ci si sveglia tutti i giorni alle sette e mezza (anche durante i weekend, dopo un po': la chiamano sveglia biologica, aka abitudine). ci si veste: non come capita, naturalmente. una panoramica dal basso verso l'alto rivela scarpe da ufficio (che nascondono verosimilmente calze da ufficio, ma non è detto, si potrebbe per protesta, per clandestina anarchia indossare calzini spaiati e bucati, o per necessità, con i calzini non si può mai essere sicuri), completo da ufficio oppure, nei giorni tranquilli, uno spezzato o addirittura jeans (puliti!) di venerdì, camicia o maglioncino da ufficio, sciarpina contro la tirannia dell'aria condizionata, capelli tirati indietro, un velo di trucco, orecchini... e fuori, tactactac contro l'asfalto - spesso bagnato, di questi tempi.
colazione in ufficio, prime pagine dei giornali, il lusso di un inizio soft, e poi tactactac contro la tastiera, pranzo, tactactac, caffè, ancora un po' di tactactac, un paio d'ore di libertà, correre sulla ruota, mangiare, dormire.
nulla di tutto questo è particolarmente terribile, mentre si vive, ma scriverlo mette i brividi.
non si capisce.
comunque, ci si ritagliano ancora e sempre alcuni angoli di libertà. diventa sempre più faticoso (non difficile, ma faticoso, proprio nel senso di fare fatica) e l'ombra della pigrizia si fa sempre più minacciosa, ma si fa.
jack's blog
11/2/2007 - in corso
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per ricevere la newsletter scrivi a jackilpinguino@gmail.com
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current adventure: "How to be a Grown Up"
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description: jack si avventura nella giungla metropolitana; chi può sapere a cosa va incontro?
goal: capire cosa fare della propria vita
status: in corso
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giovedì 24 luglio 2014
martedì 13 novembre 2012
sabato 27 ottobre 2012
acquarello di un ritorno
Quando l’autostrada, immersa nel piatto acquitrino
padano, ti ispira pace e pensieri profondi, e la barriera di Agrate ti fa
scodinzolare come un cane che senta il rumore dei pmeumatici del padrone sul
vialetto di casa; quando il cielo grigio pallido e la nebbia che si appiccica
ai capelli ti fanno sobbalzare il cuore di gioia; quando persino la
pioggerellinna insistente e il freddo umido ti sembrano confortanti, mentre
fanno brillare le luci del traffico del venerdì sera come un albero di Natale; allora,
cara mia, fattene una ragione. Sei milanese; nel corpo e nell’anima.
Ma lo sapevi. Lo sapevi. L’avevi intuito, soprendendo te
stessa sull’orlo di una crisi di aggressività, mentre osservavi il Peruano Lento
muoversi alla moviola; già lo sospettavi, nel fastidio di fronte alla
disorganizzazione del processo decisionale nel team dell’ACD. Lo sapevi anche
prima di partire, ma non volevi ammetterlo, e tentavi di smussare gli angoli di
questa dura verità con il classico “ma-Milano-ha-i-suoi-angoli-di-bellezza”,
tipico di chi la ama incondizionatamente ma non sa perché.
Ora basta. L’amore non vuole ragioni. L’ami, e non c’è su
questa Terra peccato più grave che rifiutare l’amore. L’ami come si può amare
un uomo bello ma ispido e trascurato, con un brutto carattere, con tanti
difetti e contraddizioni, ma in fondo affidabile e capace di preziosi momenti
di dolcezza, un amore di grandi sofferenze ma anche di grande rispetto e passione.
venerdì 26 ottobre 2012
centosessantaquattresimo giorno di imbarco
Milano (con tutto il suo contenuto) mi è mancata tutti i
centosessantaquattro giorni in cui sono stata per mare, ma tra gli amici, i divertimenti e il
grande impegno lavorativo, sono quasi sempre riuscita a tenere la nostalgia
sotto controllo. Gli ultimi giorni sono stati diversi. Da quando il mio
cervello ha realizzato che lo stavo riportando a casa, come un fiume che rompe
una diga, immagini della mia città e delle persone che amo hanno cominciato a
riversarsi davanti al mio sguardo; in modo che i miei occhi fisicamente trasmettessero
al mio sistema nervoso le immagini degli interni della nave, ma il messaggio
giungeva mixato con gli input provenienti dagli occhi dell’anima, come quando
in TV mettono un numero di telefono in sovraimpressione.
