Un tuffo dove l'acqua è più blu

Qualche giorno fa son andata al mare, quando ancora l'estate era estate e io giravo vergognosamente per casa e giardino in canotta e pantaloncini approfittando della piscina gonfiabile del cuginetto di 7 anni per mantenere la sanità mentale. Per capirci, non l'estate che c'è adesso, il (aspetta che guardo il calendario) 30 luglio, nella mia camera, mentre seduta sul letto scrivo al pc con pantaloni e maglietta a maniche lunghe, trattenendomi dall'andare a prendere un paio di calzini per non sembrare totalmente anormale a coloro che vivono con me.

Uh, mi son persa.
Dunque, è sbagliato dire che son andata al mare, dovrei in effetti dire che son andata in piscina a casa di un'amica in una città di mare. Migliaia di persone si chiederanno a questo punto: perchè andare in piscina quando sei a 100 metri dal mare? Il problema è che noi del Nord-est, forniamo all'Italia aperitivi fighissimi in spiaggia, discoteche, dj noti in tutto il mondo, spritz, ma siamo dotati unicamente del mar Adriatico, privo di sbocco com'è invece il resto del Mediterraneo, e quindi ben lontano dalle acque azzurre e trasparenti delle isole o della Liguria, che vengono in mente a chi pensa al mare italiano.

Appena arrivata a Jesolo, nel punto di ritrovo pattuito scendo dalla macchina e chiamo la G., che doveva guidarmi a casa della M.:
"Io son arrivata, te dove sei?"
"Son qua"
"Ok, io ho parcheggiato dopo l'incrocio lungo la strada, tu dove sei?"
"Ho capito, ti raggiungo lì"

Appena messo su il telefono, mi appoggio alla macchina e l'auto parcheggiata quattro metri più avanti partire e riconosco la marea di capelli della G.. Che faccio? Le urlo di fermarsi? No, salgo in macchina e le mando un messaggio "Ti ho appena visto partire".
Lei mi chiama "Sto tornando indietro".
"Ma no, vai ti stavo seguendo"
"Ok che faccio?"
"Torno indietro anch'io"

E fu così che tornammo al parcheggio iniziale lungo la strada, per raggiungere poi casa della M., per una giornata di:
"Prendiamo i lettini o stiamo senza?" "Beh se ci sono.."
"Ho caldo, facciamo un tuffo?" "Si anche io ho caldo"
"Volete fare l'idromassaggio?" "Beh se proprio insisti"

Proprio bruttina la vita in vacanza: si ringraziano in particolare M., la casa della M. e la piscina fresca, la G. grazie a cui mi son resa conto che esiste qualcuno peggio di me come senso dell'orientamento, il pranzo con gelato al gusto Pino pinguino.

Parentesi musicale

Mi è sempre piaciuto riscoprire vecchie canzoni e gruppi o cantanti più che i nuovi, tra cui c'è veramente poco da salvare.
Da qualche giorno, in particolare dopo l'Heineken Jammin Festival, la mia bacheca su facebook si è riempita di innamorati/e di Eddie, che io non avevo idea di chi fosse. E così scopro i Pearl Jam, che non ho mai ascoltato neanche per sbaglio perchè credevo assomigliassero, che so, ai Metallica, e invece ho scoperto un mondo. Lo so, non ho scoperto l'acqua calda, ma uno dei migliori gruppi rock di sempre.

In sostanza, sono un paio di giorni che non riesco a far a meno di ascoltare un paio di canzoni. Due delle più belle canzoni che abbia mai sentito, testi che fanno quasi piangere e una voce splendida (giuro che al minuto 2 e 15 secondi della prima mi vengono i brividi ogni volta).



E' la moda, baby! /2

E c'è una seconda puntata, ed è tutta colpa delle Superga, che ho già nominato.
E il motivo è questo: io le odio.

Le Superga sono tornate "di moda" un paio d'anni fa, e da allora se ne vedono di tutti i tipi e colori, con gli strass, le borchie e qualsiasi altra cosa appiccicata sopra. Un fenomeno incredibile, dovuto forse al fatto che costano poco, anche se secondo la mia opinione costerebbero troppo anche se le vendessero a 10 centesimi, non le vorrei neanche se mi pagassero per portarle!

