A volte, ma soltanto raramente, sentirai parlare di me. Lo prometto.
Anche le spiegazioni saranno sedute sulle panchine del parco comunale, con
il quotidiano in mano in attesa di qualche sentenza che le giustifichi.
Solo silenzio, senza espressione nei loro volti, sono pochi i colpi in canna che
ha l'arma della giustizia. Non voglio si sappia nulla di me, passerò senza
farmi vedere. Non un cenno, nè un saluto, incrocerò soltanto il mio sguardo
riflesso sui vetri delle finestre ancora chiuse.
Tempo di coprifuoco, tempo di arresto immediato.
Sono l'uomo perbene, censore del tempo passato. La mia dialettica si ferma
al giorno prima, alla prolissità dei vecchi maestri delle scuole elementari e
all'odore delle torrefazioni del centro.
Noia e tormento non son la vostra forza ma il solo prezzo da pagare alla
continua distruzione di ciò che è appena stato costruito.
A volte, soltanto per causa tua, avrai mie notizie. Lo metto nero su bianco.
Saranno le notizie della televisione a darmi un volto e una figura. Saltato in
aria con quintali di tritolo o steso a terra grazie a un colpo di pistola.
Griderò anche da morto se sarà necessario, senza apparire, infilandomi nelle
menti disperse nel giardino del re.
Dormirò di giorno e vivrò la notte se servirà a non esser protagonista.
Sono l'uomo perbene con il solo simbolo della normalità contro le vostre
grida. Esempio di rigore immorale contro il vostro fottuto perbenismo.
La vostra famiglia, la vostra casa, la vostra Chiesa, la nostra Mafia.
Mi ritroverai soltanto seguendo l'ultima stella o il consiglio semplice di
un uomo senza studi, che bestemmia Dio solo perchè non si fa mai vedere.
A volte, ma senza mai volerlo, leggerai di me. Lo giuro.
Sarà soltanto per non inaridire il tuo cervello e dare un nuovo modello al
tuo continuum di elementi.
Sono un'anima avanzata, sulla mia tomba non voglio fiori ma soltanto ricordi.
Abbraccerò i miei cari dicendo ciò che mai ho detto e vi lascerò così, nel più
totale anonimato.
Difficile pensare alla mia assenza, perchè mai sono stato presente.
Sono l'uomo perbene precursore di ogni tua buona azione.
A volte, ma soltanto raramente, sentirai parlare di me.
Soltanto se lo vorrai.
L'angolo adatto per nani, ballerine, cantanti, troie, alcolizzati e illusi. Ovviamente qui nulla è serio...se sei dei nostri...benvenuto, entra pure
giovedì, aprile 21, 2011
mercoledì, aprile 20, 2011
Il lento valzer dell'illogica lentezza dell'attimo perdente
Quattro passi al vento che visti da lontano sembrano solo smarrimento, ma
potrebbero anche essere un tentativo represso di ripensamento.
Come una polaroid sbiadita di tuo padre che passeggia nel '70.
Il pensiero costante su un pensiero passato. Tentativo inondato di niente
perchè nel niente si è sempre mosso.
Come i pochi secondi che separano la domanda da una risposta aspettata da
tanto tempo e attesa nel silenzio. Solo una chitarra di sottofondo.
Odore di merda lungo il viale, i sassi che ti fanno male ai piedi. Troppo grossi
per le suole appiattite dal peso costante del pensiero. Perchè la testa
non vola via anche se non serve a nulla, resta attaccata al collo ciondolante.
A cosa cazzo servono i pensieri se non possono trovare un buco da cui uscire
o un discorso nel quale esser spesi per dar loro vita migliore.
A niente. Servono solo a far da sottofondo a questi quattro passi, fatti avanti e
indietro in modo che non diventino mai otto, dodici, sedici etc...ma restino
sempre uno, due, tre e quattro e poi quattro, tre, due e uno.
Avanti e indietro. Senza passi avanti e nostalgia del passato.
Sempre la stessa strada per gli stessi quattro passi. Unica variante concessa,
si posson fare su una gamba sola. Quattro col destro ad avanzare e 4 col
sinistro per tornare. Sempre 4 però.
Quattro passi per fare tutto il possibile senza strapparsi i capelli. Piangere
pensando al tempo andato e ridere nel ripercorrerlo, soltanto un crocifisso
a metà appeso al muro rende meglio l'idea dell'inutilità.
Quattro passi solo, senza stronzi a dirti cosa devi fare e sciacalli ad attendere
la sosta. In questi quattro passi non ci sono pene, colpe e compassione,
niente musiche, sorrisi e abbracci. Al massimo un colpo di pistola a salve
per i ruffiani. Intorno tutta terra, odore di merda e fiori esplosi a primavera
come esplodono le bombe per portare pace.
Quattro passi e torno a casa, mamma. Non ti preoccupare. Forse è vero, è
tutto brutto fuori. Le parole hanno un peso e il peso glielo danno i colori,
anche se dal quinto passo in poi tutto diventa in bianco e nero e come nel
peggiore dei sogni, niente è come lo pensavi.
Allora è in quell'attimo che va dal quarto al quinto passo che come per magia
e forse per errore torno al terzo. Un lento valzer, quello della illogica lentezza
dell'attimo perdente.
potrebbero anche essere un tentativo represso di ripensamento.
Come una polaroid sbiadita di tuo padre che passeggia nel '70.
Il pensiero costante su un pensiero passato. Tentativo inondato di niente
perchè nel niente si è sempre mosso.
Come i pochi secondi che separano la domanda da una risposta aspettata da
tanto tempo e attesa nel silenzio. Solo una chitarra di sottofondo.