In questo stato confusionale, aggravato dall’emozione degli
ultimi abbracci, sono giunta al termine del mio viaggio.
In foto potete vedere l’enorme mole del bagaglio che mi
riporto a casa, ma è nulla a confronto di quello che mi porto dentro!
Non so come ringraziarvi.
La vostra presenza famigliare e partecipe mi ha dato un
grande conforto nei momenti difficili. Non solo: ha dato consistenza alle mie
parole e ha permesso che un semplice racconto (che in fondo non è altro che una
serie di caratteri allineati uno dopo l’altro) diventasse un reale veicolo di
comunicazione, creatore di esperienza: proprio qui, a volte in pubblico, altre
in privato (come nella vita reale) sono nate discussioni, pensieri, ci siamo
scambiati affetto ed emozioni.
Il blog non è nulla; non è un vero diario di carta da
passare ai nipoti, non è un libro, non è un bar dove chiaccherare davanti a un
bicchiere di vino profumato; è solo una manciata di bits. Eppure, raccontarvi
ed essere letta è stata un’esperienza altrettanto ricca e reale della nave.
Per questo vi ringrazio e non vi dimenticherò!
Domani ritorno.
Il blog non chiude (è aperto da quasi 6 anni), ma, come altre
volte in passato, cambierà. Non so cosa mi riservi il futuro, ma spero di
avervi ancora con me per la prossima avventura, grande o piccola che sia.
domenica 21 ottobre 2012
centocinquantanovesimo giorno di imbarco: "il mondo, in fondo, è lo stesso dovunque. Sono gli uomini che lo abitano a renderlo diverso"
Sto leggendo un libro che parla di un manipolo di marinai
dell’antica Grecia. Partiti con la loro flotta da Troia in fiamme, volgono le
prue verso casa per scoprire che non ne è rimasto più nulla; ovvero, le pietre,
le strade e i palazzi sono ancora al loro posto, ma dopo 10 anni di lontananza,
le loro mogli si sono trovate degli amanti, i loro genitori sono morti, i loro
fratelli e gli amici periti in battaglia o dispersi in mare, insomma, più nulla
appartiene loro, e loro non appartengono più a nulla. Allora proseguono il
viaggio verso nuovi lidi e approdano – dopo varie disavventure – nella pianura
Padana.
Mentre la Luminosa si allontana dal porto di Ajaccio,
osservo le luci della città svanire lentamente inghiottite dalla notte. Penso a
come potrei descrivervi la scena sorprendente che si apre davanti al mio
sguardo: sorprendente perché la luce non si affievolisce gradualmente, come si
aspettano i miei occhi; no, forma invece una specie di bolla luminosa che
contiene la città, una bolla dai contorni piuttosto netti - come la corona
intorno alla fiamma di una candela (molto più grande, naturalmente). Una nave,
o è dentro alla bolla, o è fuori: per le luci del porto non esiste il
crepuscolo. Il buio è una bestia incredibile che sembra divorare tutto, inghiottire
tutto, con una profondità che toglie il fiato e che la luce artificiale non è
in grado di tenere lontano, se non per un brevissimo tratto e – come una legione
che difende una fortezza da un assedio – a costo di grandi sforzi. Ed è strano,
perché le luci della città si vedono a grande distanza, eppure, poiché non
hanno nulla su cui posarsi, non illuminano nulla: ed ecco il buio.
Io sono al sicuro, ho un posto dove tornare, e posso godermi
questo spettacolo bello e terribile fino all’ora di andare a nanna. Penso a
come devono essersi sentiti i marinai dell’antichità mentre lasciavano la
“bolla di luce” del porto di turno per avventurarsi in mare aperto, con la
pancia della nave che scivola pesantemente verso lo stomaco infinito della
notte.
