current adventure: "How to be a Grown Up"

current adventure: "How to be a Grown Up"
description: jack si avventura nella giungla metropolitana; chi può sapere a cosa va incontro?
goal: capire cosa fare della propria vita
status: in corso

giovedì 24 luglio 2014

cambio d'abito

ci si sveglia tutti i giorni alle sette e mezza (anche durante i weekend, dopo un po': la chiamano sveglia biologica, aka abitudine). ci si veste: non come capita, naturalmente. una panoramica dal basso verso l'alto rivela scarpe da ufficio (che nascondono verosimilmente calze da ufficio, ma non è detto, si potrebbe per protesta, per clandestina anarchia indossare calzini spaiati e bucati, o per necessità, con i calzini non si può mai essere sicuri), completo da ufficio oppure, nei giorni tranquilli, uno spezzato o addirittura jeans (puliti!) di venerdì, camicia o maglioncino da ufficio, sciarpina contro la tirannia dell'aria condizionata, capelli tirati indietro, un velo di trucco, orecchini... e fuori, tactactac contro l'asfalto - spesso bagnato, di questi tempi.
colazione in ufficio, prime pagine dei giornali, il lusso di un inizio soft, e poi tactactac contro la tastiera, pranzo, tactactac, caffè, ancora un po' di tactactac, un paio d'ore di libertà, correre sulla ruota, mangiare, dormire.

nulla di tutto questo è particolarmente terribile, mentre si vive, ma scriverlo mette i brividi.
non si capisce.

comunque, ci si ritagliano ancora e sempre alcuni angoli di libertà. diventa sempre più faticoso (non difficile, ma faticoso, proprio nel senso di fare fatica) e l'ombra della pigrizia si fa sempre più minacciosa, ma si fa.

martedì 13 novembre 2012

sabato 27 ottobre 2012

acquarello di un ritorno



Quando l’autostrada, immersa nel piatto acquitrino padano, ti ispira pace e pensieri profondi, e la barriera di Agrate ti fa scodinzolare come un cane che senta il rumore dei pmeumatici del padrone sul vialetto di casa; quando il cielo grigio pallido e la nebbia che si appiccica ai capelli ti fanno sobbalzare il cuore di gioia; quando persino la pioggerellinna insistente e il freddo umido ti sembrano confortanti, mentre fanno brillare le luci del traffico del venerdì sera come un albero di Natale; allora, cara mia, fattene una ragione. Sei milanese; nel corpo e nell’anima.
Ma lo sapevi. Lo sapevi. L’avevi intuito, soprendendo te stessa sull’orlo di una crisi di aggressività, mentre osservavi il Peruano Lento muoversi alla moviola; già lo sospettavi, nel fastidio di fronte alla disorganizzazione del processo decisionale nel team dell’ACD. Lo sapevi anche prima di partire, ma non volevi ammetterlo, e tentavi di smussare gli angoli di questa dura verità con il classico “ma-Milano-ha-i-suoi-angoli-di-bellezza”, tipico di chi la ama incondizionatamente ma non sa perché.

Ora basta. L’amore non vuole ragioni. L’ami, e non c’è su questa Terra peccato più grave che rifiutare l’amore. L’ami come si può amare un uomo bello ma ispido e trascurato, con un brutto carattere, con tanti difetti e contraddizioni, ma in fondo affidabile e capace di preziosi momenti di dolcezza, un amore di grandi sofferenze ma anche di grande rispetto e passione.

venerdì 26 ottobre 2012

centosessantaquattresimo giorno di imbarco



Milano (con tutto il suo contenuto) mi è mancata tutti i centosessantaquattro giorni in cui sono stata per mare, ma tra gli amici, i divertimenti e il grande impegno lavorativo, sono quasi sempre riuscita a tenere la nostalgia sotto controllo. Gli ultimi giorni sono stati diversi. Da quando il mio cervello ha realizzato che lo stavo riportando a casa, come un fiume che rompe una diga, immagini della mia città e delle persone che amo hanno cominciato a riversarsi davanti al mio sguardo; in modo che i miei occhi fisicamente trasmettessero al mio sistema nervoso le immagini degli interni della nave, ma il messaggio giungeva mixato con gli input provenienti dagli occhi dell’anima, come quando in TV mettono un numero di telefono in sovraimpressione.
In questo stato confusionale, aggravato dall’emozione degli ultimi abbracci, sono giunta al termine del mio viaggio.

