessioni una preoccupazione costante per l'integrità del pigmento puro. Al centro della discussione dell'Alberti sul colore si trova come organizzare il colore e mentre per Cennini, come per Giotto, l'ombreggiatura doveva essere rappresentata con il colore alla massima saturazione, Alberti sosteneva che per le ombre si dovesse aggiungere il nero.
La distinzione tra disegno e colore e il dibattito sulla loro reciproca importanza divennero un tema importante nell'arte rinascimentale. Si afferma in genere che a Firenze prevalesse il disegno mentre nell'opulenta Venezia il colore.

Gli alchimisti medioevali suggerivano che per trovare la pietra filosofale fonte di conoscenza sul piano spirituale e di ricchezza su quello materiale, era necessario andare al centro della terra e avevano sintetizzato questo precetto nell'acronimo VITRIOL, che è formato con le iniziali della frase Visita Interiora Tellus Rectificando Invenies Occultum Lapidem. Naturalmente, a meno di credere che gli alchimisti fossero anche dei geologi dilettanti, il suggerimento è di tipo spirituale: bisogna abbassarsi il più possibile, fin quasi a distruggersi, per poter poi assurgere alle vette della conoscenza .




pietra filisofale


Eredità artistica dell'Alchimia e la Pittura Medievale

Le origini dell'alchimia, l'antenata della chimica, si trovano nella prassi dei mestieri antichi e il suo influsso sull'arte non si manifesta solo come simbolismo occulto. E' l'arte della trasformazione: permetteva agli sperimentatori di comprendere i cambiamenti che le azioni di fuoco, aria, vapori e tempo apportavano ai materiali. Poiché questi cambiamenti erano accompagnati da alterazioni del colore ne consegue che l'applicazione pratica dell'alchimia diventasse il mezzo per fornire colori artificiali agli artisti. Cennino Cennini, nel suo Libro dell'arte (1390 ca.) fa spesso riferimento alla preparazione di pigmenti tramite l'alchimia.
Alchimista poteva avere diversi significati. I pittori medievali compravano i propri materiali da speziali e apotecari, artigiani che quasi sempre producevano personalmente i pigmenti, una categoria distinta dai fanatici della pietra filosofale, i quali cercavano i segreti esoterici per la trasmutazione del piombo in oro.
Il colore è stato molto importante durante il medioevo per la chimica: si riteneva che il colore di una sostanza fosse la manifestazione esteriore delle sue proprietà intrinseche.
La stessa pietra filosofale era chiamata anche Tintura.
Un esempio è il processo di produzione artificiale del rosso Vermiglione, il principe medioevale dei rossi, descritto da Teofilo, monaco benedettino del XII secolo, nel suo manuale tecnico Schedula diversarum artium (Taccuino delle varie arti, 1122ca.) in cui racconta la sintesi alchemica tra zolfo e mercurio.
L'alchimia attribuisce al rosso un significato speciale in quanto è il colore dell'oro (che era più bello quanto più era rosso) e simboleggia inoltre i culmine della Grande Opera, la creazione della pietra filosofale. Il piombo che pare esercitasse sugli alchimisti una particolare attrattiva può assumere un aspetto nero, bianco, giallo, o rosso, grazie a trasformazioni chimiche che si presentano in presenza di calore.