Non è un sentimento nato negli ultimi anni, è una cosa che mi porto dietro dalle medie, anzi, credo fossero le elementari.
Nella mia scuola si facevano due ore di ginnastica la settimana, e per me erano due ore traumatiche, un po' perchè probabilmente già a quell'età mi ero resa conto che l'attività fisica non fa per me.. ma soprattutto, per colpa delle Superga!
Dovevamo portarci da casa le scarpe da ginnastica, che dovevano avere la suola neutra per non rovinare il pavimento della palestra (non so se questo valeva solo nella mia scuola, se è così giuro che denuncio la preside di allora per i traumi che mi ha provocato, ne porto ancora i segni!).
Ora il problema è questo: mia
mamma non era assolutamente disposta a spendere soldi per comprarmi una paio di scarpe che avrei portato solo 2 ore la settimana, e quali erano le scarpe con suola neutra che costavano meno? Le Superga, blu con la parte sotto bianca, per la bellezza di 28.000. E bruttissime aggiungerei.

Ora, chiunque può immaginare lo sgomento che ho provato da qualche anno a questa parte a vederle entrare nel guardaroba del classico fighetto.

Ma non sono solo le Superga.


Eccolo qua, Steve Urkell, esempio di tipico sfigato degli anni '90.

Non vi ricorda qualcosa?

Occhialoni giganti, cardigan, maglia a righe, bretelle, jeans arrotolati sul fondo, stringate di pelle marrone.

Certo, c'è qualche differenza dettata dal tempo, le Superga di adesso non sono identiche a quelle di una volta, così come non lo sono le Converse, i Ray-ban, la 500 e tutti i prodotti riproposti in nuove versioni.
Nessuno però mi toglie dalla testa che un ragazzo vestito con gli stessi indumenti oggi sarebbe indicato come un tipo fantastico.

E mi soffermo un secondo sugli occhiali, io, portatrice da anni di occhiali spessi come fondi di bottiglia, consumatrice di lenti a contatto in quantità industriali, non li posso vedere quelli che si comprano gli occhiali con le lenti finte.

Steve Urkell, sei solo vissuto negli anni sbagliati, invece che quella per produrre il tuo alter ego, dovevi inventare la macchina del tempo: nel 2010, i tuoi occhialoni da nerd, sarebbero stati una chicca.

E' la moda, baby!

Qualche giorno fa, all'università, aspettavo un'amica seduta su una panchina e mi guardavo attorno.
Non servono fashion blogger, basta frequentare una città qualsiasi e si vedono le cose più strane, a Venezia è più facile credo perchè le sedi sono distribuite per la città e si è obbligati ad andare a piedi. Si incontra di tutto, dal dark pieno di piercing e tatuaggi (si chiamano ancora dark? potrei essere rimasta un po' indietro), al moderno hippie con gonnellona e gioielli etnici, al dandy con mocassini e pantaloni con il risvolto.
Man mano che ci si avvicina all'università però la varietà si riduce di molto, l'età va dai 20 ai 25 anni e, diciamo la verità, sembriamo proprio fatti in serie.
Centinaia di ragazze in shorts e sandali con gli occhiali grandi e la borsa al gomito, ragazzi in jeans e sneakers da scegliere tra le quattro o cinque marche del momento e ray-ban.


Non c'è da stupirsi, e non mi stupisco, ci sono dentro e in più faccio (vorrei fare) marketing, ho studiato i fenomeni della moda e capisco come si creano.
E' come quando in una compagnia di amici il più simpatico e spigliato usa un modo di dire particolare che viene ripreso dagli altri le prime volte per ridere o ricordare quel momento, e poi diventa un modo di dire comune, si diffonde ai membri di tutta la compagnia che poi lo "appiccicano" a persone esterne.
Lui si chiama opinion leader, loro si chiamano follower (come su Twitter, lui scrive, gli altri re-twittano).

Ci sarà stata, qualche anno fa, una persona particolare che ha tirato fuori dal cassetto un vecchio paio di ray-ban aviator, quelli di top gun, e li ha indossati. In un primo momento le altre persone l'avranno guardato storto giudicandolo un po' strano, altre persone l'avranno ammirato per il coraggio di indossare qualcosa di diverso senza seguirlo, per paura di essere giudicati ridicoli, altre ancora avranno pensato che era speciale, decidendo di imitarlo in modo da sentirsi anche loro un po' speciali. Ed ecco che sempre più persone hanno iniziato a comprarli, anche quelli che all'inizio era più restii.
Però ora ce li hanno tutti, e questo vuol dire che non è più un segno distintivo.
Ed ecco che quella persona, quella prima persona, o magari un'altra, ignara di tutto questo, prova ad essere più originale, e tira fuori un paio di wayfarer.