In foto potete vedere l’enorme mole del bagaglio che mi riporto a casa, ma è nulla a confronto di quello che mi porto dentro!

Non so come ringraziarvi.
La vostra presenza famigliare e partecipe mi ha dato un grande conforto nei momenti difficili. Non solo: ha dato consistenza alle mie parole e ha permesso che un semplice racconto (che in fondo non è altro che una serie di caratteri allineati uno dopo l’altro) diventasse un reale veicolo di comunicazione, creatore di esperienza: proprio qui, a volte in pubblico, altre in privato (come nella vita reale) sono nate discussioni, pensieri, ci siamo scambiati affetto ed emozioni.
Il blog non è nulla; non è un vero diario di carta da passare ai nipoti, non è un libro, non è un bar dove chiaccherare davanti a un bicchiere di vino profumato; è solo una manciata di bits. Eppure, raccontarvi ed essere letta è stata un’esperienza altrettanto ricca e reale della nave.
Per questo vi ringrazio e non vi dimenticherò!

Domani ritorno.
Il blog non chiude (è aperto da quasi 6 anni), ma, come altre volte in passato, cambierà. Non so cosa mi riservi il futuro, ma spero di avervi ancora con me per la prossima avventura, grande o piccola che sia.




domenica 21 ottobre 2012

centocinquantanovesimo giorno di imbarco: "il mondo, in fondo, è lo stesso dovunque. Sono gli uomini che lo abitano a renderlo diverso"



Sto leggendo un libro che parla di un manipolo di marinai dell’antica Grecia. Partiti con la loro flotta da Troia in fiamme, volgono le prue verso casa per scoprire che non ne è rimasto più nulla; ovvero, le pietre, le strade e i palazzi sono ancora al loro posto, ma dopo 10 anni di lontananza, le loro mogli si sono trovate degli amanti, i loro genitori sono morti, i loro fratelli e gli amici periti in battaglia o dispersi in mare, insomma, più nulla appartiene loro, e loro non appartengono più a nulla. Allora proseguono il viaggio verso nuovi lidi e approdano – dopo varie disavventure – nella pianura Padana.

Mentre la Luminosa si allontana dal porto di Ajaccio, osservo le luci della città svanire lentamente inghiottite dalla notte. Penso a come potrei descrivervi la scena sorprendente che si apre davanti al mio sguardo: sorprendente perché la luce non si affievolisce gradualmente, come si aspettano i miei occhi; no, forma invece una specie di bolla luminosa che contiene la città, una bolla dai contorni piuttosto netti - come la corona intorno alla fiamma di una candela (molto più grande, naturalmente). Una nave, o è dentro alla bolla, o è fuori: per le luci del porto non esiste il crepuscolo. Il buio è una bestia incredibile che sembra divorare tutto, inghiottire tutto, con una profondità che toglie il fiato e che la luce artificiale non è in grado di tenere lontano, se non per un brevissimo tratto e – come una legione che difende una fortezza da un assedio – a costo di grandi sforzi. Ed è strano, perché le luci della città si vedono a grande distanza, eppure, poiché non hanno nulla su cui posarsi, non illuminano nulla: ed ecco il buio.
Io sono al sicuro, ho un posto dove tornare, e posso godermi questo spettacolo bello e terribile fino all’ora di andare a nanna. Penso a come devono essersi sentiti i marinai dell’antichità mentre lasciavano la “bolla di luce” del porto di turno per avventurarsi in mare aperto, con la pancia della nave che scivola pesantemente verso lo stomaco infinito della notte.