Sul fronte vita quotidiana, non ci sono grandi novità. Col
mio sostituto va abbastanza bene, anche se segue ritmi di lavoro sudamericani
(è peruviano); non so come potrà cavarsela nella frenesia delle mini crociere e
del crossing transatlantico che lo aspetta, ma magari ha i suoi metodi, che io
ancora non comprendo.
Ricevo molti meno regali, e non ho più ricevuto lettere
d’amore, da quando è imbarcata la nuova hostess olandese, una stangona
biondissima e gnocchissima che non lesina sull’ondeggiamento di ciglia e che ha
incantato ricchi e poveri. Gli uomini le ronzano intorno come mosche al miele,
letteralmente, dovunque lei si sposti è seguita da una scia di ammiratori che
la raggiungono con un moto più o meno elastico e le aprono tutte le porte della
nave, sperando di poterle aprire quelle delle loro cabine. Un paio di miei
amici hanno passato diverse ore nel mio ufficio a parlarmi di lei e mi hanno
investito della funzione di corriere per recapitare fiori e biglietti. Trovo
tutto ciò divertente e irritante al tempo stesso. Il mio ego sgomita messo da
parte, e le mie manie di protagonismo si indispettiscono a recapitare
complimenti all’indirizzo altrui; ciononostante, lei è forte, onesta,
simpatica, e – bisogna ammetterlo – bella che è un piacere guardarla, e questa situazione
ha contribuito a stringere per me alcuni legami di complicità molto piacevoli. Due
sono le cose che mi domando: come mai questo tipo di donna sembri innamorarsi
sempre degli uomini sbagliati, e come sia possibile che gli uomini che le fanno
la corte (almeno la maggior parte di loro) non abbiano alcun contatto con la
realtà. Non per fare del classismo estetico, Quasimodo può certamente
conquistare Esmeralda; ma prima deve salvarle la vita e sgominare un complotto
nazionale (e anche allora, ci sono buone probabilità che la ragazza scelga
comunque il bellone). Non è che le situazioni eroiche crescano sugli alberi...
venerdì 19 ottobre 2012
centocinquantasettesimo giorno di imbarco
Oggi è imbarcato il DTP che dovrà sostituirmi.
Raramente sono stata più felice di vedere qualcuno. Lui sa. E lo ha dimostrato ha pronunciando le
parole segrete dell’Ordine dei Cavalieri Della Tipografia, cioè:
“Solo un DTP capisce un altro DTP”.
Il mio imbarco è ormai agli sgoccioli (metaforicamente; qui
non è certo l’acqua a mancare).
La mia mente è talmente satura da non riuscire a cullare un
pensiero che valga la pena di essere scritto, per un tempo sufficiente perché
io mi accorga della sua esistenza.
Il blog e i suoi lettori mi mancano molto, ma dopo 12 ore di
tap-tap-tap le mie dita si rifiutano di obbedire e le uniche posizioni che
desiderano assumere sono quelle che le vedono strette attorno ad un bicchiere
di vino, delicatamente appoggiate al filtro di una sigaretta, o meglio
abbandonate mollemente al loro destino sul bordo del letto.
lunedì 8 ottobre 2012
centoquarantaseiesimo giorno di imbarco - pagine di diario sparse e svolazzanti
2 ottobre
Non ho proprio voglia di scrivere. Mi sto costringendo a
forza a non spegnere il pc e aprire, invece, il libro che mi ammicca malizioso
dal centro del letto e che tengo sotto controllo con la coda dell’occhio,
perché non scappi. In questi giorni di bufera, i pochi minuti che riesco a
leggere prima di andare a dormire sono come una promessa, un premio che allevia
le mie fatiche trasportandomi lontano dai corridoi di ferro e dal rumore delle
fotostampatrici, dalla nostalgia e dalla solitudine.
Il 95% dei miei amici è sbarcato, mettendo a nudo una
consapevolezza che da tempo maturava ma che, nascosta dalle risate, dalle
feste, dalle città sorprendenti che ho visitato e dagli affetti di cui mi sono
circondata, non aveva trovato spazio per affiorare in superficie. Questa vita
non fa per me.