Qualche anno fa erano i jeans con la scritta Rich sul sedere, gli occhiali a mascherina di Dior, la collana di perle, la cintura con il logo d&g, la cresta per i ragazzi e il ciuffo sugli occhi per le ragazze, gli scarponcini Adidas.
Oggi è il Monclair, la Vuitton, le Converse o le Superga, la maglietta I love NY, il gilet sopra la maglietta, i capelli finti spettinati (questo potrebbe non essere molto aggiornato, ma io abito in mezzo al nulla, forse arriviamo più tardi).

Provando a ricordare le cose più portate qualche anno fa mi viene da dire che cavolo, eravamo troppo tamarri, ma sarebbe un discorso sbagliato, perchè è lo stesso che probabilmente farò fra qualche anno guardando una mia foto di adesso (probabilmente su di me l'effetto sarebbe limitato, a quel tempo ho resistito sia ai jeans con la scrittona sia agli occhialoni da mosca, come oggi non ho ceduto alle superga e al monclair).

Sono poche le persone che sono riuscite ad interpretare ogni "periodo della moda" in modo perfetto, senza sembrare ridicoli pochi anni dopo. Sono poche le vere icone della moda.

Sarei curiosa di sapere come Madonna giudica il look che sfoggiava nel video di Like a Virgin.

Voglio vivere in un telefilm

5 luglio, e mi chiedo: posso io passare l'estate a fare la tesi?

Si che posso, anzi devo, se voglio finire a novembre. E io voglio finire a novembre!
Voglio finire a novembre perchè voglio andare via di casa e andare a lavorare, anzi, forse è più corretto dire che voglio andare a lavorare per poter andare via di casa.

In fin dei conti, fare la studentessa mantenuta non è mica male, e fare la tesi in certi momenti mi piace, leggo e scrivo tutto il giorno. Anche se a stare chiusa in camera con questo caldo sto impazzendo.
No, no, voglio finire.
Anche se pochi giorni fa a sentire la Valentina che parlava di prenotare il rinfresco mi veniva l'agitazione.

Devo finire. E trovarmi un lavoro. E andare via di casa.
Povera illusa.

C'è il mondo lì fuori a cercare lavoro, e loro prenderanno proprio te, appena uscita dall'università, con sogni vaghi su quello che vuoi fare da grande ed esperienza zero.
E' tutta colpa dei telefilm americani.

I personaggi dei telefilm americani sono sfigati per carità, scoprono in una settimana di essere stati adottati, di avere fratelli in giro per il mondo e un killer per vicino di casa. Vivono mille difficoltà, ma sono tutti pieni di talento, solo che nessuno li capisce.

Nella metropoli in cui vivo (3.000 anime, il posto da invidiare) se un ragazzo va a scuola per fare il meccanico, poi trova lavoro come meccanico, ed è probabile che faccia il meccanico per tutta la vita.
Nei telefilm americani, se un ragazzo trova lavoro come meccanico poi aprirà una catena di officine distribuite in tutto il paese, o una rivendita di auto di lusso, o sarà assunto da uno Schumacher americano per fare manutenzione alle sue auto.

Colpa loro, quindi, se mi vedo in futuro andare ogni giorno a lavoro con i tacchi a spillo che non faranno male, rigorosamente a piedi in una grande città, fermandomi all'edicola all'angolo a comprare il giornale mentre sorseggio il mio caffè da asporto (e qui c'è un problema, anzi due: in Italia Starbucks non esiste, e in più a me il caffè non piace lungo, escludo di andare per strada con la tazzina in vetro/ceramica), vivere da sola in un appartamento arredato nella giusta combinazione tra il moderno, il rustico e il vintage, fermarsi dopo il lavoro nel locale sotto casa a bere qualcosa con gli amici, sentire i genitori una volta la settimana perchè c'è troppo da fare.

Quello che mi aspetterà invece sarà probabilmente un lavoro vicino casa, in una zona industriale da raggiungere con la mia y, dopo aver fatto di corsa colazione a casa, con le ballerine ai piedi perchè - diciamo la verità - qua intorno se vai in giro con i tacchi a spillo e non è venerdi/sabato/domenica sera i più ti guardano storto, in casa con i genitori fino a 30 anni, quando forse sarò in grado di aprire un mutuo che mi legherà per i prossimi 50 anni, dover fare almeno 15 km in macchina per trovare un posto decente dove bere qualcosa.

Mamma che tristezza.
Meglio i telefilm valà, me lo dico da sola: per sognare son sempre in tempo!

Nel frattempo torno alla mia tesi.

We blog!