Sul fronte vita quotidiana, non ci sono grandi novità. Col mio sostituto va abbastanza bene, anche se segue ritmi di lavoro sudamericani (è peruviano); non so come potrà cavarsela nella frenesia delle mini crociere e del crossing transatlantico che lo aspetta, ma magari ha i suoi metodi, che io ancora non comprendo.
Ricevo molti meno regali, e non ho più ricevuto lettere d’amore, da quando è imbarcata la nuova hostess olandese, una stangona biondissima e gnocchissima che non lesina sull’ondeggiamento di ciglia e che ha incantato ricchi e poveri. Gli uomini le ronzano intorno come mosche al miele, letteralmente, dovunque lei si sposti è seguita da una scia di ammiratori che la raggiungono con un moto più o meno elastico e le aprono tutte le porte della nave, sperando di poterle aprire quelle delle loro cabine. Un paio di miei amici hanno passato diverse ore nel mio ufficio a parlarmi di lei e mi hanno investito della funzione di corriere per recapitare fiori e biglietti. Trovo tutto ciò divertente e irritante al tempo stesso. Il mio ego sgomita messo da parte, e le mie manie di protagonismo si indispettiscono a recapitare complimenti all’indirizzo altrui; ciononostante, lei è forte, onesta, simpatica, e – bisogna ammetterlo – bella che è un piacere guardarla, e questa situazione ha contribuito a stringere per me alcuni legami di complicità molto piacevoli. Due sono le cose che mi domando: come mai questo tipo di donna sembri innamorarsi sempre degli uomini sbagliati, e come sia possibile che gli uomini che le fanno la corte (almeno la maggior parte di loro) non abbiano alcun contatto con la realtà. Non per fare del classismo estetico, Quasimodo può certamente conquistare Esmeralda; ma prima deve salvarle la vita e sgominare un complotto nazionale (e anche allora, ci sono buone probabilità che la ragazza scelga comunque il bellone). Non è che le situazioni eroiche crescano sugli alberi...

venerdì 19 ottobre 2012

centocinquantasettesimo giorno di imbarco



Oggi è imbarcato il DTP che dovrà sostituirmi.
Raramente sono stata più felice di vedere qualcuno. Lui sa. E lo ha dimostrato ha pronunciando le parole segrete dell’Ordine dei Cavalieri Della Tipografia, cioè:

“Solo un DTP capisce un altro DTP”.

Il mio imbarco è ormai agli sgoccioli (metaforicamente; qui non è certo l’acqua a mancare).

La mia mente è talmente satura da non riuscire a cullare un pensiero che valga la pena di essere scritto, per un tempo sufficiente perché io mi accorga della sua esistenza.
Il blog e i suoi lettori mi mancano molto, ma dopo 12 ore di tap-tap-tap le mie dita si rifiutano di obbedire e le uniche posizioni che desiderano assumere sono quelle che le vedono strette attorno ad un bicchiere di vino, delicatamente appoggiate al filtro di una sigaretta, o meglio abbandonate mollemente al loro destino sul bordo del letto.

lunedì 8 ottobre 2012

centoquarantaseiesimo giorno di imbarco - pagine di diario sparse e svolazzanti



2 ottobre
Non ho proprio voglia di scrivere. Mi sto costringendo a forza a non spegnere il pc e aprire, invece, il libro che mi ammicca malizioso dal centro del letto e che tengo sotto controllo con la coda dell’occhio, perché non scappi. In questi giorni di bufera, i pochi minuti che riesco a leggere prima di andare a dormire sono come una promessa, un premio che allevia le mie fatiche trasportandomi lontano dai corridoi di ferro e dal rumore delle fotostampatrici, dalla nostalgia e dalla solitudine.

Il 95% dei miei amici è sbarcato, mettendo a nudo una consapevolezza che da tempo maturava ma che, nascosta dalle risate, dalle feste, dalle città sorprendenti che ho visitato e dagli affetti di cui mi sono circondata, non aveva trovato spazio per affiorare in superficie. Questa vita non fa per me.