Agli inizi del Medioevo erano molto diffusi i manuali tecnici chiamati ambiguamente Libri di segreti la cui importanza andò scemando quando la pratica della pittura passò dai monasteri alle città, dove fu svolta da professionisti laici.
Tipica produzione grafico-pittorica del Medioevo era la miniatura: arte di decorare e illustrare manoscritti. Il termine deriva dal latino minium, il pigmento rosso-arancione usato appunto per delineare le iniziali dei manoscritti; era ricavato dalla biacca (pigmento bianco derivato dal piombo) per riscaldamento, oppure dall'ossido di piombo. I pigmenti erano legati con colla di origine animale o albume d'uovo. Il supporto tradizionale della pittura era la pergamena: pelle di vitello, capra, pecora e cervo, seccate tese e raschiate fino a ottenere una superficie perfettamente liscia, ma per lo più i dipinti di grande dimensione giunti fino a noi erano eseguiti su tavole di legno: il legno veniva prima ricoperto di colla e poi da vari strati di stucco a base di gesso e colla, lo stucco più fine era per le parti a intaglio. La preparazione e l'applicazione dello stucco erano un compito noioso e perciò affidato agli apprendisti. La pittura su questo tipo di supporto era stesa a tempera tecnica per cui il legante principale con cui venivano agglutinati i pigmenti era il tuorlo d'uovo. Anche la pittura parietale era largamente usata nel medioevo, sia nelle chiese che negli edifici pubblici e nei palazzi privati con la tecnica dell'affresco. La pittura a fresco produceva risultati duraturi, purché la parete non fosse soggetta ad umidità.
L'oltremare, il vermiglione e l'oro furono la gloria della tavolozza medioevale.
Il pittore degli inizi del Medioevo era in genere un anonimo monaco, il cui compito era illustrare le storie dei Vangeli, in modo da suscitare devozione e pietà; la pittura era schematica, addirittura di maniera.
Nel tardo Medioevo, la bellezza e l'ostentazione di ricchezza divennero importanti nell'arte religiosa ma ciò non implicava la necessità di naturalismo; al contrario, nacque il desiderio di esibire i pigmenti più costosi e magnifici, in campi di colore piatti e uniformi, come atto di devozione a Dio. L'abilità non consisteva nel creare raffinate sfumature, ma nel sistemare sulla scena pigmenti crudi in modo armonioso.
Il motivo per cui gli artisti medioevali non rappresentavano figure e scena come apparivano "realmente" è perché questo obiettivo era per loro irrilevante: l'importante era che ognuno dei personaggi principali potesse essere chiaramente identificato nella scena, in una posizione e una dimensione adeguate al suo ruolo e con colori che possedevano significati simbolici e tornavano a gloria del Signore.
Il Medioevo fu un periodo di notevoli innovazioni nella produzione del colore e nel contempo la pittura da attività funzionale al contesto religioso divenne un mestiere praticato da membri di corporazioni che soddisfavano le richieste della classe dei nobili e dei mercanti. Il mistero e la magia cedevano il passo a una mentalità pratica. Questa trasformazione travolse anche l'alchimia, che mantenne i simboli delle sue radici mistiche ma che divenne anche sistema di produzione.