Non resisto, non resisto, devo proprio dirlo: ma tutti questi blog da dove sono usciti?
C'è un intero mondo che io ignoravo totalmente fino a pochi giorni fa.
Un'amica mi fa vedere il suo blog, in cui parla e mostra le foto di tutte le cosine che fa a mano, e già li mi stupisco: un mondo di persone che pubblicano le proprie creazioni ricevendo complimenti su complimenti. Anch'io voglio! Peccato che non sappia fare cose a mano, e la mia incostanza non mi permetterebbe di avere un risultato decente nemmeno se volessi imparare.

Poi, scopro quell'interessante tastino "Blog successivo": un mondo sconosciuto che si apre davanti ai miei occhi.
Signore di età variabile che pubblicano ricette su ricette di qualsiasi tipo.
Padri di famiglia che pubblicano le foto delle gite in giro per il mondo.
Future madri che raccontano la gestazione con tanto di countdown.
Pseudo scienzati che raccontano l'avvistamento degli ufo.

E poi loro. Foto, tantissime foto di ragazze, più o meno magre, più o meno belle, in pose come minimo ridicole, che mostrano ogni singolo particolare dei propri vestiti/borse/scarpe, il tutto completato da un'interessantissima descrizione dei vari capi, con marche e a volte prezzi, che compongono il singolo outfit. Che parola interessante: outfit. Io la trovo anche un po' difficile da dire, mi viene da sputare quasi, ma dire abbigliamento no?
No in effetti in inglese suona meglio, del resto, anche le canzoni in inglese suonano meglio di quelle in italiano, solo perchè non si capisce cosa vogliono dire.
Outfit quindi. In questo caso, non poche decine, ma addirittura centinaia di commenti. Complimenti primi su tutti, ma anche critiche che vanno dalle scarpe, alla stesura dello smalto, alle punte dei capelli.

E' proprio questo quello che mi ha fatto più pensare, di quello che ho scoperto essere un vero e proprio fenomeno: ma chi glielo fa fare?
Perchè una persona dovrebbe accettare di mostrarsi in qualsiasi lato a degli sconosciuti, che per chissà quale motivo si sentono in diritto di giudicare?

I sostenitori, o dovrei dire le sostenitrici in questo caso, sono forse più accanite del blogger stesso, e difendono il proprio amato a spada tratta, in genere con l'accusa "è tutta invidia".
Da una parte mi viene da dire che questa cosa dell'invidia ha rotto, è solo una risposta di riserva quando non viene in mente una frecciatina migliore, quando non si hanno idee l'accusa è sempre la soluzione!
Però dall'altra parte, penso che se effettivamente non sono interessata a una persona o a quello che questa persona fa, non sento alcun bisogno di dire la mia, tanto meno di criticare. Allora forse è invidia davvero, perchè si sa, che sminuire chi ci sembra stia più in alto di noi ci fa sentire qualche centimetro più in su (e non sto dicendo che queste persone stiano un gradino più in alto, è pura interpretazione del pensiero-verde-invidioso).

La soluzione? C'è chi direbbe nel mezzo.
Non ci credo, sto per concludere questo post come uno dei tanti temi fatti a scuola, una lunga descrizione delle opinioni in causa, per concludere che tutti, o nessuno, hanno ragione, senza dire però la mia opinione (che sottolineo, esiste) in modo da non scontentare nessuno.
Lo so, lo so, la diplomazia è un'arte!

Alla prossima puntata.

E adesso ce l'ho!

Quando ero più piccina, ho cercato più volte di tenere un diario. Era il periodo in cui si invitavano le compagne di scuola ai compleanni e uno dei regali più gettonati era il diario segreto, con le pagine bianche in cui si va malissimo a scrivere e il lucchetto che dopo due giorni non si chiudeva più, o se si chiudeva ancora tu avevi perso la chiave.
Non sono mai riuscita però a scrivere per più di qualche giorno, un pò mi dimenticavo, un pò mi faceva sentire stupida scrivere le mie cose, che tra l'altro non erano nemmeno così interessanti.
E ho sempre voluto avere un blog, non per raccontare gli affari miei, ma per dire qualcosa.
Da un po' di tempo, per motivi di studio, sono venuta a conoscenza del mondo dei blogger, e visto che c'è proprio di tutto, perchè io no?

Ok dai, seriamente: sono in tesi, sto letteralmente sclerando tra le quattro mura della mia camera, i trenta gradi minimo costanti non aiutano, e mi serve un posto dove sfogare i pensieri senza senso che mi passano per la testa e dare un po' di libertà ai due tre neuroni zoppi che mi rimangono.

Ce l'avrò qualcosa da dire no?
Non è detto, però intanto ci sono.
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