Ora che Eva è tornata a casa, sto lavorando letteralmente
per due persone: mi sono stabilizzata tre le 14 e le 16 ore. Non ho il tempo
per chiaccherare con i colleghi che passano: ogni secondo è prezioso, le
scadenze sono serrate, l’errore è dietro l’angolo, le cose da ricordare sono
tante e richiedono una concentrazione quasi al di sopra delle mie ridotte
capacità mentali. Ah, la concentrazione non è mai stata il mio forte, ma non è
che posso permettermi di farmi distrarre da una farfalla in volo o dalla nuova
puntata della mia sit com preferita. Primo, perché farfalle non ce ne sono,
secondo, perché ogni minuto perso significa limare ulteriormente il mio già
breve periodo di riposo giornaliero. I crew party sono un lontano ricordo, e
l’altro ieri uno dei miei amici di macchina è venuto a portarmi la merenda solo
per controllare che non mi fossi persa tra le risme di carta, visto che il mio
sgabello al crew bar è ormai ricoperto da uno spesso strato di polvere. E di
visitare città, non se ne parla; sono 4 giorni che non vedo la luce del sole.
Letteralmente. Ieri ho messo i piedi a terra nel porto di Ibiza per il tempo di
una sigaretta. Il cielo era coperto e pioveva, ma mi bruciavano gli occhi per
il riverbero della luce. Non ho nemmeno il tempo di salire al ponte aperto a
guardare fuori. Oggi non mi sono nemmeno messa la divisa, ho lavorato in tuta
tutto il giorno. Non oso immaginare quale spettacolo di abbrutimento offra la
mia figura, mentre si aggira per i corridoi con gli occhi arrossati, parlando
tra sè e sè, bianca come un cencio, ad eccezione delle profonde occhiaie a
prova di fondotinta, con in mano fogli, telefoni e l’inseparabile thermos di
caffè.
3 ottobre
![]() | |
| Nonostante la pessima risoluzione, potete apprendere da questo inequivocabile cartellone che è illegale non gettare rifiuti fuori bordo. |
4 ottobre
Oggi ho litigato con un Primo Ufficiale di Ponte.
Mi sto impuntando su alcune cose che, anche se non
produrranno benefici a lungo termine (ormai non mi illudo di questo), mi
mettono leggermente al riparo dai capricci altrui e mi concedono anche qualche
soddisfazione. Lo schema è il seguente: per la stampa del Today e dei menu, mi
devono arrivare delle informazioni; dichiaro la dead-line e avviso che, se non
le ricevo, stampo senza. Non è sempre possibile, ma qualche volta sì. Lo chef,
il ponte, i capi dipartimento, all’inizio non capiscono che faccio sul serio,
quando dico loro di no. No, non si può ristampare; no, ormai è tardi; no, oggi
non posso, domani. Pensano che insistendo otterranno quello che vogliono, e
qualche volta è così, ma spesso, invece, finisco per spuntarla. Oggi ad esempio
è venuto il Foto Manager a chiedermi dei biglietti da visita, nel bel mezzo
della bufera del pomeriggio, quando ho tutte le hostess in ufficio e gli omini
dell’Housekeeping e il Front Desk e l’ACD che chiama e lo Chef che mi scrive e
Erodil che chiede se può stampare e Madame che viene per i flyers. Non se ne
parla...
I più difficili da addomesticare sono gli Ufficiali di Ponte
(ci sono quelli di Ponte, quelli di Hotel e quelli di Macchina, i terzi sono
gente molto più simpatica, con la tuta piena di macchie di grasso, anche se non
disdegnano l’occasionale sfruttamento della gerarchia di bordo per ottenere
favori).