William Blake
William Blake
William Blake nacque il 28 novembre del 1757 a Soho, nel cuore di Londra, secondo dei sei figli di James Blake, un commerciante di maglieria.
Fin dall’infanzia si dedicò, con assiduità e passione, alla lettura e dimostrò un precoce talento per l’arte, che i genitori non esitarono ad incoraggiare.
Gli studi tradizionali non riuscirono a soddisfare il giovane Blake: allievo solitario ed isolato, si sottrasse all’educazione ufficiale, per sviluppare le sue naturali inclinazioni e i suoi originali interessi.
In un’epoca dove la pittura inglese era dominata dal gusto per il ritratto e, in misura minore, da quello per il paesaggio, William Blake si dedicò ai temi tratti dalle sue visioni dimostrando, inoltre, un inusuale interesse per l’arte gotica e medievale.
Uomo di grandi passioni, ma anche di repentini cambiamenti, William Blake condusse un’esistenza da libero intellettuale, fuori ed oltre il comune sentire del suo tempo e dei suoi contemporanei.
Artista, artigiano, poeta e mistico, egli dedicò la sua vita a coltivare, con il pensiero e con l’arte, il suo personale mondo onirico e visionario.
“L’immaginazione non è uno stato mentale: è l’esistenza umana stessa”, soleva ripetere Blake, rivendicando, così, la scelta di ricercare nella sua intima realtà spirituale la fonte d’ispirazione delle sue opere.
Egli elogiava un’arte che fosse memoria dell’eterno e che non si facesse irretire dalle lusinghe edonistiche della natura umana : la schiavitù della Ragione e dei Sensi è la condanna a cui l’uomo deve sottrarsi.
Il suo temperamento anticonformista e non convenzionale, lo portò a nutrire una certa avversione per il materialismo ed il razionalismo imperante, convinto che tale atteggiamento portasse solo ad imprigionare la mente e a generare oppressione e miseria.
Contro quella che era la ratio diffusa dell’epoca, fu un deciso sostenitore della capacità dell’uomo di superare, attraverso la sublimazione della propria dimensione interiore, la mera percezione sensoriale: “se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all’uomo come in effetti è, infinito.”
Rifiutando le categorie predefinite, Bene e Male, Ragione ed Immaginazione, Grazia e Perdizione, William Blake incrinò la fede nell’Illuminismo fondando, a sua volta, un credo, unico ed inimitabile, incline all’indocilità e irrispettoso verso ogni norma precostituita.
Con i suoi testi poetici ed il suo patrimonio figurativo, William Blake si spinse a realizzare una sorta di Testo Sacro che trovava i suoi fondamenti nella Bibbia e nella mitologia greca, sospinto dalla necessità di crearsi un proprio personale sistema di valori per non “finire”, come lui stesso affermava, “schiavo di quello di un altro uomo”.
Incline alla libertà e restio a sottostare a dogmi decodificati, Blake non si appiattì sui precetti indotti da una chiesa, fosse quella anglicana o quella cattolica. La sua religiosità fu tutta interiore e tesa nella ricerca dell’originaria unità dell’uomo, cosa che divenne per lui una sorta di ossessione. Blake, infatti, era convinto che, in seguito al peccato originale, l’uomo avesse perduto la sua unità e i che i singoli componenti – ragione, immaginazione, sensi, emozioni – combattessero tra di loro generando uno stato di malessere e di tensione.
“Gli uomini vengono ammessi in Paradiso non perché abbiano dominato e frenato le proprie passioni o non ne abbiano avute affatto, ma perché hanno coltivato la loro capacità di conoscere. Il Tesoro del Paradiso non è la negazione della passione, ma la realtà dell’intelletto, da cui tutte le passioni fuoriescono libere nella loro eterna Gloria.”