Odore di merda lungo il viale, i sassi che ti fanno male ai piedi. Troppo grossi
per le suole appiattite dal peso costante del pensiero. Perchè la testa
non vola via anche se non serve a nulla, resta attaccata al collo ciondolante.
A cosa cazzo servono i pensieri se non possono trovare un buco da cui uscire
o un discorso nel quale esser spesi per dar loro vita migliore.
A niente. Servono solo a far da sottofondo a questi quattro passi, fatti avanti e
indietro in modo che non diventino mai otto, dodici, sedici etc...ma restino
sempre uno, due, tre e quattro e poi quattro, tre, due e uno.
Avanti e indietro. Senza passi avanti e nostalgia del passato.
Sempre la stessa strada per gli stessi quattro passi. Unica variante concessa,
si posson fare su una gamba sola. Quattro col destro ad avanzare e 4 col
sinistro per tornare. Sempre 4 però.
Quattro passi per fare tutto il possibile senza strapparsi i capelli. Piangere
pensando al tempo andato e ridere nel ripercorrerlo, soltanto un crocifisso
a metà appeso al muro rende meglio l'idea dell'inutilità.
Quattro passi solo, senza stronzi a dirti cosa devi fare e sciacalli ad attendere
la sosta. In questi quattro passi non ci sono pene, colpe e compassione,
niente musiche, sorrisi e abbracci. Al massimo un colpo di pistola a salve
per i ruffiani. Intorno tutta terra, odore di merda e fiori esplosi a primavera
come esplodono le bombe per portare pace.
Quattro passi e torno a casa, mamma. Non ti preoccupare. Forse è vero, è
tutto brutto fuori. Le parole hanno un peso e il peso glielo danno i colori,
anche se dal quinto passo in poi tutto diventa in bianco e nero e come nel
peggiore dei sogni, niente è come lo pensavi.
Allora è in quell'attimo che va dal quarto al quinto passo che come per magia
e forse per errore torno al terzo. Un lento valzer, quello della illogica lentezza
dell'attimo perdente.
lunedì, marzo 07, 2011
Milano città chiusa.
A Milano mancano due settimane e diversi contesti per arrivare a primavera.
I colori ormai da anni non sono più gli stessi, nascosti dietro finti richiami
a sicurezza e legalità.
Milano non è mai stata gialla come il sole o rossa come il tramonto sul mare.
Milano a volte è bianca, quando solo la neve riesce a farci dimenticare che
tutto, ma proprio tutto intorno a noi, è grigio.
Perchè se una volta la nebbia si prendeva gioco dei colori, se Milano era
nascosta dal fumo dei navigli, se il dialetto legava anzichè dividere...adesso
non è più così. I colori non ci sono più, si sono persi nel grigio.
Non è colpa solo della sintonia, dei nostri occhi, dei nostri pensieri.
La verità sta tutta da una parte, per una volta la verità è all'estremo.
Milano è una città sicura fratelli. Finalmente niente e nessuno potrà più
farci del male. Ora l'ultimo passo consigliato sarà quello di chiuderci in casa,
non uscirne più. Ogniuno nella propria, senza vasi comunicanti.
Non parlare nemmeno più col vicino, nemmeno se bianco cattolico ed
eterosessuale. Per stare tranquilli non si deve più ascoltare. Ballare. Amare.
Respirare. Pensare.
Proprio questo il messaggio che dobbiamo far passare in periodo di
campagna elettorale. A Milano non vogliamo divertirci.
Non solo non possiamo, non vogliamo.
Chiudiamo i bocchettoni alla cultura, troviamo pretesti per chiudere locali,
non diamo valore alle note, alle parole, ai colori.
Milano è grigia e tale deve restare.
Milano non ha bisogno di niente, ha già i suoi soldi e i suoi valori.
Milano è una città senza memoria.
Chiudiamoci in casa, chiudiamo le case.
A questo punto, solo quando tutto ci sarà tolto e ridotto all'osso ci
accorgeremo di cosa abbiamo e sopratutto di quello che non c'è più.
Senza finti artisti e senza proclami rivoluzionari, bisogna fare, cominciare
a dire, tornare a pensare. Ogniuno con la propria testa, senza un solo
pensiero unico e collettivo.
Ho sempre creduto che tutti se ne fottano di ciò che accade attorno sinchè
non viene intaccato il proprio orticello, fino a quando il cane del vicino non
ci piscia sulla staccionata. E' il personale a far del male.
A volte non bastano le restrizioni, a volte serve solo la sana prepotenza a
risvegliare l'indignazione.
Sai cosa c'è? Che secondo me Milano non è grigia e morta e che se voglio,
se vogliamo, fuori da queste cazzo di finestre, dalle nostre case chiuse
arriverà la primavera. Con lei torneranno la musica, i colori e poi ancora la
musica e i colori e allora forse potremo sentirci sicuri senza uomini in
divisa pronti a chiuderci in casa.
Sai cosa ti dico? Che forse è meglio smetterla di parlare, di fingerci pensatori
e iniziare a far qualcosa di utile non solo nel nostro orticello.
I colori ormai da anni non sono più gli stessi, nascosti dietro finti richiami
a sicurezza e legalità.
Milano non è mai stata gialla come il sole o rossa come il tramonto sul mare.
Milano a volte è bianca, quando solo la neve riesce a farci dimenticare che
tutto, ma proprio tutto intorno a noi, è grigio.
Perchè se una volta la nebbia si prendeva gioco dei colori, se Milano era
nascosta dal fumo dei navigli, se il dialetto legava anzichè dividere...adesso
non è più così. I colori non ci sono più, si sono persi nel grigio.