Ora che Eva è tornata a casa, sto lavorando letteralmente per due persone: mi sono stabilizzata tre le 14 e le 16 ore. Non ho il tempo per chiaccherare con i colleghi che passano: ogni secondo è prezioso, le scadenze sono serrate, l’errore è dietro l’angolo, le cose da ricordare sono tante e richiedono una concentrazione quasi al di sopra delle mie ridotte capacità mentali. Ah, la concentrazione non è mai stata il mio forte, ma non è che posso permettermi di farmi distrarre da una farfalla in volo o dalla nuova puntata della mia sit com preferita. Primo, perché farfalle non ce ne sono, secondo, perché ogni minuto perso significa limare ulteriormente il mio già breve periodo di riposo giornaliero. I crew party sono un lontano ricordo, e l’altro ieri uno dei miei amici di macchina è venuto a portarmi la merenda solo per controllare che non mi fossi persa tra le risme di carta, visto che il mio sgabello al crew bar è ormai ricoperto da uno spesso strato di polvere. E di visitare città, non se ne parla; sono 4 giorni che non vedo la luce del sole. Letteralmente. Ieri ho messo i piedi a terra nel porto di Ibiza per il tempo di una sigaretta. Il cielo era coperto e pioveva, ma mi bruciavano gli occhi per il riverbero della luce. Non ho nemmeno il tempo di salire al ponte aperto a guardare fuori. Oggi non mi sono nemmeno messa la divisa, ho lavorato in tuta tutto il giorno. Non oso immaginare quale spettacolo di abbrutimento offra la mia figura, mentre si aggira per i corridoi con gli occhi arrossati, parlando tra sè e sè, bianca come un cencio, ad eccezione delle profonde occhiaie a prova di fondotinta, con in mano fogli, telefoni e l’inseparabile thermos di caffè.

3 ottobre
Nonostante la pessima risoluzione, potete apprendere da
questo inequivocabile cartellone che è illegale non gettare
rifiuti fuori bordo.

Non è che il lavoro non mi piaccia. Ci sono alcune cose che non mi piacciono, come in ogni lavoro; ma in generale non è male e, mi stupisco persino io, la responsabilità e la pressione quasi mi divertono. Ci sono volte in cui rischio di farmi prendere dal panico, e comunque sono sempre in attesa del momento in cui farò una clamorosa cazzata, ma ho scoperto con grande sorpresa che mi piace prendere decisioni e metterci la faccia. Quando avevo Eva, era lei la responsabile. Questo rendeva tutto molto più leggero per me, ma in qualche modo anche mi bloccava. Non so quante volte le avrò chiesto le cose più minute, chiedevo l’autorizzazione per tutto, mentre ora, anche quando si presentano situazioni che non ho mai visto prima, mi muovo molto più velocemente e con serenità. Ora che sono io stessa responsabile delle mie azioni e delle mie decisioni, ho meno paura di fare errori; inoltre, il mio cervello accorre sempre in mio aiuto, quando la situazione si fa disperata; il resto del tempo tende a sonnecchiare.

4 ottobre
Oggi ho litigato con un Primo Ufficiale di Ponte.
Mi sto impuntando su alcune cose che, anche se non produrranno benefici a lungo termine (ormai non mi illudo di questo), mi mettono leggermente al riparo dai capricci altrui e mi concedono anche qualche soddisfazione. Lo schema è il seguente: per la stampa del Today e dei menu, mi devono arrivare delle informazioni; dichiaro la dead-line e avviso che, se non le ricevo, stampo senza. Non è sempre possibile, ma qualche volta sì. Lo chef, il ponte, i capi dipartimento, all’inizio non capiscono che faccio sul serio, quando dico loro di no. No, non si può ristampare; no, ormai è tardi; no, oggi non posso, domani. Pensano che insistendo otterranno quello che vogliono, e qualche volta è così, ma spesso, invece, finisco per spuntarla. Oggi ad esempio è venuto il Foto Manager a chiedermi dei biglietti da visita, nel bel mezzo della bufera del pomeriggio, quando ho tutte le hostess in ufficio e gli omini dell’Housekeeping e il Front Desk e l’ACD che chiama e lo Chef che mi scrive e Erodil che chiede se può stampare e Madame che viene per i flyers. Non se ne parla...

I più difficili da addomesticare sono gli Ufficiali di Ponte (ci sono quelli di Ponte, quelli di Hotel e quelli di Macchina, i terzi sono gente molto più simpatica, con la tuta piena di macchie di grasso, anche se non disdegnano l’occasionale sfruttamento della gerarchia di bordo per ottenere favori).

