Uno dei discorsi che ho sempre ritenuto più interessanti del Vangelo, riguarda le cosiddette "perle ai porci": “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi”
Si tratta di un suggerimento che contiene un principio meno banale di quanto possa sembrare, soprattutto da quando è entrato nell'uso comune - impoverendosi.
L'Oracolo di Delfi suggeriva a ciascuno di conoscere il proprio limite, conoscendo se stesso. Spingersi oltre significa macchiarsi di tracotanza - Ubris.
Il donare "perle ai porci" scatena la "vendetta degli Dei" e crea Ubris: si tratta di un atto insensato che non solo non migliora la vita del "porco" ma che ne provoca altresì la rivolta rabbiosa.
Il "porco" - per proseguire l'allegoria di Matteo - non ha alcuna colpa per ciò che è; il detentore delle "perle" tuttavia può scegliere responsabilmente se "dissacrare" o "conservare".
La "perla" infatti non muterà la natura del "porco", che la ingurgiterà e la calpesterà come fosse sterco. La colpa è di chi l'ha donata illudendosi che potesse provocare un mutamento.
Nel Liber Legis si legge che la compassione è il vizio dei Re: la capacità, cioè, di entrare in empatia con tutti (soprattutto con il "porco") è un segno di delicatezza d'animo propria di chi ha Perle in sé (il Re); tuttavia se mal esercitata questa capacità diviene un vizio che poggia sull'illusione - in fondo egoistica - di poter aiutare "il porco" dando una perla.
Cosa fare, allora, quando si realizza di aver ceduto all'illusione di un mutamento strutturale?
Di aver dato, insomma, "perle ai porci"?
Niente.
Certamente non lasciarsi prendere dallo sconforto: se il Re non si accorge di avere intorno "porci" la colpa è sua... mica dei "porci"!
Ritirarsi, in silenzio, dunque e osservare il mondo, sempre ben considerando che "chi ha più giudizio" incorre nel dovere etico di impiegarlo bene.