Non è colpa solo della sintonia, dei nostri occhi, dei nostri pensieri.
La verità sta tutta da una parte, per una volta la verità è all'estremo.
Milano è una città sicura fratelli. Finalmente niente e nessuno potrà più
farci del male. Ora l'ultimo passo consigliato sarà quello di chiuderci in casa,
non uscirne più. Ogniuno nella propria, senza vasi comunicanti.
Non parlare nemmeno più col vicino, nemmeno se bianco cattolico ed
eterosessuale. Per stare tranquilli non si deve più ascoltare. Ballare. Amare.
Respirare. Pensare.
Proprio questo il messaggio che dobbiamo far passare in periodo di
campagna elettorale. A Milano non vogliamo divertirci.
Non solo non possiamo, non vogliamo.
Chiudiamo i bocchettoni alla cultura, troviamo pretesti per chiudere locali,
non diamo valore alle note, alle parole, ai colori.
Milano è grigia e tale deve restare.
Milano non ha bisogno di niente, ha già i suoi soldi e i suoi valori.
Milano è una città senza memoria.
Chiudiamoci in casa, chiudiamo le case.
A questo punto, solo quando tutto ci sarà tolto e ridotto all'osso ci
accorgeremo di cosa abbiamo e sopratutto di quello che non c'è più.
Senza finti artisti e senza proclami rivoluzionari, bisogna fare, cominciare
a dire, tornare a pensare. Ogniuno con la propria testa, senza un solo
pensiero unico e collettivo.
Ho sempre creduto che tutti se ne fottano di ciò che accade attorno sinchè
non viene intaccato il proprio orticello, fino a quando il cane del vicino non
ci piscia sulla staccionata. E' il personale a far del male.
A volte non bastano le restrizioni, a volte serve solo la sana prepotenza a
risvegliare l'indignazione.
Sai cosa c'è? Che secondo me Milano non è grigia e morta e che se voglio,
se vogliamo, fuori da queste cazzo di finestre, dalle nostre case chiuse
arriverà la primavera. Con lei torneranno la musica, i colori e poi ancora la
musica e i colori e allora forse potremo sentirci sicuri senza uomini in
divisa pronti a chiuderci in casa.
Sai cosa ti dico? Che forse è meglio smetterla di parlare, di fingerci pensatori
e iniziare a far qualcosa di utile non solo nel nostro orticello.
venerdì, marzo 04, 2011
Continuando a girare su stessi non si arriva mai allo stesso punto.
Gira e rigira non ce l'hanno tutti e i pochi che l'ottengono lottano e sudano
dietro a false illusioni. Conosco chi vuole star male solo per poterlo scrivere,
chi beve fino a star male solo per dare un senso alle sue serate. Chi per il
solo senso delle sue serate mette in gioco persino il proprio orto.
Chi odia, ama, odia e ama solo per poter dedicare poesie mai scritte che si
perdono dietro insulti a Dio e preghiere al barista di un bar periferico.
Perlomeno non troppo centrale, che non si veda troppo che si sta male.
La penombra in certe cose è importante. Fondamentale.
Il pensiero artistico è come le stagioni, dura il suo tempo e poi va via, per
ritornare al momento giusto, senza fretta. Lasciandosi alle spalle giorni su
giorni che sommati fanno mesi.
Mesi senza riuscire a scrivere la lista della spesa o un post-it di contorno,
senza riuscire a leggere poesie e pensare prose. Con tutto ciò che pensi che
brucia nel giro di pochi secondi, su un giro di note fatto di insicurezze
remote e parole che non vengono. Ma vanno.
Così, da un momento all'altro e senza avvisi.
A lungo andare tutti si credono artisti almeno una volta sola nella vita. Di
fronte alla poesia inutile alla propria inutile bella o nell' "ottimo" preso per
un disegno finto impressionista in terza media. Molto più raro che
qualcuno abbia ancora voglia di credersi operaio o contadino e sentirsi
chiamare proletario nell'era degli impiegati di concetto.
So di gente che passa ore a commentare l'operato altrui celandosi dietro
il volto trasandato dell'anonimato qualunquista. Altri ancora criticano o
fanno complimenti senza senso solo per non essere mai stati in grado
di esporre la propria pancia in pubblico. Quello che sta dentro la pancia.
Prendendo le distanze dalla dimensione delle ossa, ma continuando ad
amarne la materialità. Il virtuale è un virus che porta all'onanismo.
Il pensiero artistico è la vana considerazione dell'oggi, una collezione
di cazzate che qualcuno chiama contemporaneità.
E' il tentativo di seminare disastri per trarne grano per qualche mente,
come ha fatto capire De Andrè soltanto spargendo merda possiamo essere
sicuri che almeno il nostro giardino avrà qualche fiore. Ne basta anche solo
uno per la soddisfazione.
Il pensiero artistico non c'entra un cazzo con l'arte e l'utilità del caso.
Conosco gente che pur di scrivere due righe gira orgogliosa con la penna
sempre in tasca, cerca la frase giusta dietro il tram o all'angolo della strada,
nel solito bar o in un rigore calciato male. Altri ancora scalpitano sentendo
una canzone e lo sguardo ammirato a un bel culo è solo per la scia maliarda
della visione e non solo ammirazione. Poi c'è chi senza aver mai avuto un
solo pensiero artistico, si crede tale leggendo il pensiero di altri.
"Non so sciare, non so giocare a tennis, nuoto così così, ma ho il "senso della
frase" Andrea G. Pinketts
Il pensiero artistico fa il suo giro e a volte nemmeno torna indietro. Ma gira
e rigira, come le stagioni.
dietro a false illusioni. Conosco chi vuole star male solo per poterlo scrivere,
chi beve fino a star male solo per dare un senso alle sue serate. Chi per il
solo senso delle sue serate mette in gioco persino il proprio orto.