Sul Today devo pubblicare, tra le altre cose, un bollettino meteorologico; ma farsi arrivare le informazioni meteo sembra un’impresa disperata. Basterebbe che mi abilitassero la connessione internet, me le procurerei da sola; ma la compagnia preferisce la strada più complicata. Il problema è che la procedura non specifica chi debba mandarmele, e nessuno si vuole sobbarcare l’onere; così ogni giorno dovevo rincorrere Tizio o Caio e pregarli di farmi sapere che tempo farà domani.  Oggi, per l’ennesima volta, questa benedette informazioni non volevano arrivare. Per l’ennesima volta i candidati meteorologi mi hanno fatto telefonare ai loro concorrenti una decina di volte, scaricando il barile e scaricandolo, al colmo della pigrizia, per procura (cioè usando me come operatore telefonico). Alla fine mi sono stufata di fare da segretaria a tutti quanti e ho inoltrato un’email all’Hotel Director, al Cruise Director, all’IT Officer e al Ponte di Comando, specificando che Buon pomeriggio, non avevo ancora ricevuto le informazioni meteo. Non sapevo di chi fosse la competenza, ma non avevo il tempo di star dietro alle loro discussioni. Che si mettessero d’accordo e mi comunicassero la decisione; e che, se avevano intenzione di fornire ai passeggeri il servizio meteo, mi mandassero le informazioni entro le 5 del pomeriggio, o sarei andata in stampa con quelle vecchie. E per i giorni a seguire, sarebbero dovute pervenite entro le 10 del mattino, o niente. Grazie e buon pomeriggio.

5 minuti dopo mi chiama un tizio del Ponte, che senza presentarsi mi inveisce contro con una ramanzina sul mio inappropriato comportamento, che non era compito loro e che non mi permettessi mai più di minacciare il Ponte. Dopo avergli chiesto nome e cognome (M.S.D.V., Primo Ufficiale di Ponte), gli ho detto che mi rincresceva moltissimo se il mio comportamento l’aveva fatto sentire minacciato, ma che naturalmente non potevo fermare la stampa perchè mi mancava il meteo, e che, come lui, mi auguravo che questa situazione non dovesse più ripetersi. Con una minaccia degna del peggior mafiosetto di quartiere, M.S.D.V. mi ha ripetuto che “NO, MEGLIO PER TE CHE NON RICAPITI” e mi mette giù il telefono. Cantami o diva della pallida Irene l’ira funesta. Beh, per farla breve, il mio capo, l’Hotel Director (visibilmente sopreso di scoprire il mio lato guerrafondaio), ha telefonato capo di M.S.D.V.,cioè il Comandante, e il risultato è che adesso il Ponte mi manda il meteo alla fine di ogni crociera per quella dopo. Ahah.

8 ottobre
Se in condizioni normali sono una internetomane incapace di ignorare la posta elettronica per più di 4 ore di fila, da quando Eva è sbarcata il mio pc giace quasi dimenticato in un angolo dell’armadio. 5 minuti fa ho aperto la mia email per la prima volta da giorni e mi sono spaventata. Ci vorranno settimane per rispondere a tutti adeguatamente, specialmente visto che il mio corpo si rifiuta di restare a lungo davanti a un computer anche durante il tempo libero!
Devo ammettere che, però, la situazione migliora di giorno in giorno. Dalle 16 ore di lavoro quotidiano della prima settimana che ho passato da sola, ora mi sono stabilizzata su 10/12 ore. Ho ripreso ad uscire la sera – uscire, termine del vocabolario di bordo che indica l’azione di salire le scale che portano al crew bar – anche se la stagione dei crew party, per me, si può dichiarare conclusa! Esco soprattutto per contrastare la solitudine che mi accompagna da quando i miei compagnucci di merende mi hanno lasciata al mio triste destino: solo un DTP può capire i drammi di un altro DTP. Eva, se sei in ascolto sai di cosa parlo.

A parte questo, sono molto soddisfatta di come sto gestendo la situazione, per ora non c’è stato nessun problema e sto imparando a gestire il tempo in multitasking (so che non mi credi, ma è la verità!). Ieri ho avuto persino il tempo di mettermi lo smalto.