Sul Today devo pubblicare, tra le altre cose, un bollettino
meteorologico; ma farsi arrivare le informazioni meteo sembra un’impresa
disperata. Basterebbe che mi abilitassero la connessione internet, me le
procurerei da sola; ma la compagnia preferisce la strada più complicata. Il problema
è che la procedura non specifica chi debba mandarmele, e nessuno si vuole
sobbarcare l’onere; così ogni giorno dovevo rincorrere Tizio o Caio e pregarli
di farmi sapere che tempo farà domani. Oggi,
per l’ennesima volta, questa benedette informazioni non volevano arrivare. Per l’ennesima
volta i candidati meteorologi mi hanno fatto telefonare ai loro concorrenti una
decina di volte, scaricando il barile e scaricandolo, al colmo della pigrizia,
per procura (cioè usando me come operatore telefonico). Alla fine mi sono
stufata di fare da segretaria a tutti quanti e ho inoltrato un’email all’Hotel
Director, al Cruise Director, all’IT Officer e al Ponte di Comando,
specificando che Buon pomeriggio, non avevo ancora ricevuto le informazioni meteo.
Non sapevo di chi fosse la competenza, ma non avevo il tempo di star dietro
alle loro discussioni. Che si mettessero d’accordo e mi comunicassero la
decisione; e che, se avevano intenzione di fornire ai passeggeri il servizio
meteo, mi mandassero le informazioni entro le 5 del pomeriggio, o sarei andata
in stampa con quelle vecchie. E per i giorni a seguire, sarebbero dovute
pervenite entro le 10 del mattino, o niente. Grazie e buon pomeriggio.
5 minuti dopo mi chiama un tizio del Ponte, che senza
presentarsi mi inveisce contro con una ramanzina sul mio inappropriato
comportamento, che non era compito loro e che non mi permettessi mai più di
minacciare il Ponte. Dopo avergli chiesto nome e cognome (M.S.D.V., Primo
Ufficiale di Ponte), gli ho detto che mi rincresceva moltissimo se il mio
comportamento l’aveva fatto sentire minacciato, ma che naturalmente non potevo
fermare la stampa perchè mi mancava il meteo, e che, come lui, mi auguravo che
questa situazione non dovesse più ripetersi. Con una minaccia degna del peggior
mafiosetto di quartiere, M.S.D.V. mi ha ripetuto che “NO, MEGLIO PER TE CHE NON
RICAPITI” e mi mette giù il telefono. Cantami o diva della pallida Irene l’ira
funesta. Beh, per farla breve, il mio capo, l’Hotel Director (visibilmente sopreso di scoprire il mio lato guerrafondaio), ha telefonato capo di M.S.D.V.,cioè il Comandante, e il risultato è che adesso il Ponte mi manda il meteo
alla fine di ogni crociera per quella dopo. Ahah.
8 ottobre
Se in condizioni normali sono una internetomane incapace di
ignorare la posta elettronica per più di 4 ore di fila, da quando Eva è
sbarcata il mio pc giace quasi dimenticato in un angolo dell’armadio. 5 minuti fa ho
aperto la mia email per la prima volta da giorni e mi sono spaventata. Ci vorranno
settimane per rispondere a tutti adeguatamente, specialmente visto che il mio corpo si rifiuta di restare a lungo davanti a un computer anche durante il tempo libero!
Devo ammettere che, però, la situazione migliora di giorno
in giorno. Dalle 16 ore di lavoro quotidiano della prima settimana che ho passato da sola, ora
mi sono stabilizzata su 10/12 ore. Ho ripreso ad uscire la sera – uscire, termine del vocabolario di bordo che indica l’azione di
salire le scale che portano al crew
bar – anche se la stagione dei crew
party, per me, si può dichiarare conclusa! Esco soprattutto per contrastare
la solitudine che mi accompagna da quando i miei compagnucci di merende mi
hanno lasciata al mio triste destino: solo un DTP può capire i drammi di un
altro DTP. Eva, se sei in ascolto sai di cosa parlo.
A parte questo, sono molto soddisfatta di come sto gestendo
la situazione, per ora non c’è stato nessun problema e sto imparando a gestire
il tempo in multitasking (so che non
mi credi, ma è la verità!). Ieri ho avuto persino il tempo di mettermi lo
smalto.
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