Chi odia, ama, odia e ama solo per poter dedicare poesie mai scritte che si
perdono dietro insulti a Dio e preghiere al barista di un bar periferico.
Perlomeno non troppo centrale, che non si veda troppo che si sta male.
La penombra in certe cose è importante. Fondamentale.
Il pensiero artistico è come le stagioni, dura il suo tempo e poi va via, per
ritornare al momento giusto, senza fretta. Lasciandosi alle spalle giorni su
giorni che sommati fanno mesi.
Mesi senza riuscire a scrivere la lista della spesa o un post-it di contorno,
senza riuscire a leggere poesie e pensare prose. Con tutto ciò che pensi che
brucia nel giro di pochi secondi, su un giro di note fatto di insicurezze
remote e parole che non vengono. Ma vanno.
Così, da un momento all'altro e senza avvisi.
A lungo andare tutti si credono artisti almeno una volta sola nella vita. Di
fronte alla poesia inutile alla propria inutile bella o nell' "ottimo" preso per
un disegno finto impressionista in terza media. Molto più raro che
qualcuno abbia ancora voglia di credersi operaio o contadino e sentirsi
chiamare proletario nell'era degli impiegati di concetto.
So di gente che passa ore a commentare l'operato altrui celandosi dietro
il volto trasandato dell'anonimato qualunquista. Altri ancora criticano o
fanno complimenti senza senso solo per non essere mai stati in grado
di esporre la propria pancia in pubblico. Quello che sta dentro la pancia.
Prendendo le distanze dalla dimensione delle ossa, ma continuando ad
amarne la materialità. Il virtuale è un virus che porta all'onanismo.
Il pensiero artistico è la vana considerazione dell'oggi, una collezione
di cazzate che qualcuno chiama contemporaneità.
E' il tentativo di seminare disastri per trarne grano per qualche mente,
come ha fatto capire De Andrè soltanto spargendo merda possiamo essere
sicuri che almeno il nostro giardino avrà qualche fiore. Ne basta anche solo
uno per la soddisfazione.
Il pensiero artistico non c'entra un cazzo con l'arte e l'utilità del caso.
Conosco gente che pur di scrivere due righe gira orgogliosa con la penna
sempre in tasca, cerca la frase giusta dietro il tram o all'angolo della strada,
nel solito bar o in un rigore calciato male. Altri ancora scalpitano sentendo
una canzone e lo sguardo ammirato a un bel culo è solo per la scia maliarda
della visione e non solo ammirazione. Poi c'è chi senza aver mai avuto un
solo pensiero artistico, si crede tale leggendo il pensiero di altri.
"Non so sciare, non so giocare a tennis, nuoto così così, ma ho il "senso della
frase" Andrea G. Pinketts
Il pensiero artistico fa il suo giro e a volte nemmeno torna indietro. Ma gira
e rigira, come le stagioni.
venerdì, febbraio 25, 2011
Bombe carta illudono il cielo.
Lancio in aria grappoli di illusioni e calici di vino, saranno solo brandelli di
carne rossa e sangue. Moriremo con amore.
Fermo l'orologio sull'orario che sarà, il punto giusto dell'ultimo secondo,
la certezza temporale della distruzione.
Destruttureremo insieme il Mondo se tu lo vorrai, facendo saltare la terra
in aria. E poi nel vento. E forse in acqua.
Piangeremo insieme i nostri morti. Piangeremo insieme i nuovi nati.
Sono il bombarolo, venuto al Mondo per la libertà.
Dispongo consigli fatti di fuoco e fiamme, democrazie di coriandoli e cotillon.
Immagina che la foto della tua faccia in questo istante sia quella della tua
tomba, qualche istante dopo. Somma gli istanti, fai un fermo immagine.
Poi immagina di fermarti, di non correre. Perdi anche l'ultimo autobus e vai
a piedi. Anche se la strada anzichè piana fosse in salita, sino a scalare con
ogni singolo passo un muro indifferente.
Per poi farlo saltare in aria con durezza e futilità.
Sono il bombarolo, venuto al Mondo per l'amore.
Le marce popolari e i popoli in marcia. Migranti. Opposti a qualche idolo che
credo nella fermezza. Costantemente attento nel delirio del desiderio.
Pornografia nel pensiero del clero. Ci lasceremo morire stremati dal sogno.
Sarà più bello lasciarsi andare piangendo, in fiumi di cristallo che cadranno
in mille pezzi. Piccoli e taglienti.
Sono il bombarolo, venuto al Mondo per far volare le coscienze.
Fissa bene il monitor, può esser l'ultima immagine.
carne rossa e sangue. Moriremo con amore.
Fermo l'orologio sull'orario che sarà, il punto giusto dell'ultimo secondo,
la certezza temporale della distruzione.
Destruttureremo insieme il Mondo se tu lo vorrai, facendo saltare la terra
in aria. E poi nel vento. E forse in acqua.
Piangeremo insieme i nostri morti. Piangeremo insieme i nuovi nati.
Sono il bombarolo, venuto al Mondo per la libertà.
Dispongo consigli fatti di fuoco e fiamme, democrazie di coriandoli e cotillon.
Immagina che la foto della tua faccia in questo istante sia quella della tua
tomba, qualche istante dopo. Somma gli istanti, fai un fermo immagine.
Poi immagina di fermarti, di non correre. Perdi anche l'ultimo autobus e vai
a piedi. Anche se la strada anzichè piana fosse in salita, sino a scalare con
ogni singolo passo un muro indifferente.
