Alla serata blu dei Babar eravamo in 10. Anzi 11 con la partecipazione di Diletta, che ci ha inviato una bella lettera sul blu, suo colore preferito. La formula nuova di Babar è interessante perché porta contributi molto diversi fra loro. Questi approcci così distanti comportano notizie, riflessioni, letture, immagini, alla luce delle quali il tema storico di Babar, che è quello dei libri per ragazzi, acquista uno spessore nuovo e griglie interpretative ampie, permettendo collegamenti imprevisti. È anche molto divertente, per quanto mi riguarda, ascoltare il modo in cui ognuno elabora lo stesso tema.
Il tema blu, per esempio, è stato offerto da Loredana Farina partendo dal blues. Blues deriva dall'espressione "to have the blue devils" (letteralmente: avere i diavoli blu) che significa "essere triste", perché in inglese il colore blu è comunemente associato alla sofferenza, alla tristezza, all'infelicità e alla malinconia. Loredana ci ha fatto ascoltare Bessie Smtih, Natalino Otto e George Gershwin - Rhapsody in Blue - a cui ha fatto seguito una piccola rassegna di biografie illustrate o a fumetti, su musicisti, e di albi per bambini a tema musicale. Mi sono rimasti in mente La difficile vita di Billie Holiday, narrata da Munoz e Sampayo in un fumetto Edizioni BD, e fra gli albi, Lezioni di tuba di T.C. Bartlett e Monique Felix, Edizioni C’era una volta.
Diletta Colombo, dopo averci spiegato che il blu, presso i latini era considerato il colore dei barbari, e che per lei il blu non è un colore freddo, ma caldo (come afferma anche la fumettista Julie Maroh: Il blu è un colore caldo, edito da Rizzoli Lizard), ci ha mostrato un libro uscito nel 2104: Hokusai et le cadeau de la mer di Beatrice Alemagna (testo) Olivier Charpentier (illustrazioni). Su un blog ho trovato questo riassunto: Beatrice Alemagna immagina che Hokusai, fin dall'infanzia abbia trascorso la vita a osservare il mare, seduto sulla spiaggia di fronte al monte Fuji, in attesa della grande onda. Dopo decenni di attesa finalmente un vento violento si scatena; allora il pittore volta la schiena al mare per correre dietro al suo cappello e ai fogli che volano via. In quel momento arriva l'onda. Lui non la vede, ma il mare gli lascia un dono: del blu, in una piccola ciotola, il blu che gli permetterà di dipingere l'onda quando alla fine questa ritornerà. In questo modo, Beatrice Alemagna racconta la genesi immaginaria della più celebre stampa dell'artista giapponese, perché in effetti fu dall'Olanda che arrivò il blu di Prussia utilizzato per la prima volta in Estremo Oriente nella serie di stampe Trenta vedute del Monte Fuji, come spiega la nota esplicativa in fondo al libro.
Riporto questa storia perché, come leggerete, poi, nel corso dell'incontro si riparlerà sia di blu di Prussia sia di attesa sia di pazienza sia di onde.
Loredana Baldinucci ci ha spiegato che blue in inglese definisce uno spettro di colore molto più ampio che non in italiano. In inglese le sfumature del blu si esprimono sempre con il termine blue accompagnato da un aggettivo: il cielo azzurro, per esempio, è blue sky, ma ci sono anche blueviolet, dark blue e light blue, medium blue, royal blue eccetera. Insomma, è sempre il blu a dominare. Quindi Loredana ci ha letto alcuni brani di Autobiografia del blu di Prussia, di Ennio Flaiano, dove, di nuovo si incontra il blu come tonalità dell'umore fra tristezza e malinconia: «Se in un quadro i cattivi umori del pittore, le sue torbide malinconie, i suoi errori, le sue sfrenate ambizioni condensano e s’esprimono, state certi che là, in quel punto, troverete la mia ombra, l’ombra del Blu».
Eva Montanari ci ha mostrato l'incredibile, ipnotico Barbablu di Isabelle Vandenabeele, dove il blu delle xilografie di questa illustratrice fiamminga ha qualcosa di ultraterreno e con grande forza definisce i contorni e le atmosfere di una vicenda iniziatica.
Franco Fornaroli ha parlato del seme blu della pazienza e di come sia difficile coltivarlo, con il libro Ancora niente?, di Christian Voltz, ma ci ha ricordato anche come il bellissimo blu marino possa irrompere nell'ordine del quotidiano di una bambina che gioca sulla spiaggia in L'onda di Suzy Lee.
Francesca Zoboli ha fatto un excursus dai tatuaggi blu che parlano sul corpo di alcune popolazioni ai meravigliosi nudi ritagliati nel blu di Henry Matisse, realizzati nell'ultimo periodo della sua vita quando, non potendo disegnare, dipinse ritagliando, ed esposti nel 2014 alla strepitosa mostra The Cut-Outs, alla Tate Modern di Londra.