L’iconografia cristiana compare spesso nelle stampe e nei dipinti di Blake: le immagini esulano però dalla tradizione e danno vita ad una realtà onirica e fantastica, mistica ed esoterica, nello stesso tempo. Una specie di viaggio nell’inconscio e nella visione extrasensoriale che anticipò l’universo freudiano e le conquiste della pittura moderna.
Dal punto di vista stilistico, Blake si espresse con forme vigorose e con colori energici ed infuocati, tali da riprodurre l’intensità delle sue visioni che appaiono, così, straordinariamente nitide e reali.
Egli affermava, infatti, che la sua arte non avesse nulla di “evanescente o intangibile”, ma fosse invece solida e ben organizzata, “ben al di là di ciò che l’effimera natura mortale riesce a produrre.”
Quanto alla tecnica, anche in questo caso, l’inglese si fece notare per il suo ruolo di outsider: rifiutò l’usuale pittura ad olio, che considerava un cedimento al formalismo e al piacere tattile, preferendo l’acquerello utilizzato, al tempo, per gli schizzi e i bozzetti più che per le rappresentazioni finite.

Albrecht Dürer

Albrecht Dürer
(Norimberga, 21 maggio 1471 – Norimberga, 6 aprile 1528) è stato un pittore, incisore, matematico e trattatista tedesco , fra i più importanti esponenti del Rinascimento tedesco e intellettuale fra i più incisivi del panorama europeo.
Conosciuto anche come: Alberduer, Duro Alberto Tedesco, Alberto di Dura, Dureño Alverto, Albert Dürer, Albert Duur.
Studente di: Matthias Grünewald (1470-1528).
Insegnante di: Hans Baldung (1484-1545).
Nasce nel 1471 a Norimberga da Albrecht Dürer il Vecchio e da Barbara Holper, esponente di una famiglia agiata di artigiani, viene considerato il massimo esponente della pittura tedesca rinascimentale. A Venezia l'artista entrò in contatto con ambienti neoplatonici. Si presume che tali ambienti abbiano sollevato il suo carattere verso l'aggregazione esoterica. Classico esempio è l'opera dal titolo Melencolia I, realizzata nel 1514, in cui sono presenti evidenti simbologie ermetiche.
Il padre aveva origini ungheresi, discendente di una famiglia di orafi e, trasferitosi a Norimberga in Germania, era entrato nella bottega dell'orafo e argentiere Hyeronimus Holper e ne sposa la figlia nel 1467, aprendo in seguito una bottega propria.
Le doti artistiche di Albrecht sono talmente evidenti che il padre decide di affidarlo al pittore Michael Wolgemut, non appena il ragazzo ha quindici anni: si tratta di una delle botteghe di pittori più interessanti ed importanti di Norimberga, che cura le più importanti illustrazioni di libri stampati, ottenute con la tecnica della xilografia.
Forse per questo, o forse per necessità economiche, le tecniche di incisione entrano nella vita dell'artista e non lo abbandonano più: Dürer infatti considera l'incisione come una forma d'arte a se stante, e ne sviluppa e cura temi diversi e innovativi, che lo portano ad essere forse il migliore incisore di stampe antiche, insieme a Goya e Rembrandt.
Albrecht Dürer è ben inserito anche nella vita di società a Norimberga, anche in livelli sociali assai elevati e culturalmente stimolanti: questo grazie al suo fascino, composto dalla bellezza arricchita da spirito e simpatia. Sposa a ventitre anni, il 14 luglio 1494, Agnes Frey, figlia di un orafo e in questi anni trova il suo primo influente mecenate in Federico di Sassonia, detto il Saggio, grande elettore di Wittenberg, che gli commissiona numerose opere e ne determina sicuramente una velocissima carriera.
Il carattere perennemente in bilico fra entusiasmo e soddisfazione del proprio successo e insoddisfazione e quasi una sorta depressione, o almeno di malinconia esistenziale, lo rendono piuttosto inquieto, da cui l'interesse per i viaggi, la sete di conoscere, capire e vedere.
Nel 1495 compie il primo viaggio in Italia, per conoscere dal vero le opere dei maggiori artisti rinascimentali italiani, per vedere le opere di Giotto, Raffaello, Leonardo e altri ancora.
Proprio in questa occasione egli soggiorna brevemente sul Garda e nel Trentino, producendo la bellissima serie di acquarelli dedicati ai castelli alpini e fra questi lo splendido "Fenediger Klausen", la chiusa veneziana, cioè il castello di Arco.
Proprio dai viaggi in Italia (ne farà un secondo nel 1505) avrà una maturazione dello stile ben evidente: la figura viene indagata con un'attenta introspezione psicologica, nuovo spessore acquistano i ritratti ed anche le ambientazioni, perché si crea in ogni opera del Dürer un rapporto intenso fra la figura ed il paesaggio dove essa è inserita, alla ricerca di una perfetta armonia.