Per poi farlo saltare in aria con durezza e futilità.
Sono il bombarolo, venuto al Mondo per l'amore.
Le marce popolari e i popoli in marcia. Migranti. Opposti a qualche idolo che
credo nella fermezza. Costantemente attento nel delirio del desiderio.
Pornografia nel pensiero del clero. Ci lasceremo morire stremati dal sogno.
Sarà più bello lasciarsi andare piangendo, in fiumi di cristallo che cadranno
in mille pezzi. Piccoli e taglienti.
Sono il bombarolo, venuto al Mondo per far volare le coscienze.
Fissa bene il monitor, può esser l'ultima immagine.
giovedì, febbraio 10, 2011
Un post da divano. Stanco.
Dentro il divano col mondo fuori, il soffitto in testa e puzza di piedi a pochi
passi da te. Scarpe usate con cui ho perso i passi fatti sui passi di chi già
ci aveva camminato sopra. Alla fine si finisce sempre con il culo per terra
per la gioia, per la contentezza. Sentirsi sempre sconfitti è molto meglio che
vincere qualche partita senza senso.
Perchè alla fine ci si ricorderà solo dei primi e di chi non ha mai vinto.
Sporchi, sudati, belli e mal odoranti.
Un pensiero promozionale che definisce il confine tra il divano e il resto della
casa, filo diretto con il bagno. Bisogno primari, sogni lontani.
Starei seduto tutto il giorno con le chiappe al vento su quel trono in ceramica
e plastica, senza pensare, fissando un muro. Senza mangiare, dimagrendo.
In certi contesti non c'è niente di necessario e tutto è dovuto, persino la
possibilità di esser sconfitti resta arenata.
Invertendo la tendenza nell'ubriacarsi da soli, con il divano e qualche vecchio
pensiero preso in saldo e ormai in scadenza. Nella testa un grande mare, un
piccolo inverno, un temporale.
Il lampo viene e poi va via, che spaventa gli uccelli.
Venire senza godere nel rispetto del nostro odore, del sudore. Lacrime di
sconfitte scese da occhi persi nel vuoto. C'è sempre qualcosa di peggio
rispetto al proprio caso. E' la casistica del peggio.
Tempo perso a capire perchè ci sono incontri inaspettati e sorrisi stampati
in faccia a schiaffi, perchè si pensa che sorridere porti bene.
Serenità, chi vivrà vedrà e chi no forse farà un salto nel vuoto, pensato,
goduto, voluto. Onanismi di getto, un getto pensato.
Perchè perdere ha un senso nel dar valore alla vittoria.
C'è chi gode con le coppe, medaglie e soldi e chi invece prova gusto nel far
tutto senza senso, pagando a caro prezzo il proprio peso.
Il peso dell'insuccesso.
Come quello che ho detto qui. Niente. Un niente che però hai letto, forse
perdendo tempo, forse no.
Ma devi ammetterlo, se non ti è piaciuto ho vinto io.
passi da te. Scarpe usate con cui ho perso i passi fatti sui passi di chi già
ci aveva camminato sopra. Alla fine si finisce sempre con il culo per terra
per la gioia, per la contentezza. Sentirsi sempre sconfitti è molto meglio che
vincere qualche partita senza senso.
Perchè alla fine ci si ricorderà solo dei primi e di chi non ha mai vinto.
Sporchi, sudati, belli e mal odoranti.
Un pensiero promozionale che definisce il confine tra il divano e il resto della
casa, filo diretto con il bagno. Bisogno primari, sogni lontani.
Starei seduto tutto il giorno con le chiappe al vento su quel trono in ceramica
e plastica, senza pensare, fissando un muro. Senza mangiare, dimagrendo.
In certi contesti non c'è niente di necessario e tutto è dovuto, persino la
possibilità di esser sconfitti resta arenata.
Invertendo la tendenza nell'ubriacarsi da soli, con il divano e qualche vecchio
pensiero preso in saldo e ormai in scadenza. Nella testa un grande mare, un
piccolo inverno, un temporale.
Il lampo viene e poi va via, che spaventa gli uccelli.
Venire senza godere nel rispetto del nostro odore, del sudore. Lacrime di
sconfitte scese da occhi persi nel vuoto. C'è sempre qualcosa di peggio
rispetto al proprio caso. E' la casistica del peggio.
Tempo perso a capire perchè ci sono incontri inaspettati e sorrisi stampati
in faccia a schiaffi, perchè si pensa che sorridere porti bene.
Serenità, chi vivrà vedrà e chi no forse farà un salto nel vuoto, pensato,
goduto, voluto. Onanismi di getto, un getto pensato.
Perchè perdere ha un senso nel dar valore alla vittoria.
C'è chi gode con le coppe, medaglie e soldi e chi invece prova gusto nel far
tutto senza senso, pagando a caro prezzo il proprio peso.
Il peso dell'insuccesso.
Come quello che ho detto qui. Niente. Un niente che però hai letto, forse
perdendo tempo, forse no.
Ma devi ammetterlo, se non ti è piaciuto ho vinto io.
venerdì, febbraio 04, 2011
Cartolina da un paese in rivolta
Cartolina dalla parte sbagliata della barricata spedita da una mano mozzata di un corpo che grida di fame e vendetta.
Arrampicato dietro alla barricata del nome improprio della libertà, Democrazia, spingo nel vento una foto di un gruppo di giovani con uno straccio verde al braccio. Non riconoscerai in loro nati nel bresciano, varesotti bigotti o pezzi di veneto andato a male. E' un verde diverso.
E' un esercito di speranza contro l'oppressione. La cartolina è sporca di sangue, ha un alone giallo dato da lacrime e saliva, ha l'odore del sudore.