Infine, Francesca ha stabilito un'analogia e una discendenza fra i nudi di Matisse e quelli di Yves Klein, dipinti dai corpi stessi delle modelle spalmati di pittura blu e impressi su grandi fogli di carta (i dipinti sono attualmente in mostra al Museo del 900 a Milano nella mostra Klein e Fontana).
Alessandra Mastrangelo ci ha letto alcune pagine da I colori dei nostri ricordi. Diario cromatico lungo più di mezzo secolo di Michel Pastoureau, il più celebre e raffinato studioso di colori del mondo, sulla natura oggettiva, ma anche soggettiva e culturale del colore; ci ha anche parlato dell'Enrico di Ofterdingen, di Novalis, che narra del viaggio iniziatico del protagonista alla ricerca del fiore azzurro, simbolo della ricerca umana, di purezza e valore.
Miguel Tanco ci ha mostrato alcune bellissime immagini tratte dai libri di Roger Duvoisin, celebre illustratore svizzero americano, autore di capolavori come The Happy Lion, caratterizzate da estrema sintesi e realizzate solo in bianco, nero e blu.
Paolo Canton ci ha mostrato un meraviglioso attrezzo: ovvero il Cianometro che, inventato dallo fisico svizzero Horace-Bénédict de Saussure e dal tedesco Alexander von Humboldt nel 1789, per classificare tutte le possibili sfumature del cielo: ne erano previste 53.
Infine, io ho letto una poesia di Silvia Vecchini, da In mezzo alla fiaba, illustrata da Arianna Vairo e ispirata alla fiaba di Barbablu; ho mostrato poi sia il cielo notturno di Giotto che si trova nella Cappella degli Scrovegni di Padova, sia l' Ex-voto per Santa Rita da Cascia, realizzato da Yves Klein nel febbraio del 1961 che così comincia: “Il blu, l’oro, il rosa, l’immateriale, il vuoto...”; infine, ho letto una breve lettera di Simone Weil a una sua giovane allieva sul cielo notturno identificato come “patria che niente può strappare a nessun essere umano” (tratta da Piccola cara ..., Marietti 1860).
A chiudere la serata trionfalmente è stata Enrica Passoni che ci ha letto lo splendido incipit di I fiori blu di Raymond Queneau (facendo venire a tutti voglia di rileggerlo), quindi da una fiabesca scatolina blu ha estratto tanti pacchettini con corallino blu, contenti un pezzetto di marzapane, uno per ognuno di noi. E per voi che non avete avuto il marzapane, ecco l'incipit:
Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là. Sulle rive del vicino rivo erano accampati un Unno o due; poco distante un Gallo, forse Edueno, immergeva audacemente i piedi nella fresca corrente. Si disegnavano all’ orizzonte le sagome sfatte di qualche diritto Romano, gran Saraceno, vecchio Franco, ignoto Vandalo. I Normanni bevevan calvadòs.
Il Duca d’ Auge sospirò pur senza interrompere l’ attento esame di quei fenomeni consunti.
Gli Unni cucinavano bistecche alla tartara, i Gaulois fumavano gitanes, i Romani disegnavano greche, i Franchi suonavano lire, i Saracineschi chiudevano persiane. I Normanni bevevan calvadòs.
“Tutta questa storia”, disse il Duca d’ Auge al Duca d’ Auge, “ tutta questa storia per un po’ di giochi di parole, per un po’ d’ anacronismi: una miseria. Non si troverà mai una via d’ uscita?”
Affascinato, continuò per alcune ore a osservare quei rimasugli che resistevano allo sbriciolamento, poi, senz’ alcuna ragione apparente, lasciò il suo posto di vedetta e scese ai piani inferiori del castello, dando di passata sfogo al suo umore cioè alla voglia che aveva di picchiare qualcuno.
Il Duca d’ Auge sospirò pur senza interrompere l’ attento esame di quei fenomeni consunti.
Gli Unni cucinavano bistecche alla tartara, i Gaulois fumavano gitanes, i Romani disegnavano greche, i Franchi suonavano lire, i Saracineschi chiudevano persiane. I Normanni bevevan calvadòs.
“Tutta questa storia”, disse il Duca d’ Auge al Duca d’ Auge, “ tutta questa storia per un po’ di giochi di parole, per un po’ d’ anacronismi: una miseria. Non si troverà mai una via d’ uscita?”
Affascinato, continuò per alcune ore a osservare quei rimasugli che resistevano allo sbriciolamento, poi, senz’ alcuna ragione apparente, lasciò il suo posto di vedetta e scese ai piani inferiori del castello, dando di passata sfogo al suo umore cioè alla voglia che aveva di picchiare qualcuno.