In particolare è quasi certo che in occasione del secondo viaggio in Italia Dürer incontrò Leonardo da Vinci con il quale condivideva la visione dell'uomo come parte armoniosa della natura.
Alla morte del padre, Dürer si occupa di proseguire l'attività della bottega di oreficeria, coinvolgendo nella gestione uno dei fratelli, Hans, il più dotato.
Per tutta la vita egli resterà in bilico fra il piacere di creare opere grandi dal punto di vista artistico e la realizzazione di lavori commercialmente validi per mantenere agiatamente la famiglia.
Nel 1509, acquista una casa e si afferma come artista agiato e benestante, oltre che come uomo di notevole cultura.
Questa sua affermazione personale si coglie molto bene nella collezione dei ritratti ai potenti, dove è evidente che il Dürer non subisce soggezione da alcuno, neppure dall'Imperatore, e si mantiene libero e autonomo nelle sue determinazioni, quando assume ruoli importanti nella vita della città.
Lo spirito libero lo porta anche a dedicarsi a forme d'arte inconsuete e originali, come per esempio alla realizzazione di oggettistica di alta oreficeria, mettendo a frutto le conoscenze apprese da ragazzo nella bottega del padre, oppure l'attenzione alla miniatura ed alle illustrazioni di libri (in particolare quelli dell'amico umanista Wllibald Pirkheimer) e addirittura alla progettazione di sculture e di particolari di architettura e arredo, come fontane, monumenti o lampadari e cornici per le proprie opere.
Albrecht Dürer però vive nel clima difficile e socialmente agitato della Riforma Luterana, cerca di mantenere equilibrio e moderazione, suoi principi ispiratori da sempre, quasi una filosofia di vita che l'artista trasmette attraverso le sue opere.
Il 15 luglio 1520 parte per i Paesi Bassi, con destinazione prima Anversa, visitando Olanda e Fiandre; questo viaggio consolida la sua fama e soprattutto la posizione di prestigio nel panorama artistico non solo Tedesco, ma anche Europeo.
Gli allievi di Durer non furono solo quelli presenti nella sua bottega, ma i pittori di tutta Europa, che copiano la sua personale capacità di fondere l'influenza del Rinascimento italiano con la pittura locale Durante gli ultimi anni il pittore tedesco, in parte amareggiato e colpito dall'incalzare di eventi violenti (come la rivolta contadina) e le imponenti tensioni sociali, abbandona la pittura per dedicarsi alla realizzazione di trattati didattici: ne porterà a compimento tre corredati di illustrazioni ed incisioni bellissime.
Il "Trattato di geometria", edito in lingua tedesca, è del 1525; il secondo, del 1527, è un Trattato sulle fortificazioni e sulle mura capaci di resistere alle armi da fuoco; il terzo, del 1528, pubblicato dopo la sua morte è dedicato allo studio della simmetria e le proporzioni del corpo umano, che fu pubblicato in tedesco ed in latino.
Restò incompiuto il quarto dei trattati pensati dal Dürer, forse il più ambizioso dedicato all'arte. Dopo il viaggio nei Paesi Bassi, dove era caduto gravemente malato, la salute di Dürer non si riprende più e muore improvvisamente il 6 aprile 1528.

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In questo video si possono ammirare molti ritratti di donne del passato . Ben 500 ritratti dalla Gioconda di Leonardo da Vinci al Cubismo del secolo scorso .



In soli 3 minuti vedrete scorrere cinquecento anni di storia della donna , come era vestita , i gioielli che portava ed il contesto in cui viveva , raffigurato nello sfondo del quadro . Un magnifico montaggio di volti che si modificano sotto i vostri occhi cambiando i colori dei loro scialli , cappelli , orecchini , il colore del rossetto , le guance arrossate o meno a seconda della moda del momento in cui viveva il soggetto raffigurato . Trovo molto interessante soprattutto l' acconciatura dei capelli , effettivamente molto creativa , ed inoltre l' uso dei copricapo che spaziano dal semplice velo da suora o tipico della Madonna , ad un uso piu' sfrenato di cappelli a falda larga ornati da fiori , e per finire nello stile Liberty alla donna che indossa una specie di casco spaziale .

ESISTE IL PICCOLO POPOLO E SONO GLI SPIRITI GUIDA NEI GIOCHI DI CARTE E GOVERNANO I 4 ELEMENTI PICCOLO POPOLO

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