Quello che molti chiamano puzza e noi chiamiamo "il profumo della fatica".
La cartolina dice "saluti da" un posto lontano, che non esiste o non immagini, a poche ore di volo dal divano di casa.
Un fiume incolore che grida dal basso per fame, per amore e mancanza di lavoro. Forse solo perchè è finita l'acqua per bagnare il proprio orticello. Quello che oggi non ti fa scendere in piazza a protestare, ma ti tiene impegnati i fine settimana e ti permette di girarti dall'altra parte quando l'indignazione è troppa e troppo forte è la paura di cambiare.
Cartoline senza mare, solo polvere e saliva. Dai paesi "arretrati" dove è nata la cultura bagnati dallo stesso mare della tua infanzia, coi bambini che gettano le pietre insieme a vecchi e donne in lacrime. A volte la sola cosa che riusciamo a fare è ridere. Credendo di essere nel giusto, protetti da Dio.
Ma anche al tempo di Dio ci si masturbava senza perdere la vista e il suo corpo divenne pane per la speranza di pochi. Ma senza religioni e senza dei pagani le cartoline viaggiano con foto, con video, con la rete e i suoi diversi colori.
Ora sono verdi, ora non ne hanno, mentre il grigio sta colorando i miei capelli e domani potrei non alzarmi dal mio letto.
Dove un proiettile solo a volte riduce i tempi per le conseguenze del quotidiano, fame e sporco, disoccupazione e ignoranza.
Prendo in mano una cartolina da un paese che conosco, l'immagine sta cambiando, ma non in bene. Si alza la polvere, crescono le grida, ma tutto è come congelato. Fermo immagine da un paese in crisi. L'unica cosa che non cambia sono gli orticelli che abbiamo in casa e non vogliamo cambiare. Promozione onanistica dello stare bene.
Cartoline da un paese in rivolta, cartoline dalla speranza.
Arrampicato dietro alla barricata del nome improprio della libertà, Democrazia, spingo nel vento una foto di un gruppo di giovani con uno straccio verde al braccio. Non riconoscerai in loro nati nel bresciano, varesotti bigotti o pezzi di veneto andato a male. E' un verde diverso.
E' un esercito di speranza contro l'oppressione. La cartolina è sporca di sangue, ha un alone giallo dato da lacrime e saliva, ha l'odore del sudore.
Quello che molti chiamano puzza e noi chiamiamo "il profumo della fatica".
La cartolina dice "saluti da" un posto lontano, che non esiste o non immagini, a poche ore di volo dal divano di casa.
Un fiume incolore che grida dal basso per fame, per amore e mancanza di lavoro. Forse solo perchè è finita l'acqua per bagnare il proprio orticello. Quello che oggi non ti fa scendere in piazza a protestare, ma ti tiene impegnati i fine settimana e ti permette di girarti dall'altra parte quando l'indignazione è troppa e troppo forte è la paura di cambiare.
Cartoline senza mare, solo polvere e saliva. Dai paesi "arretrati" dove è nata la cultura bagnati dallo stesso mare della tua infanzia, coi bambini che gettano le pietre insieme a vecchi e donne in lacrime. A volte la sola cosa che riusciamo a fare è ridere. Credendo di essere nel giusto, protetti da Dio.
Ma anche al tempo di Dio ci si masturbava senza perdere la vista e il suo corpo divenne pane per la speranza di pochi. Ma senza religioni e senza dei pagani le cartoline viaggiano con foto, con video, con la rete e i suoi diversi colori.
Ora sono verdi, ora non ne hanno, mentre il grigio sta colorando i miei capelli e domani potrei non alzarmi dal mio letto.
Dove un proiettile solo a volte riduce i tempi per le conseguenze del quotidiano, fame e sporco, disoccupazione e ignoranza.
Prendo in mano una cartolina da un paese che conosco, l'immagine sta cambiando, ma non in bene. Si alza la polvere, crescono le grida, ma tutto è come congelato. Fermo immagine da un paese in crisi. L'unica cosa che non cambia sono gli orticelli che abbiamo in casa e non vogliamo cambiare. Promozione onanistica dello stare bene.
Cartoline da un paese in rivolta, cartoline dalla speranza.
lunedì, gennaio 24, 2011
La voce narrante
C'eran quelli cui non interessava sapere come andavano a finire le storie che venivan raccontate.
Poi c'eran quelli che rimanevano incollati alle labbra di chi raccontava per avere una base da cui far partire il sogno della notte che stava arrivando.
Tra loro si sedevano quelli che dormivano, quelli che pensavano che disegnando alberi e casette con il sole un domani sarebbero diventati degli artisti.
Un paio avevano il vizio di stare attenti senza capire nemmeno dove si andava a finire.
Erano quelli sempre attenti e vestiti bene, che si innamoravano dei vincenti e di quelli che andavan di moda.
In mezzo a tutti questi, chi rimaneva incollato alle labbra della voce narrante era visto come un perdente, perchè non aveva un colore o uno schema di gioco, ma era soggetto alla fantasia e oggetto del colore. Anche se nei loro sogni c'era la luce e non riuscivano a disegnarla.
Poi si passavano in rassegna tutte le facce, tutti i corpi, provando a giustificare le ansie e le paure, ma sopratutto esaltandone le gioie, provando a trovare il senso in ciò che era fuori dalle loro menti. Perchè il contatto tra il Mondo esterno e quello della nostra mente passa dalle orecchie, come la voce narrante di ogni storia che viene raccontata.
Il frutto naturale di banalissimi ricordi mischiati a volti noti e a corpi conosciuti senza moralismo.
