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Nonostante ciò esistevano vari stratagemmi a cui i venditori ricorrevano per depistare gli acquirenti. Il più diffuso era quello di tagliare l’animale nella zona del ventre ed insufflare aria al suo interno, per renderla artificialmente più distesa e tonica. Tale pratica era assolutamente vietata tanto più perchè ritenuta fonte pericolosissima di contagio, dall’alito umano alla carne dell’animale. La carne era controllata dal servizio municipale non solo per la freschezza, ma anche perchè ritenuta possibile vettore di malattia e fonte di contagio. Tra tutti gli animali quello più temuto e quindi controllato era senz’altro il maiale. Un primo controllo veniva effettuato sugli animali ancora in vita, con particolare attenzione alla lingua, ed un altro dopo l’abbattimento per verificare che non ci fossero larve incistate tra le sue fasce muscolari. A Parigi a seguito dell’ispezione sanitaria, l’orecchio veniva siglato se si riscontravano tracce leggere di contaminazione, mentre veniva tagliato se la malattia era diagnosticata con certezza. La testa del maiale fungeva quindi da vera e propria etichetta informativa per l’acquirente e quindi era obbligatorio esporla insieme alla carne dell’animale. Allo stesso modo il pesce ispezionato e giudicato atto alla vendita veniva inciso con un segno come garanzia di qualità.
Non si deve poi dimenticare che furono i cereali a mietere il maggior numero di vittime per intossicazione alimentare. L’ergotismo, meglio conosciuto come “fuoco sacro” o “fuoco di Sant’Antonio”, era una malattia diffusissima in tutta l’Europa medievale, che nelle sue forme più acute portava alla morte, ma molto più spesso alla paralisi progressiva degli arti, alla gangrena e poi all’amputazione di questi. Il nesso con il fungo Claviceps purpurea della segale venne compreso secoli dopo, ma già allora si intuì una sua relazione con le annate di carestia. Durante questi periodi, infatti, la fame spingeva la popolazione a mangiare insieme ai chicchi sani anche quelli più grossi e dal sapore sgradevole attaccati dal fungo, che normalmente nelle annate di abbondanza erano scartati. Molto frequenti e non meno nocive erano poi le adulterazioni delle farine e quindi del pane. Erasmo da Rotterdam nei Colloqui si lamenta, ad esempio, che sulla tavola del suo ospite veneziano Francesco d’Asola viene servito pane in cui per un buon terzo è mescolata argilla!
Si può affermare con certezza, quindi, che ieri come oggi nulla è cambiato e che il cibo era e rimarrà sempre un grosso affare!
Tagliate a cubetti le zucchine e mettetele in una ciotola, cospargetele di farina, giratele fino a che ne siano ben ricoperte. Friggetele in abbondante olio, scolatele su carta assorbente e lasciatele freddare. In una bastardella mescolate la feta, la caciotta, la menta e le zucchine fritte. Fatene delle palline schiacciate. In un piatto mescolate il pangrattato, la farina di mais ed il sesamo. In un altro mettete le uova battute ed in una altro ancora della farina. Passate ogni polpetta prima nell’uovo, poi nella farina, poi ancora nell’uovo e dopo nella mistura di sesamo. Friggetele in abbondante olio. Fatele sgocciolare su carta assorbente e sevitele calde calde.
Ingredienti per il pesce: 18 grandi e fresche sardine, 18 grandi foglie di vite, 4 cucchiai di olio, il succo di mezzo limone, sale affumicato e pepe.
Mettiamo nel mixer tutti gli ingredienti per la salsa (facendo attenzione che non diventi troppo cremosa), tranne il coriandolo che triterete a parte con il coltello e che aggiungerete quando la salsa è pronta. Puliamo e laviamo le sardine, avvolgiamone ognuna con una foglia di vite. Ungiamole con l’olio ed insaporiamole con sale e pepe. Cuociamo le sardine in una padella antiaderente un paio di minuti per ogni lato. Serviamo le sardine con una spruzzata di limone e con un po’ di salsa di olive.
Chiudendo, visto che non è giusto pretendere da altri cose che con difficoltà accetto di fare io stessa, non inviterò altri blogger a continuare questo gioco. E se questo dovesse risultare la fine della piramide non mi interessa più di tanto. Anche se, certe volte, non possiamo cominciare qualcosa, è di conforto potervi porre fine. Se però chiunque di voi leggendo questo post si offrisse, volontariamente, di continuare sarò felice di osservarlo e sarà come se l’avessi invitato.