Senza stagioni passate sdraiato su un letto di foglie appena cadute, in riva al mare. Al chiuso di una stanza con poche finestre e i disegni dei bambini appesi al vetro.
I soli disegnati su quei fogli di carta oscuravano i raggi di quello vero, con la finzione a far da scudo alla nostra immaginazione.
La voce narrante ci diceva cosa avremmo sognato quella notte, dove anche gli incubi più brutti diventano il ricordo della banalità e la mia mano non era sola ma guidata da una voce scura, in lontananza.
Poi c'eran quelli che rimanevano incollati alle labbra di chi raccontava per avere una base da cui far partire il sogno della notte che stava arrivando.
Tra loro si sedevano quelli che dormivano, quelli che pensavano che disegnando alberi e casette con il sole un domani sarebbero diventati degli artisti.
Un paio avevano il vizio di stare attenti senza capire nemmeno dove si andava a finire.
Erano quelli sempre attenti e vestiti bene, che si innamoravano dei vincenti e di quelli che andavan di moda.
In mezzo a tutti questi, chi rimaneva incollato alle labbra della voce narrante era visto come un perdente, perchè non aveva un colore o uno schema di gioco, ma era soggetto alla fantasia e oggetto del colore. Anche se nei loro sogni c'era la luce e non riuscivano a disegnarla.
Poi si passavano in rassegna tutte le facce, tutti i corpi, provando a giustificare le ansie e le paure, ma sopratutto esaltandone le gioie, provando a trovare il senso in ciò che era fuori dalle loro menti. Perchè il contatto tra il Mondo esterno e quello della nostra mente passa dalle orecchie, come la voce narrante di ogni storia che viene raccontata.
Il frutto naturale di banalissimi ricordi mischiati a volti noti e a corpi conosciuti senza moralismo.
Senza stagioni passate sdraiato su un letto di foglie appena cadute, in riva al mare. Al chiuso di una stanza con poche finestre e i disegni dei bambini appesi al vetro.
I soli disegnati su quei fogli di carta oscuravano i raggi di quello vero, con la finzione a far da scudo alla nostra immaginazione.
La voce narrante ci diceva cosa avremmo sognato quella notte, dove anche gli incubi più brutti diventano il ricordo della banalità e la mia mano non era sola ma guidata da una voce scura, in lontananza.
martedì, gennaio 11, 2011
Il lieto fine è un favola
Il re è malato, la regina è nuda e la principessa è troppo piccola per il regno.
Ultima notizia a breve giro di posta, stiamo attenti, anche perchè la notte è appena terminata e di prima mattina si è più deboli.
Più facilmente colpibili, fuori dalle lenzuola, con il sogno ancora impresso in mente e le mani intorpidite, i piedi doloranti e la schiena contorta.
"Erezione" dice il cervello confuso, come una spada eretta a protezione delle proprie quattro convinzioni. Mentre fuori c'è il sole e piove, tutto nelle stesso tempo.
Come il sangue che sgorga dalle tue ferite insieme a parole non dette e concetti inespressi. Pulisco col disinfettante, che lascia odore di pulito come quando esce il sole dopo la pioggia, senza nascondere ciò che era successo.
Ma mi ripeto.
Il re sta molto male, la regina si sta masturbando e la principessa non può crescere troppo in fretta. E' un suo diritto.
Anche se la giornata prosegue, l'attenzione si alza e si abbassa lasciando poche sorprese al caso, terrorizzando ogni minima espressione di gioia.
Ridere può far male al re, ridere non lascia speranze aperte ma offusca le menti.
"Colpiscimi bene, prendimi bene" grida la tua mente per essere fatta fuori per il torpore delle cose che si inseguono senza un senso, senza lasciare al tatto un qualcosa che possa essere ricordato. Come le pareti bianche e le pagine scritte senza senso.
Lasciando che il freddo possa entrarci dentro e colmare i vuoti. Strutturali. Di coscienza. Di colore.
Pensando che non ci siano giorni buoni, giornate giuste, momenti da ricordare.
Scambiando i propri umori con odori e organi preconfezionati, come le porzioni per il pranzo consumato insieme e finito allo stesso modo. Senza parole.
Il re è quasi morto, la regina urla e si masturba e la principessa ha le mani sporche di cioccolato. E' arrivato il principe che piange a dirotto e non sa che fare.
Arrivano da altre parti del mondo le cose che sono diverse. Per pelle. Per lingua. Per odore.
Arrivano da altri sogni tutti gli incubi che colpisci a bottigliate e vuoi scomporre in tante piccole note musicale, con cui musicare una marcia non necessariamente funebre.
Attento che poi cade il cielo che una volta era alto e azzurro, ma poi è arrivata la notte e si sono accese le luci. Però adesso qualcuno le ha spente di nuovo. Per sempre.
Comincia a fare freddo anche dentro, forse meglio chiudersi bene e non far passare gli spifferi.
Penseremo poi a cosa dire fuori, cosa utilizzare, senza prendere precauzioni e bucando tutti i preservativi. Parleremo di come siamo fatti dentro come se fossimo una città, ma soltanto dopo il coprifuoco.
Ora no, perchè è tutto vero.
Il re è morto, la regina gode e la principessa è andata via. Il principe sta piangendo sopra una sedia mentre con una corda gioca a fare dei nodi strani.
Il lieto fine è favola a metà.
Ultima notizia a breve giro di posta, stiamo attenti, anche perchè la notte è appena terminata e di prima mattina si è più deboli.
Più facilmente colpibili, fuori dalle lenzuola, con il sogno ancora impresso in mente e le mani intorpidite, i piedi doloranti e la schiena contorta.
"Erezione" dice il cervello confuso, come una spada eretta a protezione delle proprie quattro convinzioni. Mentre fuori c'è il sole e piove, tutto nelle stesso tempo.
Come il sangue che sgorga dalle tue ferite insieme a parole non dette e concetti inespressi. Pulisco col disinfettante, che lascia odore di pulito come quando esce il sole dopo la pioggia, senza nascondere ciò che era successo.
Ma mi ripeto.
Il re sta molto male, la regina si sta masturbando e la principessa non può crescere troppo in fretta. E' un suo diritto.
Anche se la giornata prosegue, l'attenzione si alza e si abbassa lasciando poche sorprese al caso, terrorizzando ogni minima espressione di gioia.
Ridere può far male al re, ridere non lascia speranze aperte ma offusca le menti.
"Colpiscimi bene, prendimi bene" grida la tua mente per essere fatta fuori per il torpore delle cose che si inseguono senza un senso, senza lasciare al tatto un qualcosa che possa essere ricordato. Come le pareti bianche e le pagine scritte senza senso.
Lasciando che il freddo possa entrarci dentro e colmare i vuoti. Strutturali. Di coscienza. Di colore.
Pensando che non ci siano giorni buoni, giornate giuste, momenti da ricordare.
Scambiando i propri umori con odori e organi preconfezionati, come le porzioni per il pranzo consumato insieme e finito allo stesso modo. Senza parole.
Il re è quasi morto, la regina urla e si masturba e la principessa ha le mani sporche di cioccolato. E' arrivato il principe che piange a dirotto e non sa che fare.
Arrivano da altre parti del mondo le cose che sono diverse. Per pelle. Per lingua. Per odore.
Arrivano da altri sogni tutti gli incubi che colpisci a bottigliate e vuoi scomporre in tante piccole note musicale, con cui musicare una marcia non necessariamente funebre.
Attento che poi cade il cielo che una volta era alto e azzurro, ma poi è arrivata la notte e si sono accese le luci. Però adesso qualcuno le ha spente di nuovo. Per sempre.
Comincia a fare freddo anche dentro, forse meglio chiudersi bene e non far passare gli spifferi.
Penseremo poi a cosa dire fuori, cosa utilizzare, senza prendere precauzioni e bucando tutti i preservativi. Parleremo di come siamo fatti dentro come se fossimo una città, ma soltanto dopo il coprifuoco.
Ora no, perchè è tutto vero.
Il re è morto, la regina gode e la principessa è andata via. Il principe sta piangendo sopra una sedia mentre con una corda gioca a fare dei nodi strani.
Il lieto fine è favola a metà.
sabato, gennaio 08, 2011
Morsi e pianti
Quando non sai cosa scrivere perchè stai pensando a come pasticciare altri fogli bianchi con altre parole che poi serviranno soltanto per il fuoco una volta stampate o per farti ridere dietro da chi non ha il coraggio per riderti in faccia.
Ma in fondo una volta un saggio disse una cosa che poi ripresero in molti e poi altri ancora ci hanno costruito sopra storie film canzoni e messaggini per le fidanzate.
Se ti guardi indietro non guarderai ciò che hai fatto ma penserai a ciò che non hai fatto e allora io provo a scrivere altro anche se credo che questa cosa abbia poca rilevanza e nemmeno con una balistica illusoria potrà far ragionare qualcuno però io quando sfogliando un giornale ho letto questo mi sono messo a pensare.
Vero è che sembra esser meglio il piangere per un qualcosa che si è tentato anzichè aver rimorsi di non aver fatto ma in fondo che problema è e sopratutto perchè pensarci ora che magari tra venti o trent'anni non ci si arriva e poi in fondo già oggi non mi ricordo delle cose che non ho fatto un paio di anni fa.
Per questo mi sono detto che un riempitivo scritto in due minuti come questo potesse almeno ridar vigore a una fase di stallo e che la punteggiatura mi potesse toglier tempo e non vorrei mai tra dieci anni aver rimorsi per quei secondi persi per una corretta punteggiatura e allora viva il punto che termina spesso i discorisi ma che quando viene ripetuto tre volte lascia aperti scenari allusioni e messaggi sottintesi che nutrono la fantasia e aprono la mente quando invece un punto chiude tutto.
Già però come è difficile farsi capire.
Ma in fondo una volta un saggio disse una cosa che poi ripresero in molti e poi altri ancora ci hanno costruito sopra storie film canzoni e messaggini per le fidanzate.
Se ti guardi indietro non guarderai ciò che hai fatto ma penserai a ciò che non hai fatto e allora io provo a scrivere altro anche se credo che questa cosa abbia poca rilevanza e nemmeno con una balistica illusoria potrà far ragionare qualcuno però io quando sfogliando un giornale ho letto questo mi sono messo a pensare.
Vero è che sembra esser meglio il piangere per un qualcosa che si è tentato anzichè aver rimorsi di non aver fatto ma in fondo che problema è e sopratutto perchè pensarci ora che magari tra venti o trent'anni non ci si arriva e poi in fondo già oggi non mi ricordo delle cose che non ho fatto un paio di anni fa.
Per questo mi sono detto che un riempitivo scritto in due minuti come questo potesse almeno ridar vigore a una fase di stallo e che la punteggiatura mi potesse toglier tempo e non vorrei mai tra dieci anni aver rimorsi per quei secondi persi per una corretta punteggiatura e allora viva il punto che termina spesso i discorisi ma che quando viene ripetuto tre volte lascia aperti scenari allusioni e messaggi sottintesi che nutrono la fantasia e aprono la mente quando invece un punto chiude tutto.
Già però come è difficile farsi capire.
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